Cesare Colombo, in arte Joe, non ci ha insegnato il futuro, come recita il titolo accattivante della mostra che la GAM, la Galleria d’Arte Moderna di Milano, gli dedica dal 24 maggio al 4 settembre 2022, ma quasi. “Caro Joe Colombo, ci hai insegnato il futuro”, a cura di Ignazia Favata, ci introduce in un mondo di forme affascinanti, plastiche e organiche, dettate da un’idea di design non semplicemente “centrato sull’utente” come oggi si usa proclamare anche a sproposito, ma che letteralmente lo avvolge, in cui gli oggetti sono elementi liberamente combinabili e costituiscono un sistema organico, pronto a soddisfare esigenze funzionali ed estetiche grazie al concorso di diverse discipline: dalla tecnologia della produzione industriale all’arte, dall’elettronica all’ergonomia. Se avessimo imparato da Joe Colombo forse oggi, oltre mezzo secolo dopo la sua scomparsa davvero prematura, vivremmo tutti in ambienti confortevoli, con arredi trasformisti, accessoriati di tutto ciò che ci occorre senza orpelli. Di sicuro lui è lì che abita, nel paradiso dei designer intelligentemente visionari.
Arte, design e il mondo nuovo di Joe Colombo
«Il designer non disegnerà più solo con la matita, ma creerà con la collaborazione di tecnici, scienziati, professori e dottori e, in un futuro abbastanza immediato, con un cervello elettronico» era la visione di Joe Colombo e che emerge chiaramente dalla mostra.
Il percorso espositivo della GAM incomincia con le Edicole Televisive, installate nel 1954 alla Triennale di Milano per invitare il pubblico a seguire trasmissioni informative diffuse da apparecchi Zenit, e con l’arredamento, sconcertante per quegli anni, del Jazz Club Santa Tecla, risolto come un collage di manifesti e manichini disintegrati che pendevano dal soffitto. Studente all’Accademia di Brera e al Politecnico di Milano, Joe Colombo (1930-1971) aderisce al Movimento Arte Nucleare (con Enrico Baj e Sergio D’Angelo, Arman e Yves Klein, tra gli altri) progettando una Città Nucleare, articolata in uno “strato terrestre” per le abitazioni e in uno sotterraneo con automobili, servizi, magazzini e metropolitana.
Nel 1959, alla morte del padre, Colombo si prende carico dell’azienda di famiglia, specializzata nella produzione di conduttori elettrici, dove impara la logica della produzione industriale e incontra i materiali del futuro: la fibra di vetro, il PVC, il polietilene. Nel 1962 fonda uno studio di design e architettura con il fratello Gianni, vincendo presto due premi: In-Arch, per il controsoffitto in metacrilato nell’Albergo Continental a Platamona in Sardegna, e la medaglia d’oro alla XIII Triennale di Milano del 1964 con la lampada Acrilica per O-Luce. Prende il nome dal materiale, il PMMA: la fonte luminosa è nascosta sulla base in metallo e si diffonde nel corpo trasparente ricurvo, utilizzando lo stesso principio di produzione della segnaletica illuminata per esterni.
Modulare e multifuzionale
Lo studio delle forme astratte e della modularità, centrali nella poetica del Movimento Arte Concreta, cui partecipò a metà degli Anni Cinquanta frequentando artisti-designer come Bruno Munari, si fuse con l’interesse per le tecnologie industriali e i nuovi materiali plastici. I suoi design attirarono l’interesse di Giulio Castelli, fondatore di Kartell, che decise di investire nella sedia Universale 1965, originariamente progettata in alluminio e successivamente stampata in resina termoplastica. Il cuore del progetto sono le gambe, ideate per essere sfilabili e sostituibili con elementi di diversa lunghezza: di misura standard per la sala da pranzo, più corte per accomodarvi i bambini, più alte in versione da bar.
Nella poltrona Multi-Chair del 1970, due cuscini imbottiti di forma diversa e rivestiti di tessuto elasticizzato, entrambi con una parte ampia adatta a una seduta comoda, costituiscono un sistema: possono essere utilizzati singolarmente, uniti da due ganci e da una striscia di pelle, accostati o sovrapposti in posizioni diverse, diventando sedie, poltrone da conversazione, da relax e chaise longue.
È modulare anche Boby, carrello portaoggetti disegnato per soddisfare le esigenze di conservazione e archiviazione di architetti, ingegneri, designer. B-Line l’ha realizzato tramite stampaggio a iniezione in ABS, proposto in colori vivaci e dotato di rotelle come molti degli arredi di Colombo. Il sinuoso spaccato dei ripiani interrompe la rigidità del volume a parallelepipedo, i cassetti a sbalzo invitano ad aprirli e a ruotarli verso l’esterno grazie a un mandrino nascosto. «Considerata la crescente e rapida evoluzione della razza umana, vorrei progettare oggetti utili, autonomi e flessibili che possano essere coordinati, convertiti e utilizzati in modi diversi, così da adattarsi sempre alle esigenze dell’utente» spiegava il designer.
Tubo, l’icona del futuro
Ma il pezzo più sorprendente, che esemplifica quell’irripetibile ibridazione tra un progettare “democratico”, a libera interpretazione, e la Pop Art, allora contemporanea, che ha reso Joe Colombo un mito per tutto il design a venire, è la sedia Tubo. Il primo sistema di seduta commercializzato in una sacca chiusa da un cordoncino è costituito di quattro tubi di plastica in dimensioni diverse, ricoperti di schiuma di poliuretano espanso e rivestiti di vinile, inseriti uno dentro l’altro. Una volta aperta la sacca, l’acquirente poteva combinarli in qualsiasi sequenza desiderasse – una sedia da lavoro, chaise longue e, con due kit, un vero e proprio divano – unendo due set tra di loro utilizzando giunti di raccordo tubolari di acciaio e gomma.
Del 1963 è la poltrona Elda, uno dei suoi primi prodotti, realizzata nel 1965. Disegnata all’epoca per l’azienda italiana Comfort, la struttura e la scocca sono realizzati in fibra di vetro usando uno stampo in poliuretano. A partire da questa seduta, intitolata alla moglie, Colombo incominciò a utilizzare la plastica per moduli di grande superficie, sostituendo il legno e ispirandosi alla tecnologia di costruzione degli scafi delle barche, per ottenere con il materiale composito una struttura insieme leggera e resistente. Il corpo è a forma di conchiglia e lo schienale è rivestito al suo interno con ampi cuscini che forniscono un certo grado di isolamento acustico; la base della poltrona ruota a 360 gradi. Si può ammirare in un telefilm di culto degli anni Settanta, “Spazio 1999”.
Come in una navicella spaziale
Tutti i mobili di Joe Colombo sono in qualche modo “congegni”, mutanti che diventano altri mobili, in qualche modo pronti a combinarsi fino a completare un’unità organica e autonoma che permette di abitare in qualsiasi ambiente. Supportato dai suoi studi di ergonomia e psicologia realizza monoblocchi polifunzionali come la MiniKitchen per Boffi e il Box 1 per La Linea e unità abitative complete ultracompatte. Nel concept del 1969 Visiona 1, realizzato in collaborazione con Bayer, “la cucina consisteva in un Kitchenbox-Block completamente automatizzato” spiegano Klaus-Jurgen Sembach, Gabriele Leuthauser e Peter Gossel nel volume Design di mobili del XX secolo edito da Taschen nel 1990 “e ricordava nei dettagli il banco di manovra di una centrale di comando. Intorno al tavolo da pranzo c’erano sedie di plastica, una cabina-letto rotonda era collegata a una stanzetta da bagno”. Il designer definiva le microunità “macchine coordinate per vivere in un mondo nuovo”. Così Joe ci insegnò il futuro.