Sole e batteri, così la plastica “scompare” dai mari

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sole e batteri
Maaike Goudriaan e Helge Niemann in laboratorio.

«L’azione combinata di sole e batteri spiegherebbe la sparizione di circa il 2% ogni anno della plastica presente e visibile in acqua. Potrebbe sembrare poco, ma con il passare degli anni la quantità comincia a diventare consistente. I dati che abbiamo esaminato mostrano che la luce solare potrebbe aver degradato una quantità considerevole di tutta la plastica galleggiante che è stata riversata negli oceani a partire dagli anni Cinquanta.»

Lo sostengono i ricercatori olandesi del Dipartimento di Microbiologia Marina e Biogeochimica (MMB) del Royal Netherlands Institute for Sea Research (NIOZ) attraverso uno studio pubblicato su Marine Pollution Bulletin

Attraverso prove di laboratorio, è stata testata l’azione del batterio Rhodococcus ruber, messo a contatto con campioni di plastica appositamente marcate con l’isotopo carbonio-13, con il quale è stato possibile tracciare l’eventuale trasformazione in altre molecole, dopo che lo stesso era stato trattato con raggi ultravioletti per simulare l’azione del sole.

«Sappiamo – dichiara Maaike Goudriaan del Dipartimento di Microbiologia Marina e Biogeochimica (MMB) del Royal Netherlands Institute for Sea Research (NIOZ), Isola di Texel (Olanda) – che la parte ultravioletta della radiazione solare è in grado di sminuzzare plastica e microplastica in frammenti ancora più piccoli, di fatto facendola scomparire dalla parte visibile in galleggiamento, così come era nota l’azione di questo particolare ceppo batterico, in grado di aderire alla plastica dispersa in natura, formando una sorta di biofilm. Questo studio è riuscito per la prima volta a dimostrare che la plastica viene effettivamente trasformata in anidride carbonica e altre molecole

sole e batteri
Grafico del metodo di ricerca realizzato da Maaike Goudriaan.

Secondo le simulazioni, l’azione di sole e batteri sarebbe in grado di degradare circa l’1% della plastica disponibile ogni anno, anche se probabilmente i dati sono sottostimati, in quanto finora è stato misurata solo la parte di C13 presente nell’anidride carbonica liberata e non nelle altre molecole formatesi nel processo.


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