Ritardanti di fiamma: ecco come funzionano

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Quando si parla di materiali polimerici ritardanti di fiamma (flame retardant o FR) si entra in un mondo sterminato, dove gli addetti ai lavori meno esperti rischiano di perdersi. Da qui l’idea di tornare sui principi di base, illustrando la teoria su cui si fondano i diversi meccanismi di azione dei ritardanti di fiamma.

Il meccanismo della combustione

Con la parola combustione si indica una reazione chimica di ossido-riduzione esotermica (cioè che sviluppa calore), in cui un “combustibile” si ossida e un “comburente” (nel caso dell’aria, l’ossigeno) si riduce ridotto. La reazione produce calore e radiazioni elettromagnetiche. La radiazione luminosa (cioè la fiamma) è un “optional”, nel senso che è spesso presente, ma non necessariamente.

Schema della combustione di un materiale (Fonte http://www.flameretardants-online.com)
Schema della combustione di un materiale (Fonte http://www.flameretardants-online.com)

La combustione può essere suddivisa in cinque macro-fasi: l’inizio, costituito dal riscaldamento; la decomposizione e l’innesco; la propagazione; la ramificazione, cioè quando la combustione si espande e accelera; la terminazione, ovvero quando si formano specie stabili e non più combustibili. Il processo non avviene in maniera spontanea, ma è provocato da un qualche tipo di innesco (in termini tecnici serve dell’energia di attivazione dall’esterno), dopo il quale la reazione riesce ad autosostenersi. Tale innesco è necessario perché le prime reazioni richiedono energia per poter avvenire.
Come già detto, la combustione è una reazione chimica e come tale parte da dei reagenti, cioè il combustibile e il comburente – nel nostro caso il polimero e l’ossigeno rispettivamente – e genera dei prodotti. Quando vengono bruciati materiali plastici si ottengono soprattutto anidride carbonica e acqua, ma se la catena polimerica contiene anche altri atomi oltre al carbonio, all’idrogeno e all’ossigeno, si ottengono anche sottoprodotti, quali per esempio gli ossidi di azoto o altri. In relazione alle condizioni in cui avviene la combustione possono liberarsi altri prodotti, per esempio il monossido di carbonio (di solito quando la combustione è in difetto di ossigeno).

Combustione: le fasi di inizio, propagazione e ramificazione e i rischi correlati (fonte http://www.flameretardants-online.com)
Combustione: le fasi di inizio, propagazione e ramificazione e i rischi correlati (fonte http://www.flameretardants-online.com)

I polimeri e la combustione

È ben noto che i materiali polimerici hanno la sgradevole tendenza a bruciare quando sono in presenza di una fiamma, ma è fin da subito doveroso operare dei distinguo, visto che alcuni polimeri bruciano molto facilmente (per esempio PE e PP) mentre altri sono decisamente più resistenti (PA e soprattutto PVC o PTFE). Tali differenze possono essere quantificate attraverso il LOI (Limit Oxygen Index), un parametro fondamentale per comprendere la tendenza di un materiale a mantenere la combustione attiva una volta iniziata la reazione. Il LOI indica la quantità minima di ossigeno che deve essere presente per sostenere la combustione di un dato materiale. Visto che nell’atmosfera la concentrazione di ossigeno è pari a circa il 20%, valori di LOI maggiori di 20 contraddistinguono materiali che tendono a spegnere la combustione autonomamente, mentre valori inferiori indicano che c’è abbastanza ossigeno nell’aria per sostenere la combustione di quel materiale. Come regola generale, tranne alcune eccezioni, si può affermare che la presenza di ossigeno e di altri eteroatomi nella catena polimerica tende ad aumentare i valori questo parametro.

POLIMEROLOI (%O2)
Polipropilene17
Polietilene17
Polistirene18
ABS19
PET20
PBT23
PA66 - PA624
Policarbonato25
Polifenilen Ossido30
PEN (PoliEtilen Naftalenato)32
PEEK35
Polisolfone38
PVC rigido40
PTFE95

I meccanismi di azione degli additivi flame retardant

La combustione è un meccanismo complesso, che avviene sia in fase condensata, cioè nel solido, sia in fase vapore; questo significa che esistono diversi modi per interrompere la reazione e quindi diversi possibili meccanismi di azione degli agenti flame retardant. I principali sono cinque: sviluppo di calore, gas phase, char, intumescenza, dripping. Vediamoli in dettaglio.

Meccanismo dello sviluppo di calore

Quello a sviluppo di calore è un tipo di meccanismo fisico che agisce sia in fase condensata sia in fase vapore. In pratica, si basa su additivi che riescono a raffreddare il materiale e a diluire i gas combustibili; il raffreddamento del materiale è dovuto al fatto che la degradazione di questi additivi richiede calore (è endotermica) e quindi porta al raffreddamento del substrato. La diluizione dei gas combustibili, invece, si verifica perché la degradazione dei composti produce vapor acqueo che si libera in fase gassosa. Oltre a ciò, questi additivi formano una patina di ossido che fornisce protezione al materiale.
Gli additivi più conosciuti appartenenti a questa categoria sono gli idrossidi di metalli: idrossido di magnesio (Mg(OH)2) idrossido di alluminio triidrato (Al(OH)2 x 3H2O), e idrossido di alluminio monoidrato (AlOOH x H2O). Ogni idrossido ha una diversa temperatura di degradazione che di fatto determina la possibilità di applicarlo o meno a certi substrati polimerici; l’idrossido di alluminio, per esempio, decompone intorno ai 180 °C e viene quindi utilizzato con polimeri che hanno temperature di lavorazione relativamente basse, mentre l’idrossido di magnesio decompone intorno ai 330 °C e quindi ha intervallo di utilizzo teoricamente maggiore, ma ha una minore efficienza.

Sviluppo di calore
PRO: pochi problemi ambientali, basso costo, ottima reperibilità
CONTRO: necessari dosaggi molto elevati, proprietà meccaniche compromesse

Meccanismo gas phase

Gli additivi con azione in fase gas più noti sono i composti alogenati; solo per citarne alcuni, decabromo difenil etano (HBCD) e polistirene bromurato.
Questi additivi generano dei composti in fase gas che catturano i radicali che altrimenti promuoverebbero la continuazione della combustione. Questo tipo di meccanismo si ottiene di solito grazie agli additivi alogenati, ed è quindi anche alla base del comportamento alla fiamma del PVC, che contiene cloro lungo la catena polimerica. Quando vengono riscaldati gli alogeni generano il corrispondente acido alogenidrico (quindi HCl per additivi a base cloro e HBr per additivi a base bromo), che a sua volta reagisce con i radicali generati dalla combustione (per esempio OH•, H• e altri) formando radicali stabili come Cl• o Br•, quindi con reattività molto bassa. Come noto, quando si usano questi additivi si utilizza molto spesso anche un composto sinergico, di solito triossido di antimonio (Sb2O3) o zinco borato (ZnO?B2O3 in proporzioni differenti), aggiunto al 30-50% in peso rispetto al composto alogenato per potenziarne l’efficacia. La sinergia è dovuta al fatto che l’ossido reagisce con l’acido alogenidrico generando vapor acqueo e, con reazioni successive con i radicali H•, di nuovo l’acido alogenidrico stesso.

Gas phase
PRO: versatilità, basso costo, disponibilità, mantenimento delle proprietà meccaniche
CONTRO: problemi ambientali sia per il composto alogenato sia per i sinergici

Meccanismo char

Il meccanismo char si ottiene con composti a base di fosforo e/o altri eteroatomi (per esempio azoto); i più noti sono il fosforo rosso o alcuni organofosfati.
Il processo avviene in fase solida e si basa sia su reazioni chimiche, sia su fenomeni fisici. In pratica, durante la combustione si forma una “crosta” carboniosa. Nel caso in cui si utilizzino fosforo rosso od organofosfati, si ha inizialmente la reazione dell’additivo, che ad alte temperature va a formare un acido inorganico, per esempio acido fosforico polimerico (HPO3)n. Successivamente questo acido reagisce con il polimero formando lo strato carbonioso, che viene creato con un processo endotermico (quindi che sottrae il calore) grazie alla disidratazione del materiale e quindi alla fuoriuscita di vapor acqueo. Ma non è solo il meccanismo di formazione della crosta a favorire l’effetto FR: infatti, la crosta, una volta formata, è completamente inerte rispetto alla combustione e inoltre limita fisicamente l’incontro tra l’ossigeno e il polimero combustibile situato al di sotto di essa, sottraendo quindi un reagente alla reazione.

Char
PRO: dosaggi a volte molto ridotti, halogen-free, costo (in alcuni casi)
CONTRO: dosaggi a volte elevati, poco versatili, proprietà meccaniche compromesse, difficile lavorabilità, igroscopici

Meccanismo a intumescenza

Gli additivi intumescenti sono spesso simili a quelli con meccanismo char, cui viene spesso aggiunto un agente spumifico, di solito a base di azoto; esempi sono la melammina (poli)fosfata o l’ammonio polifosfato.

Strato carbonioso ottenuto da un layer di 1 millimetro con un additivo intumescente
Strato carbonioso ottenuto da un layer di 1 millimetro con un additivo intumescente

Il meccanismo dell’intumescenza opera sia in fase solida sia in fase gas. L’azione in fase solida è molto simile a quella del meccanismo char, poiché si verifica una reazione endotermica che causa la formazione di uno strato carbonioso “protettivo” sulla superficie del polimero; il tipo di reazione, in particolare, è analogo a quello del meccanismo char e quindi si ha la formazione di un acido inorganico e la disidratazione del materiale. La differenza sostanziale rispetto al meccanismo char è dovuta ai composti contenenti azoto presenti nel ritardante di fiamma; tramite riscaldamento, le molecole contenenti azoto si degradano e rilasciano ammoniaca che, reagendo con l’ossigeno, forma azoto e vapor acqueo. L’azoto gassoso agisce da agente spumifico e quindi tende a far rigonfiare il char, di conseguenza, aumenta di volume. Lo spessore dello strato carbonioso può anche aumentare di 100 volte rispetto a quello originario (si veda la figura a lato). Inoltre, l’azoto gassoso è inerte e quindi diluisce i vapori combustibili presenti in fase gas.

Intumescenza
PRO: alta versatilità rispetto agli additivi char, halogen free
CONTRO: dosaggi a volte elevati, proprietà meccaniche compromesse, difficile lavorabilità, igroscopici

Meccanismo dripping

La natura degli additivi “dripping” è molto diversa da polimero a polimero; per esempio, la melammina cianurata, che ha anche un effetto char, è un additivo dripping per le poliammidi.
Mentre i meccanismi precedentemente illustrati agiscono sulla fiamma o sulla superficie del polimero per formare uno strato protettivo, gli additivi dripping agiscono chimicamente solo sul materiale polimerico. Il loro funzionamento si basa sul principio che quando la lunghezza delle catene di un materiale polimerico diminuisce, la viscosità del fuso cala drasticamente favorendo il gocciolamento del materiale fuso. In caso di combustione, il composto FR – attraverso reazioni endotermiche – comincia a rompere le catene del polimero, che improvvisamente diventano estremamente corte. Questo fa sì che il gocciolamento del materiale sia molto favorito e, quindi, che il materiale stesso tenda a sottrarsi alle fiamme togliendo il combustibile alla reazione.
Spesso questo meccanismo è associato anche con altri, come la formazione del char nel caso della melammina cianurata.

Dripping
PRO: bassi costi, bassi dosaggi, mantenimento delle proprietà meccaniche
CONTRO: scarsa versatilità, gli additivi hanno bassa stabilità termica

Le richieste più “calde”

Lo sviluppo di nuove soluzioni per il mercato FR è uno dei campi di ricerca più attivi a livello sia scientifico, sia (soprattutto) industriale. Novità su formulazioni e nuovi additivi si susseguono rapidamente e, come sempre, sono i grandi player a farla da padrone. Questo perché le richieste del mercato sono molto pressanti e soprattutto volte allo sviluppo di soluzioni che soddisfino quattro requisiti:
1 Diminuire la tossicità degli additivi, favorendone biodegradabilità e riducendo il bioaccumulo. È inutile nasconderlo, spesso gli additivi FR hanno un grado di tossicità elevato. Da questo punto di vista, un esempio tipico è l’HBCD (esabromociclododecano), un additivo ancora oggi molto utilizzato soprattutto con il polistirene, che è entrato ormai dal 2008 nella lista delle SVHC (Substances of Very High Concern, cioè sostanze molto preoccupanti). Inoltre, anche il sinergico tipicamente impiegato con gli antifiamma bromurati – il triossido di antimonio – pone notevoli problemi, poiché è un sospetto potenziale cancerogeno per gli umani.
2 Migliorare la stabilità termica di questi sistemi. Molti sistemi FR hanno scarsa versatilità a causa di temperature di decomposizione relativamente basse. Da un lato, questa è una caratteristica desiderata, perché l’azione dell’additivo FR spesso inizia quando lo stesso inizia a decomporsi (e quindi prima è, meglio è), ma dall’altro lato la bassa stabilità termica limita la lavorabilità dei materiali in cui essi sono inseriti e limita anche la versatilità degli additivi stessi. Esempio tipico è l’idrossido di alluminio, più efficace di altri idrossidi ma utilizzabile solo con materiali lavorabili a temperature relativamente basse.
3 Accrescere la compatibilità degli additivi FR con i polimeri in cui sono inseriti. Come con molti altri additivi, un’elevata compatibilità con la matrice polimerica permette sia di migliorare la lavorabilità del materiale stesso, sia di evitare problemi di migrazione dell’additivo verso la superficie nel tempo. Inoltre, una migliore compatibilità aumenta l’efficacia dell’additivo stesso, permettendo di ridurne il dosaggio.
4 Costare il meno possibile. Questo è sempre uno dei requisiti fondamentali nel mondo delle materie plastiche. Chiaramente più che il costo dell’additivo in sé, è importante arrivare a una diminuzione del costo totale della formulazione.


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