Il piano UE per l’industria verde

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Ai quattro pilastri fondamentali del piano UE, si aggiungono due recenti atti normativi che rafforzano l’industria delle tecnologie per la decarbonizzazione e individuano nuovi materiali critici. Se ne parla in questo articolo di Marianna Capasso, pubblicato sulla rivista Plastix di maggio 2023.

Nel mese di gennaio 2023 l’Unione Europea ha presentato il suo nuovo piano industriale che, attraverso un percorso caratterizzato da investimenti, mira a raggiungere la neutralità climatica. Con il suo Green Deal Industrial Plan, l’UE dovrebbe confermarsi la patria dell’innovazione industriale, mobilitando ingenti risorse destinate alle imprese regionali, affinché queste adottino tecnologie a ridotto impatto ambientale e restino competitive sul mercato comunitario, ma anche altrove. Sarà necessario puntare su linee produttive green, con l’utilizzo di un’efficace tecnologia pulita e, nel lungo periodo, l’Unione dovrà raggiungere una sorta di indipendenza produttiva, senza più dipendere da paesi terzi.

Sono quattro i pilastri del Green Deal Industrial Plan: favorire gli investimenti critici, attraverso il Net Zero Industry Act e il Critical Raw Materials Act; predisporre incentivi per evitare la fuga di imprenditori; sviluppare le competenze necessarie per realizzare la transizione; facilitare un commercio aperto ed equo, a beneficio di tutti

Per realizzare questo lungimirante progetto – frutto di una quasi obbligata reazione alle politiche industriali di Cina e USA – Bruxelles ha strutturato un percorso ben preciso, basato su nuove normative, finanziamenti, competenze e scambi commerciali facilitati. Lo ha fatto delineando quattro pilastri fondamentali: il primo favorirà gli investimenti critici, attraverso due specifici Atti, mentre il secondo provvederà all’offerta di incentivi, per evitare che le imprese si dirigano altrove, attratte da agevolazioni più interessanti. Con il terzo si punterà allo sviluppo delle necessarie competenze per realizzare la transizione, che dovrà avvenire attraverso scambi equi ed aperti – concetto su cui punta il quarto pilastro.

Il primo pilastro e il Net Zero Industry Act

Il primo pilastro del Green Deal Industrial Plan risulta particolarmente “portante”, puntando su progetti strategici lungo l’intera catena di approvvigionamento: prevede la semplificazione e la velocizzazione delle autorizzazioni per i nuovi siti produttivi, affinché sia più facile investire in settori critici, per raggiungere un’economia a basse emissioni, attraverso l’utilizzo di energia eolica, solare e per il tramite di tecnologie all’idrogeno, come già stabilito nel NextGenerationEU e nel REPowerEU. Per fare ciò è necessario poter contare su uno strumento prescrittivo. Nel giro di pochi mesi è stato infatti presentato un nuovo Regolamento europeo che possa normare la materia: il Net Zero Industry Act.

Similmente a quanto già accaduto con il Chips Act – il pacchetto legislativo europeo sui semiconduttori, approvato l’8 febbraio 2022 dalla Commissione Europea, con una mobilitazione di 43 miliardi di euro – questo nuovo atto rappresenta il primo step di un percorso non semplicissimo, ma sicuramente valido. Rispetto al classico procedimento che caratterizza i Regolamenti, data l’urgente necessità di agire non è stata effettuata alcuna valutazione d’impatto e non è stata prevista alcuna consultazione pubblica online. Poiché è vitale perseguire una capacità produttiva di tecnologie net zero – anche come risposta a situazioni attualmente in atto, tra cui il conflitto bellico russo-ucraino e l’Inflation Reduction Act degli USA – sarà necessario partire quanto prima per raggiungere il target previsto dalla normativa.

Con il Critical Raw Materials Act diventano 34 i minerali critici, di cui alcuni strategici

Il Net Zero Industry Act stabilisce, infatti, che entro il 2030 almeno il 40% delle necessità europee, in materia di tecnologie green, dovrà essere Made in Europe. Basta, quindi, dipendere da paesi terzi, con tutte le problematiche connesse e le possibili strozzature. L’Europa dovrà diventare leader nelle nuove tecnologie considerate strategiche per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità carbonica. Il nuovo contesto normativo farà sì che avvenga una accelerazione della transizione verso l’energia pulita, grazie al miglioramento delle attuali condizioni in comparti fondamentali. Ma, per fare ciò, sono necessarie importanti risorse, e l’UE si impegna a provvedere, in tal senso.

Il Critical Raw Materials Act e gli incentivi necessari

Sempre contestualmente agli obiettivi del primo pilastro, è stata emanata un’altra importante normativa, il Critical Raw Materials Act, con l’intento di ridurre la pericolosa subordinazione dell’UE a paesi terzi – e in particolare alla Cina. Oggi Bruxelles dipende, quasi totalmente (98%), dal gigante asiatico per le terre rare (quei metalli essenziali per realizzare prodotti d’alta tecnologia, tra cui la produzione di energia eolica, l’immagazzinamento dell’idrogeno e le batterie). Allo stesso tempo, paesi come la Repubblica democratica del Congo, fortemente instabili, non possono dominare l’estrazione del cobalto e lasciare le maggiori potenze appese a crisi geopolitiche. Medesima situazione per il litio, con una catena d’approvvigionamento particolarmente stretta, che provoca un incredibile innalzamento dei prezzi e possibili dannosi ritardi, minando la competitività dell’industria europea.

Con una modalità d’incentivo semplificata, sarà possibile fidelizzare le imprese regionali e attrarre quelle extra UE

Dunque, l’UE ha in mente una doppia puntata: da un lato dovrà migliorare nel campo della raffinazione, della lavorazione e del riciclo di materie prime, su territorio regionale. Dall’altro dovrà diversificare le partnership, cercando nuove collaborazioni che riescano a bypassare la problematica del soffocante monopolio. Tutto corretto, e anche molto interessante, se non fosse che per riuscire a realizzare il piano sono necessarie risorse, nella forma di incentivi e finanziamenti per la produzione di tecnologie pulite, nel più breve termine. È qui che entra in gioco il secondo pilastro che, grazie alla predisposizione di misure agevolative, offrirà alle imprenditorie europee la possibilità di realizzare investimenti. Ma il progetto va oltre: perché non far sì che il Vecchio Continente risulti talmente attrattivo da suscitare l’interesse anche di imprese extra regionali? Per fare ciò, sulla falsariga dell’Inflation Reduction Act (IRA) statunitense, sarà necessario lavorare sul quantum ma anche sul quomodo, ovvero sulle modalità d’accesso agli incentivi, che dovranno risultare semplici e mirati. Si parla anche di un possibile Fondo sovrano europeo, che dovrebbe essere creato nel medio termine, le cui risorse saranno destinate a ricerca e innovazione, nonché a progetti strategici per il raggiungimento del net zero.

Dalle competenze a un commercio equo, per tutti

Lo sviluppo delle competenze necessarie, per realizzare la transizione, è l’oggetto del terzo pilastro. Con tecnologie sempre più innovative, le imprese avranno bisogno di un personale fortemente qualificato, con una valida expertise nel settore green, sia da un punto di vista prettamente operativo (ingegneri, tecnici e scienziati) che teorico (legali, fiscalisti et similia). Anche alla luce delle diverse normative, sarà necessario il supporto di esperti, pratici della materia e del nuovo diritto, con professioni plasmate sulle esigenze di un mercato sempre più orientato verso gli aspetti ambientali.

Con un substrato lavorativo così formato, l’Europa volerà veloce, aprendosi al mondo e attraendolo, allo stesso tempo. Ma, a questo punto, si potrebbe porre un nuovo problema, che s’inserisce in un più ampio discorso: l’eticità del commercio globale, una problematica che viene affrontata nel quarto pilastro. Con l’abbattimento delle frontiere commerciali, i paesi dovrebbero giocare una partita ad armi pari, sullo scacchiere geoeconomico, nel reciproco rispetto delle regole. Tuttavia, non è sempre così, e i fatti lo hanno più volte dimostrato. Pensiamo alla Cina, e al segreto del suo successo. Negli anni passati, soprattutto, il gigante asiatico è riuscito ad attrarre un numero incalcolabile di imprenditori grazie a condizioni particolarmente allettanti, tra irrisori prezzi energetici, manodopera a bassissimo costo o normative favorevoli che calpestavano i diritti fondamentali, innescando una sorta di concorrenza falsata. Con questa metodologia, utilizzata non solo dalla Cina ma anche da altri paesi, il commercio si assetta in maniera iniqua, sbilanciando gli equilibri e danneggiando i competitor in maniera sleale.

Per ovviare a tutto ciò, come suggerisce il quarto pilastro, l’UE dovrà avviare un dialogo produttivo con i suoi più importanti partner, ovvero Cina e Stati Uniti. Nell’ultimo anno entrambi hanno offerto sussidi di massa per vincere la corsa alla tecnologia verde, mentre Bruxelles guardava impotente. L’Inflation Reduction Act, ad esempio, è una delle più importanti Leggi sul clima nella storia americana: mette sul tavolo 369 miliardi di dollari destinati alla transizione verde e risulta fortemente attrattivo per le imprenditorie della mobilità elettrica.

Cosa accadrebbe qualora queste decidessero di lasciare l’UE per dirigersi oltreoceano? Il Vecchio Continente resterebbe scoperto, in maniera pericolosa. Ad ovest, poi, i sussidi energetici offerti dalla Cina fanno gola. Pertanto, il Green Deal Industrial Plan è frutto di una riflessione che porta all’azione.

Marianna Capasso


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