«La nostra attenzione alla sostenibilità parte da lontano, ma ha raggiunto piena concretezza soprattutto negli ultimi tre anni, con la decisione di investire con sempre maggior convinzione seguendo due importanti strade» racconta a Plastix il presidente e AD di Sirmax Massimo Pavin. «La prima è quella delle plastiche riciclate, che ci ha visti concentrare soprattutto su materiali da post consumo in Europa e sugli scarti da lavorazione industriale negli Stati Uniti. La seconda ci ha portato nel mondo dei biopolimeri compostabili, pensando a settori consolidati ma anche a tanti altri ancora tutti da sviluppare». Una strategia che ha visto l’avvio di numerosi progetti, «Testimoniata dalla scelta trasparente di dotarci del bilancio di sostenibilità, il cui percorso di certificazione è iniziato alcuni mesi fa per essere completato entro l’anno» sottolinea.
La sostenibilità oggi è un “must”. Quale ritiene sia l’approccio da seguire per essere credibili?
Mentre tante realtà si affrettano a promuovere la propria identità green per rispondere agli attacchi a cui è soggetta la plastica, abbiamo preferito annunciare il nostro impegno associandolo agli investimenti che ci hanno portato ad avere oggi una capacità per trattare fino a 45.000 tonnellate di polipropilene e polietilene proveniente da packaging post consumo, nobilitandoli in compound che l’industria dell’elettrodomestico e dell’auto trasformerà in componenti con un ciclo di vita di molti anni. Il nostro obiettivo, di fatto, è dar vita a cicli virtuosi attraverso un know-how interamente sviluppato in Sirmax e condiviso con i clienti finali. È la logica su cui, da sempre, si fondano le nostre scelte strategiche e che ha guidato l’acquisizione di SER e di Microtec, così come il potenziamento dei reparti di ricerca e sviluppo e della business unit “opportunity to market”. Un percorso in linea con le direttive europee e con la visione dei nostri partner, ai quali intendiamo trasmettere un messaggio non solo di vicinanza al territorio e all’ambiente, ma anche di apporto di capacità per migliorare i loro processi e prodotti.
Qual è il significato di “sostenibilità” per Massimo Pavin?
È una strategia fondata su un grande sforzo in termini di investimenti come di know-how, che ci consente di produrre materiali per realizzare componenti più nobili rispetto a quelli con un ciclo vita brevissimo, utilizzando in parte il materiale riciclato in tutte le applicazioni che lo consentano, in accordo con i nostri clienti. Un risultato ottenuto innanzitutto dal nostro settore di ricerca, che è riuscito a sviluppare i compound “sostenibili” della linea Green Isofil® e Green Isoglass®, oggi proposti a importanti clienti in sostituzione del polipropilene da fonti fossili con risultati incoraggianti non solo dal punto di vista delle performance. Da uno studio LCA condotto su una decina di famiglie “cluster” dei nostri materiali è infatti emerso un beneficio anche in termini di riduzione delle emissioni (si veda il riquadro a pagina 30, ndr).
E dal punto di vista degli investimenti?
Significa aver messo sul tavolo 70 milioni di euro, di cui circa 30 milioni per l’acquisizione e la riqualificazione di SER di Salsomaggiore Terme (Parma), azienda specializzata nel trattamento e nella rigenerazione delle materie plastiche post consumo, da cui ricava polimeri e compound di polipropilene e polietilene. L’impianto, acquisito nel 2019, l’anno successivo aveva già raddoppiato la capacità produttiva. Ad Anderson (Indiana), negli Stati Uniti, il nuovo stabilimento SER North America replica questo modello, dedicandosi allo sviluppo di materie plastiche per applicazioni tecniche partendo da scarti pre e post consumo.
Gli investimenti finora messi in campo non riguardano solo le acquisizioni o il potenziamento dei siti produttivi, ma anche la ricerca articolata sia nello sviluppo di procedure ottimizzate per formulare compound ad alte prestazioni da rifiuti eterogenei, sia nell’adozione di un approccio ingegneristico alla progettazione dei componenti che, unito a un miglior impiego delle elevate proprietà meccaniche offerte da alcuni compound, permette una produzione più efficiente. E, in quest’ultima operazione, è fondamentale l’apporto delle competenze di Smart Mold, società di ingegneria, spin off dell’Università di Padova, di cui l’anno scorso abbiamo rilevato il 50%, in aumento di capitale.
In quali comparti è più evidente questo valore aggiunto?
È il caso di alcuni prodotti destinati al settore automotive, sui quali è più stringente la necessità di correggere parametri non accettabili, come ad esempio quello degli odori del materiale riciclato. Oppure della riduzione dello spessore di alcuni componenti strutturali degli elettrodomestici attraverso l’impiego sia di compound più performanti, sia di stampi dotati di un rivestimento nanostrutturato – sviluppato appunto da Smart Mold – che consente di ridurre significativamente la pressione di iniezione, diminuendo il consumo di plastica vergine in tutte le applicazioni in cui non è possibile utilizzare quella riciclata.
Quali sono i principali obiettivi degli investimenti negli USA?
Gli Stati Uniti fino a poco tempo fa non sembravano interessati a implementare politiche green con la stessa convinzione dell’Europa. La pandemia ha determinato un cambio di passo, che potrebbe portare a un importante intervento normativo per l’introduzione nei manufatti di quote percentuali significative di plastica riciclata, a partire dal settore del packaging. Il mondo della ricerca è in grande fermento, come testimoniano i 43 milioni di dollari investiti a livello federale e gestiti da ReMade Institute per avviare ben 24 progetti innovativi. Con 100.000 euro di investimento annui (quindi ad oggi già 200.000), siamo partner di uno di questi, insieme all’Università del Massachusetts UMass, prima negli USA nel campo dello stampaggio a iniezione, con l’obiettivo di studiare un modello di riciclo degli scarti industriali in polietilene e polipropilene per un corretto riutilizzo nel settore dell’imballaggio. Il nostro contributo, oltre all’impegno economico, prevede la messa a disposizione di laboratori e impianti per effettuare le prove di riciclo concordate con i partner di progetto, tra cui spiccano colossi come Procter&Gamble, Unilever, Ravago.
A quali mercati saranno destinati i compound da post consumo prodotti in USA?
Al momento la ricerca è ancora in una fase iniziale, ma ritengo che potrebbero delinearsi due scenari. Il primo è un ciclo virtuoso che parte dal packaging e con esso si conclude, mentre il secondo prevede un processo di maggior valore aggiunto che nobilita i rifiuti di imballaggio trasformandoli in un bene durevole, come già avviene nei nostri stabilimenti in Italia. Lo studio potrebbe però evolvere anche su altri aspetti interessanti. In USA sta maturando la consapevolezza di intervenire anche sugli scarti difficili da trattare, come rafia, tessuti utilizzati nell’edilizia, nell’arredo o per le imbottiture, spun bond, film biorientati… Scarti industriali con densità nell’ordine di 0,2 chilogrammi su decimetro cubo, finora destinati alla discarca o alla termovalorizzazione, che con la tecnologia sviluppata a Salsomaggiore riusciamo a utilizzare per creare polipropilene rigenerato.
In Italia siete entrati anche nel mercato delle bioplastiche. Quali strategie avete messo in campo?
In un primo momento ci siamo concentrati sugli shopper, comparto regolato da norme ben precise e soprattutto con la capacità di intercettare la quota più importante dei volumi. Nel 2019 abbiamo acquisito Microtec, azienda veneziana specializzata nella produzione di compound biodegradabili e compostabili certificati per l’industria dell’imballaggio e del monouso. Grazie agli investimenti stanziati nel 2020, abbiamo raddoppiato la capacità produttiva orientando il settore ricerca anche allo sviluppo di soluzioni innovative compostabili, bio-durevoli e bio-based per settori come la GDO.
La direttiva SUP ha gettato qualche ombra sull’impiego delle bioplastiche nel monouso. Come pensa evolverà la situazione?
Il nostro paese è decisamente all’avanguardia sia nella produzione di biopolimeri e di manufatti in bioplastica, sia nella realizzazione di impianti di compostaggio. È pur vero che, seppure con un certo ritardo, altri paesi dell’area mediterranea stanno recuperando terreno. Questo business interessa anche giganti come Cina e India, che già in passato hanno fatto fronte al problema dello shortage che si è verificato all’entrata in vigore del decreto sugli shopper.
Per quanto riguarda la SUP, per il futuro del settore bisognerà attendere che il Governo e l’Unione Europea esprimano più chiaramente quale sarà l’orientamento in merito alle direttive europee. Personalmente sposo in pieno le tesi di chi, Assobioplastica in testa, si batte perché si possa continuare a utilizzare piatti, bicchieri e posate in bioplastica per sfruttare i benefici di un materiale che trova nuova vita dopo essere assimilato al rifiuto organico. È “buono” e, per quanto riguarda Sirmax, rispecchia in pieno la nostra filosofia.
Date le incertezze sul monouso, state esplorando altre opportunità?
Stiamo guardando con interesse al settore dell’agricoltura, per il quale sono in fase di sperimentazione sul campo i nostri teli per la pacciamatura Biocomp®, realizzati con un materiale completamente biodegradabile e compostabile, che proporremo in sostituzione dei tradizionali teli in polietilene. Questo prodotto, oggi in fase di omologazione, a fine ciclo colturale può essere fresato assieme ai residui di coltivazione, contribuendo alla fertilizzazione del terreno. Anche in questo caso, il punto di forza consiste nell’opportunità economica e non solo nel mero adeguamento a norme più stringenti sotto il profilo della tutela ambientale, perché se è vero che i teli in bioplastica compostabile hanno un costo superiore di almeno il 50% rispetto a quelli in plastica tradizionalmente impiegati per questi usi, a fine ciclo permettono di evitare le fasi di lavorazione legate alla raccolta, al recupero e all’eventuale riciclo. La nuova generazione di imprenditori agricoli è molto più sensibile agli aspetti della sostenibilità ambientale e agevola notevolmente il cambiamento.
Su quali altri progetti state lavorando?
Il nostro gruppo può contare sulla partecipazione in una cartiera di famiglia, che finora è sempre stata estranea al business Sirmax, ma che con il tempo può rappresentare un asset strategico nell’ottica di soluzioni nuove o complementari. Negli ultimi anni, l’azienda ha spostato il suo interesse, prima riservato alla carta di pura cellulosa per la stampa, alla carta riciclata, entrando in importanti accordi per forniture di packaging alimentare e non. Si tratta di un altro settore molto dinamico e proprio in questi mesi stiamo valutando di creare una nuova business unit, aggiungendo la carta all’interno della nostra offerta, che si compone di plastica tradizionale, plastica riciclata e biopolimeri. Penso, ad esempio, alle crescenti opportunità nel mondo degli accoppiati che, se sono oggi impopolari per la difficoltà di separare i materiali a fine vita, possono rappresentare una soluzione ideale per prodotti come bicchieri monouso, carte da salumeria e pescheria impermeabilizzando la carta con biopolimero compostabile.
La SUP chiede moderazione nell’uso dei poliaccoppiati…
Vero, ma credo che sia una raccomandazione pleonastica, perché – è un dato di fatto – che l’offerta di materiali bio sia inadeguata rispetto all’attuale domanda. Figuriamoci se dovesse innescarsi un boom di richieste di questi prodotti… Sono convinto che più di ogni altro il settore abbia bisogno di indicazioni politiche concrete e non ideologiche. Il tema dell’economia circolare è centrale, ma non dobbiamo rischiare di tradurlo in provvedimenti legislativi che manchino di visione e impediscano soluzioni in grado di dare vantaggi reali all’ambiente.