Riciclo chimico: l’alternativa possibile

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Si sente sempre più spesso parlare di riciclo chimico come seconda via green per dare nuova vita al rifiuto di plastica. Diversi sono infatti i vantaggi rispetto al metodo meccanico, ma sono ancora molti gli aspetti da migliorare. A cominciare dalla tecnologia

Rifiuti di plastica, meglio riciclo chimico o quello meccanico? Troppo presto per dare una risposta secca perché, a detta degli esperti, oggi non ci sono ancora dati sufficienti sul riciclo chimico per identificare tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Si tratta infatti di una tecnologia abbastanza nuova rispetto a quella meccanica, ben più matura. Al momento quello che si può dire è che possono coesistere nel nome di una sempre più efficiente economia circolare. 

«Oggi stiamo riciclando chimicamente alcune plastiche non pure. Per risolvere questo problema l’UE ha deciso adottare il passaporto digitale dei prodotti, che dovrebbe essere introdotto nei prossimi mesi», ha dichiarato Stefano Leoni, responsabile area Economia circolare e gestione dei rifiuti della Fondazione sviluppo sostenibile

«I rifiuti in plastica sono infatti diversi e non tutti possono essere trattati allo stesso modo. Alcuni, per esempio, non sono al momento riciclabili semplicemente perché non si riesce ad avere flussi omogenei nella loro raccolta che ne rendano possibile il riutilizzo», interviene Stefano Leoni, responsabile dell’area Economia circolare e gestione dei rifiuti della Fondazione sviluppo sostenibile. «Non a caso, per tentare di risolvere questo problema l’Unione Europea è intervenuta con alcune indicazioni specifiche, come la messa al bando della plastica monouso e proponendo il principio secondo cui gli imballaggi in plastica che non vengono effettivamente riciclati almeno al 70% non possono essere considerati riciclabili. In altri termini, la riciclabilità cessa di essere un concetto connesso alla potenzialità per affermarsi invece come capacità reale di trovare uno sbocco commerciale.  E se non si riesce a superare l’ostacolo tecnico di dare una seconda vita a tutti gli oggetti in plastica attraverso il riciclo meccanico, occorre indagare una strada differente e questa è quella chimica che, attraverso i processi di pirolisi, gassificazione e depolimerizzazione, consente di riportare la plastica alla sua molecola di origine».

Le tecnologie di riciclo chimico per la produzione di nuovi po­limeri con le stesse caratteristi­che di quelli vergini (plastic to plastic), o di materie prime per l’industria chimica (plastic to chemicals), rappresentano quindi una strategia di valorizzazione dei rifiuti in plastica al­ternativa e preferibile alla loro combustione per produrre energia, soprattutto per quelle frazioni di rifiuti che non sono valorizza­bili con le tecnologie esistenti di riciclo meccanico.

Oltre a riciclare plasmix che non può essere recuperato tramite l’alternativa meccanica, la strada chimica ha anche vantaggi green come la riduzione dell’uso di risorse fossili e l’abbattimento delle emissioni di CO2, perché si eliminano le emissioni associate all’incenerimento e alla produzione convenzionale di materie prime.

Anche nel Report 18/2020 dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (pubblicato il 28 gennaio 2021) viene riconosciuta la potenzialità del riciclo chimico nel togliere parte dei rifiuti in plastica dall’incenerimento e dalla discarica, ma viene anche chiaramente espressa la necessità di approfondire la conoscenza dell’intero life cycle impact che il riciclo chimico può avere sull’ambiente. La posizione dell’AEA sembra, dunque essere, quella di studiare meglio gli impatti sull’ambiente e sul clima di questo metodo di riciclo prima esaltarne solo i benefici.

Non solo vantaggi

E infatti sono ancora diversi i suoi punti deboli. «Prima di tutto non esiste ancora una tecnologia ben collaudata e questo a causa di un problema di mercato: il riciclo chimico, al momento, costa e non solo per gli alti prezzi dell’energia, ma anche per le difficoltà di raccolta selettiva», dice Leoni. «Ma il punto debole più importante del sistema è che oggi stiamo riciclando chimicamente alcune plastiche non pure, ovvero con all’interno aggiunte di quei componenti chimici necessari per rendere più idoneo un prodotto a determinati tipi d’uso. Sostanze che, quando si fa la depolimerizzazione, non vengono intercettare e restano nell’olio che si è ottenuto. Riutilizzare quel prodotto per fare di nuovo la plastica con tutte quelle sostanze all’interno, spesso sconosciute, non dà la garanzia di ottenere un materiale con caratteristiche certificabili», continua l’esperto. «Per esempio, oggi si stanno trattando le plastiche delle auto fuori uso, molte delle quali messe in commercio 15 anni fa e nessuno sa cosa venisse messo nei componenti in plastica delle auto in quel periodo. Questo problema crea diffidenza nella filiera del riciclo chimico».

Fonte: Elaborazione Ecocerved su dati Registro Imprese e MUD 2011-2021

Per risolverlo, la strada che l’Unione europea ha deciso di percorrere è quella del passaporto digitale dei prodotti, che dovrebbe essere introdotto nei prossimi mesi. Si tratta di un documento che contiene l’inventario di tutti i materiali, le componenti e le materie prime utilizzate in un prodotto assieme alle informazioni sulla loro posizione e le modalità di gestione dei relativi rifiuti. L’obiettivo di tale raccolta di dati sulla composizione dei beni presenti sul mercato europeo è proprio quello di aumentare le possibilità dei prodotti di essere riutilizzati più volte e correttamente riciclati a fine vita. E dare, al tempo stesso, agli utenti maggiori informazioni sulla filiera e sulla catena di approvvigionamento dei materiali e dei prodotti che possano tornare utili al momento del potenziale riuso, o del corretto instradamento verso le strutture di gestione dei rifiuti.

Più investimenti per migliorare le tecnologie

Insomma, il riciclo chimico è indubbiamente una valida alternativa a quello meccanico, ma c’è ancora molta strada da fare per migliorarne gli aspetti di mercato e tecnologici. Non è un caso che recentemente il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti abbia pianificato investimenti a lungo termine per implementare le tecnologie e inventare metodi e strumenti che limitino il consumo di energia, prevenendo, al contempo, l’inquinamento in modo da rendere sempre più virtuoso il ciclo vitale della materia plastica.

Quantità di rifiuti avviati a recupero, smaltimento e pretrattamenti, per classe di pericolosità

Passi in questa direzione sono stati fatti anche in Europa e in Italia.  «All’interno della Missione 2 del PNRR italiano, intitolata “Rivoluzione verde e Transizione ecologica”, infatti, si parla anche dello sviluppo di tecnologie avanzate di riciclo meccanico e chimico delle plastiche», dice Leoni. «L’Italia deve migliorare ancora molto sul fronte tecnologico; basti dire che più del 50% dei rifiuti di imballaggi in plastica non riesce a essere riciclata e, quindi, o finisce in discarica o al trattamento termico. Per cercare di aumentare la fetta di prodotto riciclabile, il PNRR ha previsto 150 milioni di euro. Il bando è stato già emesso, i progetti sono già stati inviati e ora si è in attesa delle graduatorie definitive per capire quali potranno accedere ai finanziamenti europei».

Ma le aziende interessate a investire nel riciclo chimico possono godere anche dei finanziamenti messi a disposizione dal Governo con Investimenti sostenibili 4.0, il programma di incentivi per promuovere e sostenere nuovi investimenti imprenditoriali innovativi e sostenibili.

Manca una normativa chiara

«L’interesse verso questo metodo di riciclo sta aumentando anche da parte delle aziende, ma va detto che una delle finalità per cui l’Italia sta studiando e investendo nel riciclo chimico è l’idrogeno, il combustibile del futuro a cui sta lavorando la maggior parte delle Oil company internazionali come alternativa ai combustibili fossili». L’idrocarburo ottenuto dalla rigenerazione chimica della plastica potrebbe, infatti, essere utilizzato per isolare l’atomo di idrogeno dalla molecola di partenza, che può essere il gas metano o l’acqua, e produrre idrogeno, che a sua volta può essere usato non solo come combustibile. «Peccato che, tecnicamente, utilizzare plastica riciclata chimicamente per produrre idrogeno non rientri nella logica di un riciclo circolare», avverte Leoni.  «Sotto questo aspetto, infatti, manca ancora una chiara definizione normativa di riciclo chimico, che sarebbe importante per differenziare quello plastica-plastica da quello plastica-combustibili». 

Carolina Parma


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