L’Italia ha una filiera di cui può certamente andare fiera e mostrare come esempio virtuoso a livello mondiale. Grazie al lavoro di alcuni pionieri e anche alla legislazione sulle buste della spesa compostabili, dal 2012 si è impresso un grande slancio a politiche ambientali finalizzate a coniugare crescita economica a sviluppo sostenibile, facendo nascere centinaia di imprese e creando posti di lavoro qualificati e competenze, oltre a un innovativo modello di bioeconomia circolare.
Eppure, il futuro di questa filiera è in pericolo. Non per scelte poco lungimiranti a livello imprenditoriale, ma principalmente per una serie di fattori esogeni contro i quali è necessario reagire: assetto competitivo alterato da pesanti asimmetrie tra gli operatori, un set normativo a livello UE lacunoso e contraddittorio, la mancanza di controlli sistematici dei fenomeni di illegalità.
Non è infatti rassicurante lo scenario che emerge dal 2° Forum italiano delle bioplastiche compostabili, organizzato il 19 giugno a Roma da Assobioplastiche e dal Consorzio Biorepack. Un’occasione di confronto tra stakeholder, decisori politici ed esperti del settore e un’opportunità per presentare la fotografia più aggiornata di questo comparto essenziale per la bioeconomia circolare italiana.
Un biennio difficile
Dopo un decennio di crescita costante, tra il 2012 e il 2022, l’industria italiana delle bioplastiche ha registrato una pesante inversione di tendenza nell’ultimo biennio. Il fenomeno, tuttavia, non è circoscritto a livello nazionale: secondo European Bioplastics l’utilizzo della capacità produttiva globale di (tutte le) bioplastiche si è ridotto di 10 punti nel 2024, dal 68% al 58%. Il rallentamento è evidente, anche sotto il profilo degli investimenti: nel 2018, la previsione per il 2023 era di una capacità globale a oltre 2,6 mln di tonnellate, mentre si è fermata a 2 milioni (quasi il 25% in meno delle attese).
Secondo l’11° rapporto annuale di Assobioplastiche, che si basa sui risultati dello studio effettuato da Plastic Consult, in Italia, nel 2024, il fatturato complessivo dell’industria delle bioplastiche biodegradabili e compostabili è sceso a 704 milioni di euro (-15,4% rispetto al 2023). Ciò è avvenuto nonostante i volumi complessivi abbiano registrato un timido rimbalzo rispetto all’anno precedente, salendo a quota 121500 t (+0,5% rispetto al 2023): prestazione non distante dai risultati dell’aggregato delle termoplastiche convenzionali (polimeri vergini a -0,2%, riciclati pressoché stazionari).
Tra i principali settori applicativi, nel 2024 le maggiori difficoltà sono state incontrate dal comparto monouso (calato di oltre il 10%), schiacciato tra la concorrenza sleale dello “pseudo-riutilizzabile” e dalle importazioni di manufatti compostabili dal Far East. Segno negativo anche per i sacchetti per l’umido. Viceversa, buona progressione del film agricolo, del packaging alimentare e degli ultraleggeri.
A pesare sulla flessione è stata inoltre una netta riduzione dei listini (materie prime e base chemicals in particolare, ma anche semilavorati e prodotti finiti), che si è progressivamente consolidata nel corso dell’anno passato.
Gli altri numeri rilevanti della filiera
Nel 2024 il numero di imprese della filiera delle bioplastiche compostabili ha subito una lieve battuta d’arresto scendendo a 278 (-3,5% rispetto al 2023), suddivise in: produttori di chimica di base e intermedi (7), produttori e distributori di granuli (22), operatori di prima trasformazione (189), operatori di seconda trasformazione (60). A livello geografico, le regioni con il maggior numero di imprese di trasformazione, classificate per numero di addetti, sono le seguenti: Veneto (298 addetti dedicati, 27 aziende), Emilia-Romagna (297 addetti dedicati, 21 aziende), Campania (266 addetti dedicati, 19 aziende), Lombardia (185 addetti dedicati, 41 aziende) e Umbria (159 addetti dedicati, 5 aziende).

In leggera diminuzione anche il numero di addetti dedicati: sono 2913, -2,2% rispetto all’anno precedente (2980).
Numeri decisamente più positivi riguardano invece le attività di riciclo organico delle bioplastiche compostabili, per le quali si conferma la tendenza alla crescita: nel 2024 il tasso di riciclo, al netto degli scarti, è stato infatti pari al 57,8% dell’immesso al consumo (47511 t riciclate a fronte delle 82246 immesse sul mercato). Un dato che si conferma superiore sia agli obiettivi di riciclo fissati per il 2025 (50%) sia per il 2030 (55%).
Molto rilevante la crescita nei Comuni e nei territori convenzionati con il consorzio Biorepack (passati in un anno dal 58,5 al 74,3%)… e nella popolazione, attualmente superiore all’85% (era al 74,1% nel 2023). Agli enti locali convenzionati sono stati riconosciuti corrispettivi economici per 12,7 milioni di euro (oltre tre milioni in più rispetto all’anno precedente) a copertura dei costi di raccolta, trasporto e trattamento degli imballaggi in bioplastica compostabile conferiti insieme ai rifiuti domestici.
Gli ostacoli da superare
Preoccupa soprattutto l’arrivo sul mercato europeo di shopper e manufatti in bioplastica compostabile importati a prezzi troppo bassi, che mettono in grave difficoltà le aziende italiane e alterano la concorrenza.
“Oggi acquistare un prodotto finito in bioplastica compostabile realizzato fuori dal mercato europeo costa meno che acquistare le materie prime necessarie per produrlo in Italia o in qualsiasi Paese europeo”, spiega Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche. “Le aziende extra UE – prevalentemente asiatiche – beneficiano spesso di sovvenzioni pubbliche, manodopera a costi irrisori e normative meno stringenti di quelle europee. Tutto ciò rappresenta uno stress competitivo e un dumping insostenibile per le nostre aziende. Fino a pochi anni fa, una quota significativa dei manufatti in bioplastica venduti in Europa era prodotta da aziende europee. Oggi questa percentuale si è progressivamente ridotta. Sebbene la capacità produttiva europea resti elevata, in diversi comparti è oggi sottoutilizzata”.
Tra i fenomeni distorsivi che frenano la ripartenza c’è quello, denunciato già da tempo, delle stoviglie “pseudo riutilizzabili”, che vengono commercializzate sfruttando una lacuna nella normativa SUP (Single Use Plastic) che, pur vietando il monouso, non ha specificato nel dettaglio i requisiti per poter definire riutilizzabile un manufatto, aprendo così la strada a un’elusione delle regole, in danno alle imprese legali. Su questo punto l’Italia ha di recente notificato all’UE una proposta tecnica di definizione dei manufatti riutilizzabili su cui si attendono i commenti. A ciò si associa anche il fenomeno degli shopper illegali che costituiscono più di un quarto (27% circa) dei sacchetti circolanti in Italia, a dieci anni dall’introduzione delle sanzioni.
Guardando al futuro… con il PPWR
In questo contesto, si inserisce un passaggio normativo cruciale: il nuovo regolamento europeo PPWR (Packaging and Packaging Waste Regulation), che per le bioplastiche compostabili apre da un lato prospettive importanti, ma dall’altro impone tempistiche stringenti, di gestione complessa e sfidante.
È fondamentale che l’Italia sfrutti appieno le potenzialità del PPWR, notificando al più presto la lista delle applicazioni che dovranno essere realizzate in materiali compostabili (lista che dovrà entrare in vigore entro l’11 agosto 2026), tracciando la strada per analoghe normative di altri paesi UE. Ciò contribuirebbe a dare un quadro di certezze agli operatori che producono e utilizzano gli imballaggi in questione e offrirebbe chiarezza ai consumatori, semplificando le attività di corretto conferimento dei rifiuti organici.
L’effetto combinato delle tendenze in atto nel 2025 prelude però a una nuova stagnazione complessiva della produzione nazionale di manufatti compostabili: l’andamento dei consumi finali, previsti al meglio in lieve incremento, non sarà in grado di incidere sull’andamento del settore.
Nel breve termine si rilevano quindi solo limitati segnali positivi, concentrati principalmente nel segmento degli ultraleggeri. Le altre applicazioni restano ancora tendenzialmente in sofferenza. Gli effetti del PPWR, che nella sua versione finale conferma ampio spazio per il compostabile, saranno misurabili soltanto nel medio termine anche alla luce delle modalità di attuazione dei vari paesi membri, a partire dall’Italia.
“Per far funzionare un modello che ha già dimostrato la sua valenza economica e ambientale bastano poche regole, certe, chiare e fatte rispettare. Come consorzio di riciclo continueremo a impegnarci nel consolidamento degli obiettivi di riciclo, collaborando con tutti gli attori della filiera, a partire dall’industria del compostaggio, e chiudendo in maniera virtuosa il ciclo degli imballaggi compostabili”, commenta Marco Versari, presidente del Consorzio Biorepack.