Plastic to fuel. È la soluzione giusta?

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La chiusura dei porti cinesi all’importazione di plastiche post consumo, che rappresentavano per molti Paesi una destinazione low cost per i propri scarti, e i crescenti target imposti dalla Commissione Europea sul recupero dei rifiuti nell’UE stanno imponendo un’accelerazione alla ricerca di soluzioni per le plastiche miste. Necessità che ha visto il ritorno in auge delle tecnologie “plastic to fuel” per lo smaltimento di rifiuti che non possono essere rigenerati per via meccanica, chimica o biochimica, a causa della difficoltà di separare le diverse frazioni polimeriche o per un elevato tasso di inquinamento. La pirolisi – un processo noto dagli anni Settanta – permette infatti di convertire i materiali organici direttamente in olio combustibile attraverso la decomposizione termochimica in assenza di ossigeno.

C’è chi dice no al plastic to fuel

I detrattori segnalano però alcuni aspetti negativi di questi processi, a partire dall’elevato fabbisogno energetico – con conseguenti emissioni ambientali – necessario per pirolizzare i rifiuti a temperature intorno a 400 °C. C’è poi l’aspetto ambientale, poiché il combustibile ottenuto dai rifiuti esce dalla circolarità, non potendo più essere riutilizzato o riciclato. Infine, c’è chi sostiene che il costo per produrre energia sia superiore a quello richiesto da altre fonti rinnovabili, compreso il fotovoltaico. C’è poi un aspetto per così dire istituzionale: il carburante ottenuto mediante pirolisi delle plastiche può essere o no conteggiato come riciclato nell’ambito degli obiettivi UE sul recupero dei rifiuti plastici? Bruxelles non ha ancora preso una decisione in merito, mentre ha confermato – per altri versi – il computo del riciclo chimico, che trasforma le plastiche di rifiuto nei suoi monomeri di base o in altri intermedi della chimica.

Bin2Barrel costruisce impianto in Olanda

C’è chi ha deciso di andare avanti lo stesso, come la start up olandese Bin2Barrel, che lo scorso giugno ha avviato in Olanda la costruzione di un impianto “plastic to fuel” in grado di trasformare a regime 35.000 tonnellate annue di rifiuti di plastiche miste (una volta eliminati PVC e PTFE) in circa 30.000 litri di gasolio, evitando l’emissione in atmosfera di 57.000 tonnellate annue di CO2. Il prodotto che all’inizio dell’anno prossimo uscirà dall’impianto olandese è un gasolio a bassissimo tenore di zolfo, secondo la norma EN590, sostenibile come il biodiesel in termini di impronta al carbonio.

L’impianto sta sorgendo nelle adiacenze del Porto di Amsterdam e c’è una ragione: il combustibile servirà per rifornire le navi e, per questa ragione, nel progetto è coinvolta anche l’authority portuale, che ha contribuito – insieme a fondi pubblici – alla copertura dei costi del progetto, pari a quasi 28 milioni di euro. Secondo Bin2Barrel, la resa del combustibile ottenuto dai rifiuti è dell’80%, tre volte superiore rispetto alla termovalorizzazione diretta dei residui plastici (33%).

Alla trasformazione di plastiche in gasolio sta lavorando anche il gruppo petrolifero finlandese Neste, uno dei principali produttori di biodiesel da scarti e rifiuti, che conta di portare il processo su scala industriale nel corso dell’anno prossimo, per arrivare a trattare un milione di tonnellate di plastica post consumo non altrimenti riciclabile entro il 2030. In particolare, Neste sta testando la possibilità di utilizzare plastiche miste liquefatte come materie prima per i propri impianti di raffinazione.


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