Plastic tax in arrivo anche in UK

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Non piace agli inglesi, come agli italiani non piace la tassa sui Macsi che entrerà in vigore l’anno prossimo, ma è senz’altro più circoscritta e meno complessa da applicare, anche se non mancano le zone grigie. Stiamo parlando della Plastic Packaging Tax, abbreviata in PPT, nuova imposta da 200 sterline a tonnellata entrata in vigore il 1° aprile scorso nel Regno Unito, destinata a colpire selettivamente gli imballaggi in plastica contenenti meno del 30% di materiale riciclato, purché la plastica sia prevalente in peso su eventuali altri materiali (come i poliaccoppiati). Non fa differenza se i packaging sono prodotti nel paese o importati dall’estero, se sono vuoti o pieni, purché il volume sia superiore a 10 tonnellate annue.

Patti chiari

L’obiettivo dichiarato dal Governo britannico, a differenza di altre imposte similari, è uno e ben focalizzato: incentivare l’utilizzo di materiale riciclato negli imballaggi, creando una domanda che, indirettamente, possa stimolare la raccolta e il recupero dei rifiuti plastici, riducendo il ricorso a discarica o incenerimento. Nessun interesse – quanto meno dichiarato – a discriminare la plastica e favorire materiali alternativi, anche se un effetto sostituzione è prevedibile nel medio-lungo periodo, così come ci si può aspettare – e ciò non è un male – una riduzione dell’impiego di plastica e, soprattutto, degli imballi non strettamente necessari. Il Governo ha stimato che la tassa colpirà direttamente o indirettamente 20.000 imprese che producono o importano imballaggi, mentre il beneficio per le casse dello Stato è tutt’altro che marginale: si prevede infatti un introito di 235 milioni di sterline l’anno nel primo biennio di applicazione, per poi scendere gradualmente fino a 210 milioni di sterline nel 2026.

Per quanto concerne l’impatto sui consumatori, il Governo lo ritiene poco rilevante, in parte perché non tutta l’imposta verrà scaricata a valle, in parte perché, anche se lo fosse, l’incidenza del packaging sul costo complessivo del prodotto sarebbe comunque limitato.

Responsabili in solido

Un aspetto interessante della PPT, che dovrebbe facilitarne la riscossione, è che le imprese che acquistano imballaggi in plastica possono essere ritenute responsabili in solido se l’imposta non viene versata dai loro fornitori – e se sanno o avrebbero dovuto sapere che la PPT non è stata pagata –, innescando così un meccanismo di autocontrollo. Le aziende sono invitate a eseguire controlli “rilevanti, ragionevoli e proporzionati” a seconda delle specifiche circostanze e delle diverse catene di approvvigionamento. Il che produrrà inevitabilmente un aumento del carico documentale per le imprese a ogni livello della filiera. Non mancheranno, inoltre, controversie sull’ambito di applicazione, a partire dalla definizione di imballaggio.

Aziende impreparate

Nonostante la tassa fosse stata annunciata due anni fa, molti operatori britannici non erano pronti. È quanto emerge da un’indagine commissionata dalla società di gestione ambientale Veolia a YouGov. I risultati sono abbastanza curiosi: tre aziende su quattro interessate dal provvedimento sono giunte all’appuntamento del 1° aprile impreparate o inconsapevoli, mentre solo una su cinque ha introdotto materiale riciclato nei propri imballaggi al fine di evitare l’imposta. Tra le aziende più previdenti, il 66% ha ridotto la quantità di imballaggi in plastica non necessari o evitabili, il 58% ha sostituito materiale vergine con riciclato, il 54% ha attuato interventi di ecodesign per rendere le confezioni più riciclabili, mentre il 39% ha preferito passare a materiali alternativi alla plastica per non pagare la tassa.


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