PMI e sostenibilità, un passo alla volta

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Le piccole e micro imprese sono consapevoli dell’importanza della sostenibilità, ma faticano a realizzarla perché disorientate. Per evitare perdite di tempo e risorse occorre muoversi con razionalità, informandosi sul tema e acquisendo le giuste competenze

Sostenibilità, un passo obbligato per continuare a essere competitivi nel tempo. Un tema di cui si è parlato molto negli ultimi anni, tanto che ormai non è più un’urgenza solo per le grandi imprese, ma anche per quelle di dimensioni più piccole, che però continuano ad avere difficoltà sul reperimento delle giuste competenze in materia, a non avere una bussola che le guidi nella raccolta delle informazioni necessarie e dei giusti step da compiere per muoversi correttamente nel vasto mondo della green economy. Così le Pmi continuano a essere disorientate e a faticare a mettere in campo azioni serie di sostenibilità. Problema emerso chiaramente durante il convegno “Gli Esg e il modello benefit come leva di crescita per le imprese familiari”, che si è tenuto lo scorso novembre presso l’Università La Sapienza di Roma. 

Loredana Reniero, co-founder e business developer di STEP Società benefit

«Ad alimentare il disorientamento contribuisce poi anche il fatto che, al contrario delle grandi organizzazioni, non tutte le Pmi percepiscono un vantaggio immediato nel fare interventi di sostenibilità e inoltre non hanno obblighi normativi da rispettare in questa direzione; spesso si trovano pertanto a rincorrere le richieste da parte delle aziende clienti di dati riferiti alle iniziative di sostenibilità attuate», spiega Loredana Reniero, co-founder e business developer di STEP Società benefit, Hub con sede a Treviglio, nella provincia bergamasca, che supporta le aziende ad affrontare la transizione ecologica attraverso l’innovazione sostenibile.  «Un modus operandi che alla fine si trasforma in una grande fatica e in una sterile perdita di tempo prezioso». Per questo le Pmi devono iniziare a essere proattive. Ciò significa guardarsi dentro, analizzare il proprio approccio al mercato in modo da capire come e dove migliorare e fissare degli obiettivi da raggiungere. Solo in questo modo riusciranno a non subire più il cambiamento in corso, ma a diventarne protagoniste.

Del resto, oggi a chiedere alle imprese di diminuire l’impatto ambientale e di diventare più virtuose sotto l’aspetto sociale e di governance non sono più solo gli istituti di credito, ma anche i fornitori e i loro partner commerciali, che non si accontentano più delle dichiarazioni, bensì esigono dati che confermino le azioni sostenibili dichiarate e i risultati ottenuti. E le piccole e micro imprese sono troppo importanti per la nostra economia per mettere a rischio la loro competitività sui mercati internazionali. Secondo gli Osservatori.Net del Politecnico di Milano, infatti, su 4,4 milioni di imprese attive in Italia, le microimprese con meno di 10 addetti rappresentano il 95,13% del totale, contro un 0,09% di grandi imprese. Le PMI italiane sono invece circa 211 mila e sono il restante 4,78% del tessuto imprenditoriale nazionale, ma da sole sono responsabili del 41% dell’intero fatturato generato in Italia.

Sulla via della sostenibilità 

Tre sono gli step che le aziende devono compiere per realizzare la sostenibilità: efficientamento energetico, riorganizzazione del processo produttivo e creazione di un business che generi valore sul territorio. Con l’aiuto dell’innovazione

E allora come aiutare le piccole e micro imprese a fare sostenibilità in modo efficace senza perdersi in un bicchiere d’acqua? «Il primo concetto da superare è la convinzione, nei piccoli imprenditori, che la sostenibilità sia solo un costo», dice Reniero. «In realtà non c’è nulla di più sbagliato. Basta conoscere la materia per rendersi conto che sostenibilità significa prima di tutto risparmio». Diverse, per esempio, sono le modalità per lavorare sull’efficientamento energetico; tra queste, un grande aiuto arriva dall’innovazione tecnologica. «Esistono piattaforme d’intelligenza artificiale di ultima generazione che consentono di ottenere un’ottimizzazione delle differenti fonti energetiche presenti in azienda, raggiungendo efficienze fino al 20%», spiega l’esperta, «o progetti di ottimizzazione della gestione dell’aria compressa che portano a una riduzione del 10% dei consumi, pompe di calore o solari termici per la produzione di vapore, fino ad applicazioni più particolari, come additivi basati su nanoparticelle metalliche che riescono a incrementare lo scambio termico fino al 10%. Senza considerare le applicazioni con l’idrogeno o il biometano».

Processo produttivo sotto la lente 

Il secondo step da affrontare è il cambiamento del processo produttivo. Anche in questo caso la tecnologia può dare una mano. «Per raggiungere target concreti su questo fronte occorre progettualità a lungo termine, apertura alla sperimentazione, condivisione dei saperi e un cambio di cultura aziendale», avverte Reniero. «Solo in questo modo si possono ottenere risultati duraturi. In questi anni, per esempio, abbiamo collaborato con successo con diverse aziende nazionali attive nel settore delle materie plastiche, all’interno delle quali abbiamo portato la conoscenza di start up o di imprese specializzate in processi di stampaggio plastico innovativo, o in nuove materie prime. L’alto costo della plastica riciclata è infatti uno dei temi caldi nelle realtà attente alla riduzione del loro impatto ambientale, ma esistono start up specializzate nel riciclo di plastica in modalità più innovativa, per esempio attraverso il processo di depolimerizzazione. Un tipo di riciclo che, con agenti chimici o con enzimi, scompone la catena polimerica e la riporta ai monomeri di partenza. In questo modo si ritorna esattamente alla materia prima utilizzata nella preparazione dei polimeri». Questa può essere poi utilizzata per la preparazione di nuove plastiche dalle caratteristiche chimico-fisiche identiche a quelle prodotte con materia prima vergine.   

Verso la blue economy 

“Sul fronte della sostenibilità, le Pmi devonoiniziare a essere proattive”, ha commentato Loredana Reniero. “Ciò significa guardarsi dentro, analizzare il proprio approccio al mercato in modo da capire come e dove migliorare e fissare degli obiettivi da raggiungere”

Produrre meno anidride carbonica, consumare meno energia, efficientare il proprio sistema produttivo e la propria organizzazione, utilizzare materiali riciclati con processi innovativi però non basta. Per mettere in salvo la propria competitività nel lungo periodo occorre fare un passo in avanti. La strada da seguire è quella tracciata dalla cosiddetta blue economy, termine coniato dall’economista belga Gunter Pauli che, nell’omonimo libro scritto nel 2010, ne ha definito le caratteristiche e i vantaggi. Si tratta della creazione di un sistema economico sostenibile attraverso l’innovazione tecnologica, il riuso delle fonti presenti e dei materiali produttivi e la condivisione delle conoscenze.

«Insomma, dobbiamo imparare a essere rigenerativi. Non basta più ridurre il proprio impatto sull’ambiente, bisogna avere un’influenza positiva», sintetizza Reniero. «E questo lo si può fare non solo cambiando il proprio approccio al mercato, ma anche il modo di rapportarsi con il territorio circostante. Per chiarire faccio un esempio: un’azienda intenzionata a utilizzare terreni per la realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra potrebbe optare per un impianto agrivoltaico, in modo da produrre l’energia che serve e, contemporaneamente, dare vita a un consorzio con un’associazione di volontariato per la creazione di orti sociali, o con cooperative che possono coltivare il terreno. In questo modo contribuirebbe a creare nuovi posti di lavoro sul territorio dove opera, dunque valore».   

Un passo importante che richiede un cambio di paradigma notevole, per il quale ci vuole tempo. La sostenibilità declinata nelle sue tre anime: ambientale, sociale e di governance esige serietà e costanza. «Proprio per questo è importante avere una strategia chiara. Avviare progetti one shot non serve a nulla. Molto meglio fare un passo alla volta partendo dalla riduzione del consumo energetico, per poi passare al cambio dei processi produttivi e, infine, pensare a come impattare positivamente sul territorio dove si opera. Così la sostenibilità diventa il vettore del nostro business e non un elemento a sé stante», conclude Reniero.   

Un problema di conoscenza

Oggi a frenare l’investimento delle Pmi in sostenibilità non è tanto la mancanza di risorse finanziarie a disposizione per fare gli investimenti necessari, quanto la mancanza di conoscenze specifiche in questo ambito

Stando alle stime Istat, al giugno 2023 il 69% delle imprese manifatturiere nazionali ha intrapreso azioni di sostenibilità. Tra queste, il 56,2% segue pratiche di tutela ambientale, il 60,9% iniziative di sostenibilità sociale e il 39% ha svolto azioni di sostenibilità economica.
Ma, guardando al profilo dimensionale, ci si accorge che le aziende più attive sul fronte sostenibilità sono prevalentemente quelle grandi: 90,9%, quota che scende al 46,7% per le imprese più piccole.

Incrociando i dati e considerando il numero complessivo delle imprese presenti in Italia, si può quindi stimare che il 90,9% dello 0,09% delle imprese ha intrapreso percorsi di sostenibilità. Questo non significa che le Pmi non credano nella sostenibilità. Anzi. Secondo una ricerca condotta da Fabio Zona, ordinario di Economia aziendale all’Università di Trento e Alfredo De Massis, ordinario di Imprenditorialità e Family Business Management alla Libera Università di Bolzano, presentata durante il già citato convegno “Gli Esg e il modello benefit come leva di crescita per le imprese familiari, le Pmi a conduzione familiare considerano la sostenibilità socio-ambientale una “priorità strategica”, ma faticano a muoversi in questa direzione.

Il motivo? Contrariamente a quanto si creda, oggi non va cercato tanto nelle limitate risorse finanziarie a disposizione (ostacolo segnalato solo dal 25% del campione analizzato), quanto in una mancanza di conoscenze specifiche in questo ambito. Da qui l’importanza di individuare personale interno da formare in modo da poter pianificare interventi di sostenibilità sulla base degli obiettivi che l’azienda si è preposta, o aprirsi alla consulenza esterna per avviare uno scambio proficuo di conoscenze e know-how in ambito sostenibilità.

Lia Panzeri


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