Ritardanti alla fiamma: come sono quelli ideali?

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Nella progettazione di un materiale FR la scelta della matrice polimerica è fondamentale, poiché ogni polimero ha una tendenza più o meno intrinseca a reagire all’innesco di una combustione. Come evidenziato dai valori di LOI, le poliolefine, come il PE e il PP, tendono a bruciare facilmente (ragionando in termini normativi, non superano il test UL-94), mentre altre materie plastiche, come le poliammidi, tendono a spegnere la fiamma (per esempio, la PA6 e la PA66 sono classificate V2 secondo la UL-94). Inoltre, per molti materiali plastici è comune l’additivazione con elevate quantità di filler inorganici, che di fatto ne alterano in maniera significativa le prestazioni. Nuovamente, un caso tipico è la poliammide, che viene molto spesso additivata con elevate quantità (generalmente 20-40%) di fibra di vetro.

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Quest’ultima tende ad avere un effetto negativo sulle prestazioni di ritardo alla fiamma, poiché limita notevolmente il gocciolamento del materiale plastico e ha una conducibilità termica relativamente alta; inoltre, preclude l’utilizzo di additivi FR altrimenti efficaci (la melammina cianurata e la fibra vetro non vanno molto d’accordo). In virtù di tali considerazioni, è quindi necessario utilizzare additivi FR in elevata quantità per ottenere le proprietà desiderate. Gli additivi – e i relativi sinergici, se necessari – vanno quindi scelti con attenzione, in funzione di diversi parametri e della natura chimica del polimero (per esempio, non è consigliabile usare additivi acidi o basici con i poliesteri o policarbonati) e questo, negli anni, ha portato a focalizzarsi su un numero relativamente basso di formulazioni di sicura efficacia per diverse matrici polimeriche.
Le tabelle indicano gli additivi tradizionalmente più utilizzati per alcune delle più comuni classi chimiche di polimeri impiegati nella produzione di ritardati alla fiamma: ABS, poliammidi, poliolefine (PE/PP), policarbonato e PET. Queste tabelle si propongono come un utile compendio delle soluzioni più note ed efficaci in funzione del tipo di classe FR desiderata (il test UL-94 viene preso come riferimento).

Gli sviluppi e la ricerca

Come evidenziato dalle tabelle, gli antifiamma bromurati sono ancora presenti (e molto usati) con ogni famiglia di materiali, perché garantiscono prestazioni adeguate e costanti, oltre a un costo contenuto. In questo senso, è paradigmatico l’esempio dell’esabromociclodocecano (HBCD), già da tempo nella lista delle SVHC (Substances of Very High Concern o sostanze estremamente preoccupanti) dell’ECHA, ma ancora leader tra gli additivi FR per il polistirene espanso. La ricerca però si sta muovendo; negli ultimi anni, infatti, sono nati additivi alternativi all’HBCD, con problemi di tossicità nettamente inferiori, che si stanno faticosamente ritagliando un mercato.
In linea più generale, la ricerca nel settore dei materiali flame retardant è focalizzata soprattutto su:
1 diminuzione della tossicità e più in generale delle problematiche ambientali;
2 miglioramento della stabilità termica dei FR, specie in fase di lavorazione;
3 miglioramento della compatibilità con la matrice polimerica;
4 diminuzione (o al limite mantenimento) dei costi attuali con prestazioni di ritardo alla fiamma invariate (o migliori).

fiamma_1Analizzando le cinque classi di additivi FR sopra menzionati in riferimento a questi quattro filoni di ricerca, vediamo che gli additivi tradizionali gas phase e a sviluppo di vapore pongono problemi soprattutto nei punti 1, 2 e 3, mentre sono molto competitivi a livello economico; in generale la sensazione è che i ritardanti di fiamma che si basano su questi meccanismi siano “maturi”. Alcuni sviluppi, ancora oggi, sono attivi (per esempio, additivi bromurati alternativi all’HBCD per PS espanso, come precedentemente affermato), anche se relativamente limitati. Poiché i problemi legati al costo risentono in buona parte di fattori di scala, e sono quindi almeno parzialmente risolvibili grazie alla maturazione del mercato, le famiglie di FR che sembrano più promettenti per il prossimo futuro sono quelle a intumescenza e a formazione di char. Questi meccanismi, infatti, permettono l’uso di molecole non bromurate e, lavorando sull’ottimizzazione della formazione dello strato carbonioso, sembrano poter permettere un utilizzo di additivi relativamente limitato in termini di quantità in peso nel materiale, con conseguente beneficio per le proprietà meccaniche e per il prezzo della formulazione. Inoltre, in molti casi si possono associare a essi altri meccanismi, che quindi contribuiscono ulteriormente a migliorare le proprietà FR. I meccanismi dripping sono spesso presenti come effetto secondario associato ad altri, e non verranno perciò approfonditi.
Nel corso degli ultimi anni, anche in relazione alle tendenze del momento, sono state studiate diverse famiglie di nuovi possibili additivi flame retardant, delle quali vogliamo proporre due evergreen: i materiali nanocompositi e la modifica chimica dei polimeri – insieme ad alcuni esempi che si basano su due approcci innovativi, legati all’utilizzo di polimeri molto studiati in questi anni – il grafene e il chitosano.

I materiali nanocompositi

Lo studio e lo sviluppo di nanoparticelle minerali come additivi per materiali polimerici hanno avuto un enorme impatto nel mondo dei materiali compositi ma, se pensiamo che il primo brevetto sul loro utilizzo per la produzione di nanocompositi industriali risale a non più di 20 anni fa (brevetto Toyota del 1993), questa tecnologia è ancora relativamente giovane. Per molti aspetti, le nanoparticelle minerali – soprattutto le montomorilloniti – sembrano dei potenziali additivi ritardanti di fiamma dalle ottime prestazioni, grazie alla versatilità, al basso dosaggio e all’assenza di alogeni.
La ricerca che ha portato a tali risultati comincia intorno alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso. Sull’argomento sono stati pubblicati numerosi studi (tra i ricercatori più attivi nel settore, J.W. Gilman e l’italiano Giovanni Camino), condotti impiegando nanoparticelle di ogni tipo: montmorilloniti (sodiche o modificate con ioni organici), biossido di titanio, nanotubi di carbonio e silsesquiossani poliedrici. Da queste ricerche è emerso che quasi tutti questi materiali mostrano una bassa infiammabilità in termini di velocità di rilascio del calore (Hear Release Rate, HRR), in combinazione con il miglioramento di altre caratteristiche, come le proprietà meccaniche; purtroppo, pur riuscendo normalmente a ridurre il valore di HRR del 50-70%, i test UL-94 e le indicazioni sul LOI spesso non danno risultati altrettanto buoni. Per esempio, alcuni ricercatori sono riusciti a ridurre del 63% l’HRR di nanocompositi PA6-montmorillonite, che tuttavia non hanno superato il test verticale UL-94 e hanno mostrato un valore di LOI del 23%, praticamente identico a quello della PA6 standard [1]. Alcuni studi condotti su HIPS e montmorillonite [2, 3] hanno mostrato che anche con polimeri olefinici è possibile ridurre l’HRR di circa il 60%; in particolare, da queste ricerche è emerso che l’orientamento orizzontale delle nanoparticelle può essere più efficace di quello verticale (figura 1).

Schema di funzionamento delle montmorilloniti (OMMT) come flame retardant [3]
Schema di funzionamento delle montmorilloniti (OMMT) come flame retardant [3]
In generale, si è compreso che la presenza di nanoparticelle lamellari, aumentando la viscosità del fuso e diminuendo la mobilità delle catene durante la combustione, aiuta l’effetto FR; questo fenomeno è inoltre accompagnato dalla formazione di un char, che permette di abbassare ulteriormente l’HRR. Grazie a queste osservazioni, Song e altri ricercatori [4], già una decina di anni fa, hanno utilizzato la montmorillonite come “sinergico” e hanno ottenuto, in estrusione, una PA6 V0 con un LOI del 31% impiegando il 2% di montomrillonite, il 6% di idrossido metallico e il 5% di fosforo rosso. Un’importante considerazione merita il fatto che in questi campioni il modulo tensile è aumentato da 80,5 MPa (valore ottenuto sulla PA6 vergine) a 98,2 MPa.
In generale, negli ultimi anni, la ricerca sembra essersi orientata sull’utilizzo di nanoparticelle proprio come “sinergici” di altri flame retardants; montmorilloniti e nanotubi di carbonio sono stati aggiunti in basse quantità (1-3%) a formulazioni contenenti additivi FR già noti – per lo più basati sul meccanismo dell’intumescenza e della formazione di char – e hanno mostrato di permettere una certa riduzione del quantitativo di FR necessario.

fiamma_2I polimeri modificati chimicamente

Riuscire a introdurre l’additivo FR nelle catene polimeriche può permettere di abbassarne drasticamente la quantità necessaria e inoltre garantisce la massima compatibilità con la matrice polimerica, visto che l’agente FR è chimicamente legato al polimero stesso, e quindi non ha nessuna possibilità di migrare. La notevole efficacia della modifica chimica è dovuta al fatto che l’introduzione di molecole contenenti fosforo sembra catalizzare la formazione del char; si parla di “catalizzare” nel senso che il fosforo promuove la formazione del char, ma non è consumato dalle reazioni chimiche che lo producono. Purtroppo, questo approccio ha parecchi limiti, primo fra tutti quello che in generale le proprietà meccaniche del materiale ne risentono in maniera negativa. Normalmente, questi additivi contengono fosforo, più raramente sono a base di azoto o silicio. Un caso in cui la procedura è stata applicata con successo riguarda, invece, la modifica chimica ai poliesteri (PET) utilizzati nel mondo delle fibre tessili, dove, sin dal 1980, Trevira è riuscita a produrre una fibra intrinsecamente flame retardant (il famoso Trevira CS) grazie all’uso di un comonomero contenente fosforo; in queste fibre, il contenuto di fosforo è in genere compreso tra 0,5 e 0,7% in peso, ed è quindi presente in quantità estremamente ridotte rispetto alla normale presenza nel polimero come semplice additivo.
In genere, comunque, questa tecnologia è stata per ora utilizzata in maniera più intensiva per polimeri termoindurenti, per esempio in resine epossidiche con un elevato numero di gruppi –OH terminali [6], dove l’effetto ritardante di fiamma si ottiene con concentrazioni di fosforo molto basse (1,5-3%).

Schema di funzionamento del cono calorimetro e foto dello strumento
Schema di funzionamento del cono calorimetro
Il cono calorimetro
Il cono calorimetro è uno strumento utilizzato per studiare il comportamento alla fiamma in fase condensata di materiali. Permette di ottenere dati relativi per esempio al tempo di ignizione, alla perdita di massa, ai prodotti di combustione e alla velocità di rilascio del calore (HRR). In generale, il principio secondo cui si misura l’HRR è basato sul principio di Hugget [10], secondo cui il calore “lordo” di combustione di un materiale organico è direttamente proporzionale all’ossigeno richiesto per la combustione. Il suo nome deriva dalla forma conica del zona di riscaldamento, che produce un flusso di calore uniforme sulla superficie del campione. Il cono calorimetro è lo strumento da laboratorio più affidabile nel campo dei test alla fiamma.

Nuovi approcci

Tra i materiali emergenti, il grafene è senza dubbio quello che sta facendo più parlare di sé. È quindi inevitabile, vista anche la sua struttura chimica, che sia stato testato nel mondo delle formulazioni FR. Esempi recenti riguardano l’uso di grafene funzionalizzato, introdotto all’1% in PLA e PBS commerciali [7]. I risultati ottenuti evidenziano che è possibile ridurre l’HRR del 31% e del 40% rispettivamente, e che è inoltre possibile diminuire i prodotti di combustione.
Il grafene è stato testato anche con resine epossidiche ed è stato confrontato con altri concorrenti “diretti”, quali l’ossido di grafite e un ossido di grafite funzionalizzato con fosforo organico, tutti impiegati al 5% in peso; il grafene ha dato i risultati migliori: si è infatti ottenuto un HRR di circa il 44% contro il 23% dell’ossido di grafite funzionalizzato [8]. L’effetto FR è dovuto all’elevata interazione all’interfaccia tra il polimero e il grafene, che porta alla formazione di una barriera fisica, che rappresenta la causa principale della riduzione della velocità di diffusione dei gas di combustione.
Oltre che come additivo, in alcuni casi, il grafene è stato sperimentato in formulazione come coating con i materiali termoplastici, quindi per ricoprire solo la superficie del materiale stesso e formare il char in caso di combustione.

fiamma_2Gli effetti del chitosano

Il chitosano è un polisaccaride derivante dalla chitina, uno dei principali componenti dell’esoscheletro dei crostacei; per dare un ordine di grandezza, è il secondo biopolimero al mondo come quantità, preceduto solo dalla cellulosa. Da anni, le sue proprietà sono oggetto di studio perché ritenute interessanti in campo sia biomedico, sia dei materiali plastici, ed è stato recentemente valutato come sinergico flame retardant con il PP, sviluppando un sale di chitosano con urea e melammina. Il sinergico, testato con un sistema FR intumescente a base di pentaeritrolo e melammina pirofosfata, ha mostrato di avere una notevole efficacia in una formulazione con 75/22/3 di PP/intumescente/sinergico, portando non solo a una classe di infiammabilità UL-94 V-0, ma anche annullando completamente la formazione della fiamma sul materiale (LOI pari al 33%) [9]. Due difetti di questo sistema risiedono nel costo relativamente elevato del sinergico e nell’abbassamento delle proprietà meccaniche del composito, causato soprattutto dall’additivo intumescente.

L’additivo ideale

Le richieste sempre più pressanti relative all’utilizzo di materiali a minor impatto ambientale, unite alla sempre maggior attenzione ai fattori di rischio per l’uomo in caso di incendio, rendono quello dei materiali ritardanti di fiamma uno dei campi di ricerca industriale più attivi. Nonostante questo, molte formulazioni sono ancora basate su sistemi di “vecchia generazione”, di sicura efficacia e con costi relativamente contenuti, anche perché, purtroppo, la certificazione di nuovi sistemi FR è un processo relativamente lungo e costoso, due fattori che rappresentano sicuramente un freno per la ricerca e sviluppo delle Pmi nel settore.
A quanto sembra, sono i meccanismi char e ad intumescenza quelli su cui tutti i più grandi produttori stanno scommettendo, e questo sta aprendo la via per lo sviluppo di molte nuove famiglie di additivi flame retardant e/o di loro sinergici, che si stanno facendo strada nel mercato. Questi sviluppi procedono di pari passo con i vincoli ambientali che stanno progressivamente portando alla diminuzione nell’utilizzo di FR altamente inquinanti, come gli antifiamma bromurati, che continueranno però a esistere e ad essere utilizzati finché non saranno state sviluppate alternative a minor impatto ambientale, sicure e con prezzi ragionevoli.
Nel frattempo, continua la caccia al flame retardant perfetto: costo quasi nullo, sostenibile dal punto di vista ambientale, che non infici le proprietà meccaniche, che dia un effetto FR elevato e costante.

Bibliografia
1 C. Jama et al., “Fire retardancy performance and thermal stability of materials coated by organosilicon thin films using a cold remote plasma process”, in Fire and Polymers: Materials and solutions for hazard prevention, editore L. G. Nelson and C. A. Wilkie, American Chemical Society (ACS), Washington DC, 2001, 200-213
2 X. Liu, Acta Polym. Sin. 2004, 5, 650
3 L. Huang et al., Univ. Sci. Tech. 2006, 27, 219
4 L. Song et al., Polym. Degrad. Stab. 2004, 86, 535
5 T. Hoffmann et al., Macromol. Chem. Phys., 2005, 206, 423
6 S. V. Levchik et al., Polym. Degrad. Stab., 1998, 60, 169
7 Xin Wang et al., J. Mater. Chem., 2012, 22, 3426
8 Yuqiang Guo et al., Ind. Eng. Chem. Res. 2011, 50, 7772-7783
9 Youyou Xiao et al., J. Appl. Polym. Sci. 2014
10 C. Huggett, Fire and Materials, 1980 4(2), 61-65


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