Revolution Plastics Institute, un futuro sostenibile per la plastica UK

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Con l’uscita dall’Unione europea, il Regno Unito ha intrapreso un percorso normativo per disciplinare il comparto della plastica, ma appaiono necessari interventi esterni che offrano alternative praticabili ai divieti imposti (e non monitorati)

A Portsmouth c’è un’aria frizzante che arriva dalla Manica. C’è il mare e il porto dove, sotto un timido sole tipico del Regno Unito, è ancorata la HMS Victory, la nave dell’ammiraglio Nelson. A Portsmouth, città che ha dato i natali a Charles Dickens e che ha ispirato il personaggio di Sherlock Holmes, c’è anche un’importante università che ospita il Revolution Plastics Institute (RPI), un interessante progetto sulla “economia della plastica”, basata su principi circolari.

Eppure l’RPI non è un caso unico in Gran Bretagna: sono diversi i centri di ricerca sul tema, e un motivo c’è. Nell’ultimo quinquennio è cresciuta sempre più l’attenzione sulla questione plastica, e ciò ha coinciso con l’uscita del Regno Unito dall’UE. Senza Bruxelles è stato necessario essere indipendenti su più fronti, soprattutto a livello giuridico: il paese ha dovuto creare sovrastrutture normative per disciplinare la filiera della plastica, così come tutto il resto del mercato. In assenza di direttive europee il paese ha varato delle leggi specifiche ma, al momento, non è ben chiara la direzione intrapresa. L’ultima novità, in ambito normativo, risale al gennaio 2023, in vigore dall’ottobre successivo, con il divieto (parziale) di plastica monouso. Tuttavia, da subito è apparso chiaro che, senza alternative praticabili, le coercizioni imposte al comparto non sarebbero servite a nulla.

È questo il motivo per cui la ricerca – tramite le università e le imprese – sta spingendo sull’acceleratore: lì dove non arriva il potere normativo potrebbero arrivare, invece, una coscienza critica e la scienza, trovando una soluzione che piaccia a tutti. E il Revolution Plastics Institute, con i suoi quattro gruppi di lavoro, è un progetto virtuoso da prendere come esempio.

Un approccio multidisciplinare

Secondo il Center for International Environmental Law, entro il 2050 la produzione e lo smaltimento della plastica contribuiranno al 13% del “bilancio del carbonio” totale, pari a 2,75 miliardi di tonnellate di CO2

Affrontare la crisi della plastica: è questa la mission del Revolution Plastics Institute, che si pone l’obiettivo di fermare gli impatti dannosi dell’inquinamento da plastica sulla salute e sull’ambiente, attraverso un’azione radicale. Partendo dall’analisi della politica sulla plastica, a livello globale, i ricercatori dell’RPI collaborano con le comunità locali, anche del sud del mondo, e hanno messo a punto una nuova tecnologia, che utilizza “enzimi ingegnerizzati” capaci di decomporre la plastica (anche quella più inquinante) in maniera veloce.

Si lavora per sviluppare materiali nuovi e sostenibili e per incrementare il potenziale del riciclo e del riutilizzo della plastica, promuovendo a livello globale una serie di azioni per agire contro le microplastiche.

Attraverso un approccio multidisciplinare, il Revolution Plastics Institute punta tutto sulla ricerca, per affrontare l’inquinamento ma anche per non demonizzare la plastica: un materiale fondamentale per la vita di tutti i giorni. Grazie a una valida comunità di ricercatori, sarà possibile perseguire la transizione verso un futuro sostenibile della plastica, riducendo anche i rifiuti, con un progetto che parte dal Sud Africa, ma punta anche altrove. È in fieri, poi, la definizione di un accordo globale per contrastare l’inquinamento da plastica: l’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, si è avvalso del Global Plastics Policy Center dell’Università di Portsmouth per orientare i negoziati e individuare le norme esistenti e le attuali lacune, in modo da colmarle.

Il Revolution Plastics Institute ospita quattro gruppi di lavoro, ognuno con competenze diverse che si intersecano tra loro. Il primo, il Centro globale per le politiche sulla plastica (Global Plastics Policy Center), analizza normative e strategie sviluppate a livello globale, e fornisce ai governi e ai gruppi industriali informazioni utili per le scelte decisionali nell’ambito strategico della gestione della plastica.

Il Centro per l’innovazione degli enzimi, conosciuto a livello mondiale, si concentra invece sulla ricerca e sullo sviluppo di un enzima in grado di sciogliere la plastica e di digerire alcune delle materie più inquinanti. Gli fa eco il Gruppo di ricerca sulle microplastiche, che studia l’impatto di queste ultime sulla salute umana e sull’ambiente, cercando (e trovando) soluzioni innovative all’inquinamento. Infine, il Gruppo di ricerca sui materiali avanzati e la produzione: lavora per ridurre l’impatto ambientale della produzione, sviluppando soluzioni ingegneristiche più intelligenti, pulite e sostenibili.

Le politiche globali sulla plastica

Il Trattato globale sulla plastica, in arrivo entro la fine del 2024, dovrebbe essere un accordo internazionale e giuridicamente vincolante che regolerà l’intero ciclo di vita del materiale, dalla progettazione allo smaltimento

Il primo dei quattro gruppi dell’RPI, il Global Plastics Policy Center, opera come intermediario a sostegno dell’elaborazione di politiche sulla plastica, a livello governativo e privato. In particolare, il Centro è parte attiva nel negoziato sul Trattato globale sull’inquinamento da plastica, raccogliendo opinioni dei vari partecipanti e degli esperti.

Non è un mistero il fatto che plastica sia presente ovunque, dalle vette dell’Himalaya all’oceano, contribuendo (in negativo) al cambiamento climatico, con un impatto poco visibile ma sostanziale. Si stima che, a livello globale, siano circa 17 i milioni di barili di petrolio utilizzati ogni anno; entro il 2050 si prevede una crescita galoppante tanto che la produzione e lo smaltimento rappresenteranno il 13% del “bilancio del carbonio” totale, equivalente a 615 centrali elettriche a carbone e a 2,75 mld di tonnellate di CO2, secondo uno studio del Center for International Environmental Law.

Alla luce di questi dati è necessaria un’azione politica urgente e coordinata a tutti i livelli, da quello locale a quello internazionale. Bisogna sviluppare soluzioni sostenibili e basate sull’evidenza, e non bastano gli interventi isolati dei singoli paesi: le misure adottate per ridurre l’inquinamento da plastica (il divieto di alcuni articoli di plastica come sacchetti o cannucce, l’introduzione di migliori strutture di raccolta, smistamento e riciclo dei rifiuti e l’introduzione di tasse per scoraggiare l’uso di determinate plastiche nei prodotti) non stanno dando i frutti desiderati.

Serve quindi un approccio olistico per identificare soluzioni sostenibili: ed è questo quello a cui punta il Global Plastics Policy Center che, nel 2022, ha lanciato una piattaforma online, dove sono riportati video, case study e informazioni che mostrano le più efficaci pratiche nelle politiche di utilizzo della plastica. Un database che raccoglie circa 200 “policy” sulla plastica in diversi ambiti e di diversi paesi, dai divieti nazionali alle tassazioni, dalla Responsabilità estesa del produttore (EPR) alla protezione ambientale, arrivando fino ai piani nazionali e alle roadmap.

Il leitmotiv del Global Plastics Policy Center è chiaro: la plastica non deve sparire, ma deve diventare sostenibile, e serve un coinvolgimento di tutte le nazioni. Ad oggi non esistono accordi globali né un quadro onnicomprensivo per la sostenibilità, ed è ancora tutto in fieri, sebbene qualcosa si stia muovendo. Per fine 2024, forse, sarà disponibile la prima bozza del Trattato globale sulla plastica. Ma mancano poco più di sei mesi, un lasso di tempo forse troppo breve.

Gli enzimi e la ricerca sulle microplastiche

Il professor Andy Pickford, direttore del CEI e ricercatore del P3EB Mission Hub

Con un’idea assolutamente innovativa che parte dal mondo naturale, il Center for Enzyme Innovation (CEI) progetta soluzioni trasformative che si basano su enzimi capaci di riciclare, in maniera circolare, la plastica. Tutto inizia nel 2019, quando l’England Expanding Excellence (3E) Fund per la ricerca conferisce al Centro un premio pari a 5,8 milioni di sterline, seguito da un’ulteriore vincita (1 milione di sterline) nel 2020, proveniente dalla Solent Local Enterprise Partnership.

Con queste risorse si crea una struttura all’avanguardia, con un team di ricercatori specializzati in ricerca e innovazione, a livello globale. Con ulteriori 100 milioni, elargiti dall’Università, il CEI guiderà il Mission Hub P3EB (Preventing Plastic Pollution with Engineering Biology), per sostenere la transizione verso un’economia circolare della plastica nel Regno Unito. Si tratta di una nuova iniziativa che ha, come obiettivo, la trasformazione dei rifiuti di plastica a fine vita, attraverso l’utilizzo di tecnologie di biologia ingegneristica. Il CEI si inserirà nel progetto attraverso la propria tecnologia enzimatica trasformativa, conferendo così ai rifiuti un nuovo valore. Allo stesso tempo, sarà incentivato il recupero e ridotta la quantità destinata alla discarica o all’incenerimento.

Le ingenti risorse potranno così sostenere la ricerca dei sei Hub della Engineering Biology Mission e quella dei 22 progetti sviluppati nell’intero Regno Unito. Il CEI finanzia i dottorati di ricerca e collabora con partner privati e pubblici, coinvolgendo anche i decisori politici, in un progetto in linea con le esigenze dell’industria, per provare a realizzare un cambiamento globale e duraturo, traghettando il paese verso un’economia circolare della plastica… e creando, allo stesso tempo, nuove opportunità di lavoro.

Nei suoi quattro anni, la ricerca è cresciuta incessantemente, passando dal laboratorio alle applicazioni nel mondo reale, grazie alla solerzia dei ricercatori di elevato livello e, soprattutto, della forte collaborazione con il Governo, le imprese e le istituzioni.

Un altro progetto dell’RPI, che è ancora nella sua fase iniziale, è il Gruppo di ricerca sulle microplastiche (Advanced Materials and Manufacturing Research Group), che punta a migliorare la conoscenza sulla materia, lavorando su tre aree interconnesse (ambiente, salute umana e inquinamento). L’ultima iniziativa, il progetto Flower, si concentra sullo sviluppo di materiali biocompositi, da utilizzare nei settori automobilistico e nautico.

Le normative UK in ambito plastico

Il Center for Enzyme Innovation (CEI) progetta soluzioni trasformative di biologia ingegneristica che si basano su enzimi capaci di riciclare, in maniera circolare, la plastica

Ma al momento, nel Regno Unito, com’è la situazione normativa, in ambito plastico?

Per molti (locali) l’aggettivo giusto da utilizzare sarebbe “confusa”. Eppure, sono state emanate diverse leggi sul tema, soprattutto nell’ambito degli imballaggi e del monouso. Di fatto, però, ogni anno in UK sono utilizzati (e buttati via) circa 100 miliardi di pezzi di imballaggi in plastica e vengono utilizzate circa cinque milioni di tonnellate di materiale, di cui solo una piccola parte viene riciclata.

Il resto, dunque, è inviato in discarica o esportato in paesi terzi – come Cina o Malesia – che, però, nel tempo assorbiranno sempre meno scarti. Per ovviare a questa problematica, nel 2020 il Governo ha emanato un divieto sulla vendita di prodotti di plastica monouso, come cannucce, agitatori e bastoncini cotonati. Ma non è bastato: a gennaio 2023, infatti, il Ministero dell’Ambiente ha annunciato un nuovo divieto in partenza il successivo ottobre, seguendo l’esempio dell’UE e della sua Direttiva SUP (Single Use Plastic).

Pertanto, sono state “bannate” le plastiche monouso inquinanti e alle imprese è stato impedito di commercializzare una nuova “fetta” di prodotti, ovvero: piatti, ciotole e vassoi, in plastica monouso, a meno che non siano accompagnati da cibo pronto. Sono state poi predisposte regole severe anche per i bicchieri in polistirene, con alcune eccezioni. Questo significa che, nel breve tempo, al posto della plastica verranno utilizzati materiali alternativi. Tuttavia, il divieto non colpirà il packaging utilizzato per i prodotti alimentari venduti nei supermercati e in ambiti analoghi: il consumatore finale, dunque, non noterà una significativa differenza nelle corsie, dove frutta, verdura e cibi pronti resteranno similari a prima.

In questo caso, infatti, la tutela ecologica trasla su un piano diverso, con la scelta di un regime che prevede la Responsabilità Estesa del Produttore (ERP), con specifici limiti per il Regno Unito, diversi rispetto al resto dell’UE. Tra l’altro, il paese ha necessità di aumentare la capacità nazionale di riciclo e, per incoraggiare gli investimenti in tale ambito e ridurre i rifiuti di plastica, nell’aprile del 2022 è stata introdotta la Plastic Packaging Tax (PPT): una tassa ambientale che colpisce le aziende che importano o producono imballaggi in plastica contenenti meno del 30% di contenuto riciclato.

Per ogni tonnellata di plastica utilizzata nell’imballaggio era stata previsto, inizialmente, un addebito di 200 sterline che, in linea con l’indice dei prezzi al consumo, è salito a 217,85 sterline dal primo aprile 2024.

L’imposizione rappresenta una sorta di incentivo indiretto per le aziende, incoraggiando le stesse a incrementare i livelli di riciclo, utilizzando una maggiore quantità di materiale plastico riciclato, nei propri imballaggi, incrementandone, allo stesso tempo, la domanda e la produzione. Ma basterà? Vedremo. Indubbiamente la Brexit ha creato disequilibri nel paese, non solo a livello economico ma anche normativo. E probabilmente oggi, a distanza di quattro anni, ancora non si riesce a rientrare, a pieno, in una normalità operativa di difficile realizzazione.

Marianna Capasso


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