Il riciclo chimico è pronto a partire?

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Ineos Styrolution e Trinseo realizzeranno un impianto pilota nel Regno Unito per il riciclo chimico che sfrutterà il processo di pirolisi sviluppato dalla britannica Recycling Technologies (Foto Recycling Technologies)

Trasformare i rifiuti plastici difficili, poco economici o impossibili da recuperare per via meccanica in materie prime da reintrodurre nel cracking è un’idea senza dubbio affascinante, soprattutto se si trovasse il modo di allocare, pro quota, questi feedstock circolari in plastiche, additivi o altre specialità chimiche. In altre parole, se si potesse affermare, senza tema di smentita: “questo imballaggio è prodotto facendo uso di plastica riciclata”, anche se – dal punto di vista chimico – il contenuto fosse interamente vergine.
Il metodo esiste e sta prendendo sempre più piede: è il bilancio di massa (mass balance), di cui abbiamo già parlato sulle pagine di questa rivista. In sostanza, al produttore di plastiche viene “concesso” di allocare, a suo piacimento, i volumi di feedstock da riciclo chimico utilizzati in produzione, purché vi sia una precisa corrispondenza tra input e output, e questa sia garantita da un ente terzo secondo procedure di tracciamento rigorose e riconosciute.

L’industria si muove

Quasi tutti i principali fornitori europei di plastiche utilizzano già questo approccio e stanno procedendo alla certificazione dei propri siti produttivi: uno dei più noti è lo schema ISCC Plus. Gradualmente, anche i compounder, i trasformatori e, scendendo a valle, gli utilizzatori finali stanno aderendo alla filiera certificata, poiché solo chiudendo il cerchio, tracciando cioè la materia prima circolare dal cracker allo scaffale, i benefici ambientali possono essere comunicati al consumatore. Allo stesso tempo, i produttori di plastica stanno stringendo accordi di partnership e di fornitura con le poche aziende che producono queste materie prime circolari (principalmente olio di pirolisi e syngas), oppure con chi detiene le tecnologie capaci di trasformare i rifiuti plastici in feedstock, o direttamente in monomeri (depolimerizzazione), anche perché l’offerta al momento scarseggia, sebbene vi siano sulla carta progetti per centinaia di migliaia di tonnellate, molte delle quali in Europa.
Ci sono però due grandi limiti alla creazione di nuove capacità di trattamento: il primo è la disponibilità di processi di riciclo efficienti ed economici su larga scala, ancora in fase di laboratorio o pilota, in alcuni casi a livello dimostrativo; il secondo è il riconoscimento normativo di materiali e prodotti realizzati con feedstock circolari, così come del processo di attribuzione mediante bilancio di massa.

Serve più chiarezza

Un quadro normativo “forte e armonizzato” a livello europeo sul riciclo chimico è quanto chiede PlasticsEurope, la federazione dei produttori europei di materie plastiche. Una condizione ritenuta necessaria per sbloccare gli investimenti annunciati dall’industria, che sono tutt’altro che esigui: secondo l’associazione, ammonterebbero a 2,6 miliardi di euro entro il 2025, cifra che potrebbe toccare 7,2 miliardi di euro nel 2030. Le capacità di plastiche rigenerate per via chimica, pianificate nei prossimi quattro anni, sono pari a 1,2 milioni di tonnellate e potrebbero arrivare a 3,4 milioni di tonnellate nel 2030, agevolando così il raggiungimento degli obiettivi annunciati dalla Commissione europea. Traguardo che porterebbe due grandi vantaggi rispetto al riciclo meccanico: la possibilità di trasformare, rigenerandoli, rifiuti plastici non recuperabili in modo convenzionale, oggi destinati a incenerimento o discarica, e ottenere materiali con le stesse caratteristiche e prestazioni di quelli vergini. Prima, però, è necessario che il riciclo chimico trovi un riconoscimento ufficiale a Bruxelles, con un quadro normativo armonizzato e una posizione di rilievo nella gerarchia di gestione dei rifiuti. «Il riciclo chimico può rappresentare un punto di svolta e un elemento chiave per l’economia circolare, non solo in Europa» nota Markus Steilemann, presidente di PlasticsEurope e CEO di Covestro.

«L’aumento degli investimenti annunciati conferma la determinazione dell’industria nell’affrontare il problema dei rifiuti di plastica e sostiene gli ambiziosi obiettivi del Green Deal europeo relativamente a clima e sostenibilità». Steilemann aggiunge: «Per sfruttare il potenziale del riciclo chimico abbiamo bisogno di un mercato unico armonizzato e forte: dobbiamo sfruttarne il potenziale e proteggerne l’integrità. Dobbiamo inoltre riconoscere che abbiamo un interesse comune: adeguare la nostra economia a quelle che potranno essere le sfide del futuro, attraverso tecnologie innovative come il riciclo chimico».

L’ECHA valuta resa, sfide e benefici

L’agenzia chimica europea (ECHA) ha commissionato una ricerca sul riciclo chimico dei rifiuti per valutare la resa delle attuali tecnologie, esaminare opportunità, sfide e benefici per l’economia circolare, nonché mappare tecniche e applicazioni disponibili o in fase pilota. L’ambito di studio include anche la registrazione REACh e le conseguenze della presenza di sostanze estremamente preoccupanti o di altre sostanze chimiche “legacy” nei materiali da avviare a riciclo chimico. Lo studio è condotto attraverso ricerche documentali, questionari e interviste a esperti e operatori di settore. Completata l’indagine, i risultati saranno diffusi sul sito dell’Agenzia e contribuiranno al nuovo piano di azione UE sull’economia circolare.

L’intera produzione di olio di pirolisi ottenuto mediante riciclo chimico da Renasci nell’impianto di Ostenda (Belgio) verrà utilizzato da Borealis per produrre le resine Borcycle C certificate ISCC Plus (Foto Renasci)

La visione americana

Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, l’associazione dei riciclatori americani, APR (Association of Plastic Recyclers), apre al riciclo chimico, purché sia complementare a quello meccanico, per recuperare frazioni aggiuntive di rifiuti e non venga utilizzato in modo surrettizio per produrre energia o combustibili. Chiede quindi che venga definito riciclo chimico solo quello circolare, dove i feedstock ottenuti dal trattamento di rifiuti plastici vengono reimpiegati esclusivamente per produrre nuova plastica. «A queste condizioni l’associazione è disposta a sostenere il riciclo chimico al fine di accelerare lo sviluppo dell’economia circolare e ridurre la dipendenza dalle risorse fossili» ha dichiarato il presidente di APR, Steve Alexander. «Inoltre, la facilità di riciclo chimico non dovrebbe fornire un alibi per non impegnarsi in interventi di ecodesign, al fine di rendere i manufatti in plastica meno impattanti e più facilmente riciclabili per via meccanica».

Corsa ai feedstock

In attesa di mettere in marcia nuovi impianti di riciclo chimico, i principali produttori di materie plastiche stanno siglando accordi di fornitura per feedstock esistenti o prossimi a giungere sul mercato, attivando anche partnership o acquisendo quote di aziende e start up per garantirsi gli approvvigionamenti.
La spagnola Repsol sta acquisendo una partecipazione di Ecoplanta Molecular Recycling Solutions, società posseduta dal gruppo francese Suez, attiva nella costruzione e gestione di impianti per la conversione di rifiuti urbani solidi in biocarburanti e intermedi chimici. Tra i progetti in corso, la realizzazione di un impianto di gassificazione rifiuti a Tarragona, che a regime sarà in grado di produrre 220.000 tonnellate di metanolo. L’austriaca Borealis ha siglato un accordo con la belga Renasci Oostende Recycling – di cui ha acquisito anche una partecipazione del 10% – per approvvigionarsi di feedstock ottenuti da riciclo chimico di rifiuti plastici destinati alla produzione di poliolefine circolari Borcycle C in diversi stabilimenti del gruppo. I rifiuti trattati da Renasci provengono dal circuito sia domestico sia industriale, una volta separata la frazione riciclabile per via meccanica. In base all’accordo, Renasci fornirà al gruppo austriaco l’intera produzione di olio di pirolisi del nuovo impianto di riciclo chimico di Ostenda (Belgio) pari a 20.000 tonnellate l’anno. Una volta immesso nel processo di produzione di polimeri, negli steam cracker europei di Borealis – partendo da quello di Porvoo (Finlandia) –, consentirà di sostituire materie prime fossili e i benefici ambientali verranno attribuiti alle resine Borcycle C attraverso bilancio di massa certificato ISCC Plus.

Modello circolare a cascata di Borealis

Tra le diverse iniziative in cantiere, BASF si è alleata con la società energetica norvegese Quantafuel e con il riciclatore tedesco Remondis per realizzare un nuovo impianto in Europa per il trattamento chimico dei rifiuti plastici. Remondis identificherà, selezionerà e fornirà il rifiuto da riciclare, mentre Quantafuel (partecipata da BASF) gestirà l’impianto e metterà a disposizione la tecnologia di riciclo chimico e purificazione dell’olio di pirolisi. Il gruppo tedesco, invece, utilizzerà questo feedstock nei propri impianti per produrre plastica circolare (con marchio Ccycled) mediante attribuzione con bilancio di massa, oltre a detenere la proprietà della tecnologia.

Passi avanti per nuovi impianti

Procedono anche i progetti per nuove capacità europee. Dopo aver individuato le sedi dei due impianti per il riciclo chimico di polistirene, Ineos Styrolution e Trinseo, nell’ambito di un accordo di sviluppo tecnologico, hanno identificato anche la tecnologia da utilizzare, vale a dire il processo di pirolisi sviluppato dalla britannica Recycling Technologies. Prima di passare su scala industriale, i due partner avvieranno l’anno prossimo nel Regno Unito un impianto pilota. Se il progetto riceverà il via libera, Ineos Styrolution ha già deciso di costruire la sua unità a Wingles, nel Nord della Francia, mentre Trinseo ha scelto Tessenderlo, in Belgio. Ognuno dei due impianti avrà una capacità di trattamento pari a 15.000 tonnellate annue di rifiuti di polistirene.

ABS con stirene circolare
Nell’ambito del progetto di ricerca europeo ABSolutely Circular, Indaver e Ineos Styrolution hanno prodotto il primo lotto di “ABrS”, un copolimero di acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS) dove la frazione stirenica proviene da riciclo chimico di rifiuti plastici (da qui la “r” nella sigla). I primi dieci chilogrammi di ABrS prodotti nei laboratori di Ineos Styrolution a Colonia e trasformati da Neue Materialien Bayreuth, sono comparabili con l’ABS vergine per quanto concerne le prestazioni e la lavorabilità, pur presentando un’impronta di carbonio inferiore di circa il 30%. Il progetto proseguirà con la costruzione di un impianto dimostrativo per il riciclo chimico ad Anversa (Belgio), affiancato da una piccola unità per la produzione di ABrS, al fine di ottimizzare il processo in previsione di un eventuale passaggio su scala industriale.
ExxonMobil ha siglato un accordo con Plastic Energy per implementare la tecnologia di riciclo chimico di rifiuti plastici misti in un nuovo impianto che sorgerà in Francia (Foto Plastic Energy)

Restando in territorio francese, ExxonMobil ha siglato un accordo con Plastic Energy per implementare la tecnologia di riciclo chimico di rifiuti plastici misti in un nuovo impianto che sorgerà dei pressi del petrolchimico di Notre Dame de Gravenchon, con una capacità iniziale di 25.000 tonnellate annue, scalabile a 33.000 tonnellate. La tecnologia sviluppata da Plastic Energy, battezzata TAC (Thermal Anaerobic Conversion), opera la conversione termochimica, in assenza di ossigeno, di frazioni di plastica mista, difficili da riciclare per via meccanica, da cui si ottiene un olio sintetico (Tacoil) riutilizzabile come materia prima per produrre nuove plastiche, intermedi e biocarburanti. Plastic Energy sta giocando su più tavoli: collabora con Sabic nella joint-venture 50-50 Spear, con Total nell’ambito del progetto di riconversione in bioraffineria del polo chimico di Grandpuits e con Ineos per la costruzione di un impianto in Germania. La società britannica è tra le più avanzate in questo settore, avendo già implementato il processo TAC in due impianti funzionanti a ciclo continuo, avviati in Spagna nel 2014 e 2017.

Sempre in Germania, LyondellBasell ha iniziato ad alimentare il cracking di Wesseling con olio di pirolisi proveniente dal riciclo chimico di rifiuti plastici per produrre etilene e propilene, dal quale ottiene polietilene e polipropilene commercializzati con il marchio CirculenRevive. Le materie prime circolari, alimentate nel processo, vengono attribuite mediante bilancio di massa certificato  ha recentemente certificato ISCC Plus tutti i siti europei. Parte della ricerca sul riciclo chimico avviene in Italia, nel sito di Ferrara, dove è in funzione l’impianto pilota MoReTec per il “riciclo molecolare avanzato”.


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