Mariacristina Gherpelli di Ghepi: “Ecco come è nata ReMask”

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Il progetto di ReMask è figlio di un grande gioco di squadraMariacristina Gherpelli

«Da un giorno all’altro le mascherine protettive sono diventate un bene prezioso quanto introvabile. Ecco, il nostro progetto è nato proprio in quei momenti, chiedendoci se fosse possibile, per un’azienda come la nostra, con il know-how e le tecnologie a disposizione, realizzare un dispositivo igienizzabile e riutilizzabile» racconta Mariacristina Gherpelli, socio e amministratore delegato di Ghepi di Cavriago (Reggio Emilia). Dall’idea all’avvio della produzione di ReMask sono trascorse solo poche settimane. «Oggi, guardando indietro, fatico a credere a quanto siamo riusciti a realizzare, rispettando senza imprevisti una pianificazione a tappe forzate che ha interessato interventi edili, l’acquisto di nuove presse a iniezione e robot, la costruzione degli stampi e l’avvio del processo di certificazione del prodotto finito. Ritengo che il merito sia del fantastico lavoro di squadra dei nostri collaboratori con partner e fornitori».

Come è maturata l’idea?
La carenza di dispositivi di protezione non interessava solo chi stava combattendo il virus negli ospedali. Le aziende, per lavorare in sicurezza, dovevano fornire mascherine ai loro collaboratori, spesso cambiandone due al giorno, con costi enormi, anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale, vista la quantità di rifiuti legata al loro impiego. Un problema che anche noi abbiamo dovuto affrontare. E così, ho cominciato a informarmi, arrivando a scoprire l’avvio del bando Cura Italia Incentivi da parte dell’agenzia nazionale Invitalia, pensato per finanziare le realtà che si fossero messe nelle condizioni di aumentare sensibilmente la produzione di dispositivi di sicurezza o che si rendessero disponibili in tempi brevi a riconvertire linee produttive e reparti interni allo stesso scopo. L’elenco previsto dal bando comprendeva diversi dispositivi medici e DPI: non solo mascherine ma anche guanti, camici, occhiali, visiere e strumentazioni.

C’è chi ha definito il bando Cura Italia Incentivi una lotta contro il tempo…
La tempistica, in linea con la situazione di emergenza, era molto serrata: uscito l’avviso il 24 marzo, solo due giorni dopo sarebbe stato attivato lo sportello per raccogliere le domande. Dopo qualche riflessione e una rapida analisi tecnica, la sera del 26 abbiamo deciso che sarebbe stato fantastico provare a partecipare, progettando e costruendo gli stampi ad hoc per produrre mascherine riutilizzabili. Non c’era tempo da perdere e il progetto è stato scritto praticamente in una giornata. Alle 23.02 del 27 marzo, quando abbiamo inviato la domanda, erano arrivate richieste che coprivano quasi il doppio dei cinquanta milioni di euro messi a disposizione. Dati questi numeri, non credevamo di poter essere presi in considerazione. Nei giorni successivi abbiamo ricevuto la richiesta di integrare la documentazione tecnica sulla nostra idea e, allo scadere dei cinque giorni che Invitalia aveva previsto per la valutazione, la sera del 3 aprile, abbiamo ricevuto la comunicazione di ammissione. Il rispetto delle tempistiche è stato davvero sorprendente.

Su quali presupposti tecnici avete deciso di partecipare?
Non abbiamo mai realizzato dispositivi di protezione, ma siamo esperti di stampaggio a iniezione perché è il nostro core business da 48 anni. Inoltre, abbiamo esperienza nella produzione di componenti per ossigenatori per la cardiochirurgia e altri dispositivi medicali. Abbiamo perciò studiato una mascherina da realizzare con questa tecnologia, utilizzando materiali termoplastici biocompatibili, sfruttando al meglio ciò che sappiamo fare. Il dispositivo è stato progettato in codesign con Provide Solutions di Piacenza, partner come noi della rete di imprese Operatech, con la quale sono stati sviluppati i prototipi in stampa 3D. Fondamentale è stata anche la collaborazione con FBN Filtri di Reggio Emilia per l’identificazione di un materiale filtrante di altissima qualità per la certificazione della nostra mascherina.
Il 6 aprile è partita la corsa contro il tempo e in poco più di tre settimane, lavorando anche il sabato e la domenica, abbiamo adattato un intero reparto, realizzando anche opere murarie e rinnovando una parte di impiantistica. Facoltà, questa, prevista dal bando. Alla fine del mese eravamo pronti a produrre.

Quali lavori sono stati necessari alla riconversione del reparto?
Nel reparto, per molti anni, abbiamo prodotto a servizio di un colosso del food packaging e quindi era già predisposto per lavorazioni con un livello di igiene elevato, secondo gli standard della cleanroom classe ISO 8. Abbiamo risistemato la pavimentazione e installato nuovi sistemi di ventilazione per garantire la corretta aerazione e la filtrazione dell’aria, Al termine dei lavori, avevamo a disposizione un’area pronta per operare nelle massime condizioni di igiene richieste.

ReMask ha superato i test obbligatori sulla biocompatibilità, sull’efficienza di rimozione batterica, traspirabilità e pulizia microbica. Attualmente è in fase di valutazione in fase per la Certificazione come “Mascherina Chirurgica Tipo I” presso l’Istituto Superiore di Sanità

È stato difficile realizzare questi interventi nel periodo del lockdown?
Alcune realtà – compresa la nostra – erano ancora attive perché inserite nei codici Ateco riservati alle imprese coinvolte nei lavori a servizio dell’emergenza sanitaria, mentre altre hanno potuto ricominciare grazie alle deroghe rilasciate dalla prefettura per partecipare al nostro progetto. L’allestimento del reparto è avvenuto in parallelo alla produzione nell’altro reparto di stampaggio, che avevamo comunque ridotto a circa il 50% della capacità per garantire il distanziamento degli operatori. Pur concentrati sul nuovo progetto, abbiamo prodotto per filiere delle quali siamo normalmente fornitori e che in queste settimane hanno avuto un importante incremento di attività: dal medicale all’arredo e ai materiali per le strutture sanitarie, fino al packaging di cibi freschi e lettori di codici a barre.

E invece, come avete organizzato le nuove linee di produzione?
Abbiamo acquistato due nuove presse a iniezione da dedicare esclusivamente alla produzione del corpo mascherina e della ghiera per filtro. Ci siamo quindi dotati di due Arburg full electric con forza di chiusura di 100 tonnellate, equipaggiate con i relativi ausiliari e un robot Sytrama utile all’estrazione della mascherina dallo stampo. L’ottimo rapporto con Arburg, nostro partner abituale, ma anche un pizzico di fortuna, hanno favorito la rapidità della fornitura delle macchine, già disponibili presso la filiale italiana con l’esigenza di qualche minima personalizzazione. Se così non fosse stato, la casa madre tedesca si era dichiarata disponibile ad agevolarci, avendo stabilito di dare la priorità agli ordini per le aziende a servizio dell’emergenza Covid-19.
Gli stampi, invece, sono stati progettati e costruiti nel tempo record di tre settimane grazie alla collaborazione con AD Stampi di Piacenza.

Quali ritiene siano state le maggiori criticità del progetto?
Abbiamo presentato il bando con l’obiettivo di certificare il nostro prodotto secondo gli standard della Mascherina Chirurgica di Tipo I. Le maggiori criticità sono state quelle riferite all’iter di certificazione della mascherina, un requisito imprescindibile per garantire tutti i criteri di qualità richiesti. È stata la parte più impegnativa, perché ci approcciavamo per la prima volta a questo tipo di esperienza, ma abbiamo potuto contare su una collaborazione che non esito a definire straordinaria. Innanzitutto da parte di Unindustria Reggio Emilia, del sistema Confindustria, e poi del Tecnopolo di Mirandola (Modena), che hanno seguito numerosi progetti nati in queste settimane sul territorio, fornendo un supporto di altissimo livello e indispensabile per gestire lo svolgimento dei test obbligatori, a partire dalla norma UNI 10993 sulla biocompatibilità e UNI 14683 sulla efficienza di rimozione batterica, la traspirabilità e la pulizia microbica. Il Tecnopolo di Mirandola ha curato anche la predisposizione del dossier per completare l’iter di Certificazione presso l’Istituto Superiore di Sanità.

Nel racconto del progetto si legge un perfetto lavoro di squadra…
La nostra convinta appartenenza a Confindustria non è figlia di questi tempi di emergenza. Ho sempre creduto nella necessità di creare reti di condivisione delle conoscenze e delle informazioni, perché chi fa impresa non può prescindere dalla collaborazione e dal valore del confronto. Non si può pensare di essere autosufficienti in tutto e serve l’umiltà di riconoscere il valore delle competenze altrui, che possono essere messe a disposizione di un progetto comune. Quello che abbiamo realizzato in poche settimane credo sia la più bella conferma di questa convinzione.

Veniamo alla mascherina. Quali le sue caratteristiche tecniche?
La nostra mascherina, realizzata in polietilene a bassa densità, non è pensata per il personale sanitario, ma per tutte le altre categorie che necessitano di protezione, in modo da consentire che le cosiddette “chirurgiche” rimangano il più possibile a disposizione degli ospedali. Nella forma è simile, ma più leggera, ai DPI per impieghi industriali in verniciatura o per proteggere gli operatori dal contatto con le polveri. Segue l’anatomia del viso, coprendo naso e bocca e lambendo le guance fino sotto il mento. Al centro è presente un foro circolare, che ospita un filtro realizzato con lo stesso materiale delle mascherine chirurgiche tradizionali, con il vantaggio di risparmiarne l’utilizzo del 75-80%. A differenza di altre aziende che stanno proponendo prodotti simili, abbiamo deciso di realizzare un filtro più grande, con un diametro di 70 millimetri, sacrificando l’estetica a favore della garanzia di un ottimale ricambio d’aria. Un aspetto, quest’ultimo, molto importante per evitare affaticamento respiratorio nell’utilizzatore, con la conseguente diminuzione della saturazione dell’ossigeno nel sangue. Dal punto di vista della forma, abbiamo svolto diverse prove mediante prototipi stampati in 3D, cercando il massimo grado di comodità, che certamente dipende anche dalla morfologia del viso di ciascuno, anche se non va mai dimenticato che si sta lavorando innanzitutto per far fronte a un’emergenza.

La linea per la produzione della mascherina comprende due presse Arburg full electric con forza di chiusura di 100 tonnellate, equipaggiate con i relativi ausiliari e un robot Sytrama utile all’estrazione dei pezzi dallo stampo

Perché avete deciso di utilizzare il polietilene?
Il polietilene a bassa densità consente il giusto mix fra la consistenza utile al sostegno del filtro e la morbidezza a contatto con il viso, anche se ormai tutti abbiamo imparato che il livello di confort dipende dal tempo di utilizzo del dispositivo. Certamente la possibilità di produrre tramite stampaggio a iniezione permette di superare in termini di comfort le mascherine rigide inizialmente prodotte in 3D, la tecnologia che per prima è stata utilizzata per far fronte alle richieste dettate dell’emergenza.
Al momento, stiamo effettuando prove con elastomeri che, a differenza dei termoplastici, possono garantire, oltre a una maggiore morbidezza, anche la trasparenza. Qualora avessimo riscontri positivi, saremmo in grado di utilizzare gli stampi già pronti, apportando solo minime modifiche alle condizioni di processo.

Oltre alla possibilità di riutilizzo, quali vantaggi offre la mascherina?
È lavabile e sanificabile con alcol e disinfettanti comuni, di lunga durata ed economica perché viene sostituita solo la parte del filtro, con un risparmio straordinario anche per chi dovrà farne un uso continuo. Qualcuno ci ha chiesto la possibilità di utilizzare tessuti filtranti sanificabili, per ridurre ulteriormente l’impatto economico sull’end user ma, ad oggi, ci risulta che questi materiali non si possano certificare. Il dispositivo elimina i problemi e il fastidio legati al contatto della bocca con il tessuto e al suo rilascio di piccole parti di fibre. È stabile sul viso e non deve essere risistemata di continuo mentre si parla. Ha un ampio raggio di visibilità perché si indossa con il filtro inclinato verso il basso e non fa appannare gli occhiali. Il corpo della mascherina non assorbe liquidi e sporcizia e si pulisce in un attimo mentre il filtro è protetto dalla ghiera.

Come sarà distribuita?
Il bando Cura Italia Incentivi prevede l’obbligo di rispettare la priorità di fornitura in caso di richiesta da parte dei canali governativi, a partire dalla Protezione Civile. In assenza di domanda, la produzione può essere destinata anche ad altri canali commerciali. In questi giorni, tramite iniziative del sistema Confindustria, e in risposta alle molte richieste che ci stanno pervenendo, stiamo interloquendo con il sistema delle farmacie, con imprese private, con rivenditori di DPI e dispositivi anti-Covid-19 e altre categorie. L’emergenza non è ancora passata e quindi l’interesse si mantiene alto, soprattutto per un prodotto di elevata qualità.

Le mascherine vengono imballate manualmente nel reparto di produzione, predisposto secondo gli standard della cleanroom classe ISO 8

I meccanismi di finanziamento previsti dal bando di Invitalia hanno funzionato?
Il bando garantisce un finanziamento del 75% del progetto con un prestito senza interessi (tasso zero). È previsto un sistema di premialità legato alla velocità di intervento, che trasforma il mutuo in fondo perduto al 100% se si conclude l’investimento in 15 giorni, al 50% se si conclude in 30 giorni e al 25% in 60 giorni. La condizione è che si porti a termine il piano di investimenti e l’iter di certificazione. All’ammissione del progetto è previsto un anticipo immediato del 60% delle agevolazioni, concesse senza garanzie. Il nostro progetto ha un valore di 394.000 euro e cinque giorni dopo l’ammissione abbiamo ricevuto 177.300 euro. Anche da questo punto di vista, quindi, il rispetto delle tempistiche è stato notevole.
Non mancano però alcune criticità. La rendicontazione può essere presentata solo dopo aver effettuato e pagato la totalità degli investimenti, pertanto rimane da gestire una scopertura finanziaria per il restante 40%, oltre al 25% già previsto in autofinanziamento. I nostri Istituti di Credito hanno manifestato la volontà di supportarci ma, in questo periodo, le procedure bancarie non sono molto snelle. Ritengo che sarebbe stato più agevole accettare i tempi di pagamento più lunghi concordati con i Fornitori, vincolando il finanziamento alla regolarità dei saldi. Si tratta certamente di un aspetto impegnativo, ma andiamo avanti convinti di aver trasformato in realtà una bella idea.

Finita l’emergenza continuerete ancora questo tipo di produzione?
Fino a oggi, assorbiti come eravamo dal progetto, non abbiamo compiuto valutazioni specifiche in tal senso. Abbiamo completato l’industrializzazione, avviato la produzione e terminato i test per la certificazione come dispositivo medico. La nostra mascherina, per la sua conformazione, potrebbe avere le carte in regola anche per la certificazione come DPI e, terminata l’emergenza, vorremmo considerare l’ipotesi di proporla per tutelare i lavoratori destinati a particolari mansioni. Potrebbe, quindi, rappresentare un primo passo verso lo sviluppo di una nuova linea di dispositivi medici e DPI o rivelarsi uno strumento per rafforzare la nostra collaborazione con il settore medicale.


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