Quanto è circolare il PET?

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È la più raccolta, la più riciclata, ma è – e lo sarà per molto tempo – anche la plastica rigenerata più richiesta dal mercato. Stiamo parlando, come si può immaginare, del polietilene tereftalato, polimero più noto con la sigla PET. Viene ampiamente utilizzato per produrre bottiglie, vaschette alimentari e, fuori dall’imballaggio, trova applicazione anche nei filati per tessuti sintetici. Amato dai produttori di bevande per la sua leggerezza e versatilità d’uso, il PET è costantemente sotto i riflettori di ambientalisti e autorità per la sua pervasività: miliardi di bottiglie prodotte e utilizzate ogni anno, che – seppur in minima parte – possono sfuggire al circuito di raccolta dei rifiuti per finire disperse nell’ambiente.

Con la SUP nuovi target da rispettare

Tipica plastica per applicazioni monouso, il PET è finito inevitabilmente sotto la lente del legislatore europeo, ritagliandosi uno spazio nella Direttiva sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti in plastica nell’ambiente, più nota come Direttiva SUP; o meglio, l’attenzione non stata rivolta al polimero in quanto tale, ma alle bottiglie, per le quali sono stati definiti target di raccolta e riciclo più restrittivi rispetto ad altri imballaggi in plastica. La Direttiva (UE) 2019/904 impone infatti che entro il 2029 i paesi dell’Unione raccolgano il 90% delle bottiglie PET per bevande immesse al consumo, con un obiettivo intermedio del 77% entro il 2025. L’imposizione si estende anche al contenuto minimo di riciclato, che dovrà raggiungere almeno il 25% in peso a partire dal 2025, per poi salire al 30% nel 2030. I target fissati dalla Direttiva SUP stanno già creando tensioni sulla domanda di PET rigenerato (rPET), dato che i produttori di bevande hanno iniziato a incrementarne il contenuto nelle bottiglie, mentre i volumi di rPET non riescono a tenere il passo, anche se – come vedremo più avanti – l’industria sta accelerando sulla creazione di nuove capacità.

Quanto è circolare il PET

Per capire quanto sia circolare il PET a livello europeo, viene in aiuto un recente studio elaborato dalla rete contro i rifiuti Zero Waste Europe, elaborato in collaborazione con la società di consulenza su temi ambientali Eunomia Research & Consulting, intitolato “How circular is PET?”. Scopo dell’analisi è verificare come vengono recuperate e riciclate le bottiglie PET in Europa, individuandone anche le possibili aree di miglioramento. In questa sede forniremo solo una sintesi dello studio, che può essere scaricato online dal sito di Zero Waste Europe.

Flusso del PET dall’immesso al consumo al riciclo

Le bottiglie rappresentano poco meno della metà del consumo europeo di PET; il 20% è imputabile a tutti gli altri imballaggi, dalle vaschette (13%) ai film (5%) e reggette (2%), mentre il restante 33% è assorbito dalle fibre. Solo il 60% delle bottiglie immesse al consumo, però, viene recuperato, pur con differenze notevoli in funzione dell’approccio utilizzato in ogni paese: dove esistono schemi di deposito su cauzione (DRS, acronimo di deposit return systems), si raggiunge un tasso di raccolta mediamente del 95%, contro il 50% scarso nei paesi UE che non li adottano, tra i quali l’Italia. Inoltre, non tutto ciò che viene raccolto è poi rigenerato. Lo studio stima che, a conti fatti, solo una bottiglia su due viene effettivamente riciclata e solo una minima quota del PET utilizzato per produrre bottiglie torna come rPET nella stessa applicazione, dato che le bottiglie ne contengono in media solo il 17%. Il resto rientra in circolo, ma in forma di vaschette, film, reggette o fibre. In volume, il PET riciclato destinato al bottle-to-bottle si aggirerebbe intorno a 540.000 tonnellate annue (su un totale di rPET generato ogni anno pari a 1,8 milioni di tonnellate), a fronte di un consumo complessivo, sempre restando nel campo delle bottiglie, superiore a 3,2 milioni di tonnellate, di cui il vergine vale poco più di 2,7 milioni di tonnellate. La situazione europea, per quanto non ottimale, è comunque migliore di quella che si riscontra nel paese più industrializzato, gli Stati Uniti, dove il tasso di riciclo del PET presente nelle bottiglie si ferma al 23% (meno della metà di quello UE) e il contenuto medio di rPET nelle bottiglie non va oltre l’8%.

Raccolta e riciclo di bottiglie PET

Si può fare di più

Lo studio pubblicato da Zero Waste Europe indica anche le misure che si dovrebbero adottare per aumentare la circolarità del PET. La più efficace, come si evince dai numeri, è l’adozione del deposito cauzionale, che prevede il versamento, all’atto dell’acquisto di una bottiglia (ma lo stesso vale per le lattine), di una piccola somma che viene restituita alla riconsegna del contenitore vuoto a un punto di raccolta, pratica che scoraggia l’abbandono in ambiente. Un altro strumento è l’introduzione di elevati target di raccolta delle bottiglie, imponendo al contempo un contenuto minimo di rPET negli imballaggi, come si è fatto in Europa con la direttiva SUP. Ma si può anche lavorare sull’ecodesign dei manufatti: ad esempio, passare da bottiglie colorate e opache – oggi pari a un quinto di quelle prodotte – a contenitori trasparenti (clear) e favorire il riciclo da bottiglia a bottiglia, che evita – o quanto meno riduce – il declassamento del materiale. In aiuto potrebbe venire anche il riciclo chimico o biologico mediante depolimerizzazione, da affiancare a quello meccanico, a condizione – si legge nello studio – che le tecnologie raggiungano un adeguato grado di maturità e che ne venga adeguatamente valutato l’impatto ambientale.

Scenario attuale (in alto) della circolarità delle bottiglie PET e al 2030 (in basso)

Implementando questi correttivi e migliorando nel complesso la raccolta di tutti gli imballaggi in PET, la quantità di rPET nelle bottiglie commercializzate in Europa potrebbe raggiungere il 75% entro il 2030, mentre continuando lungo la strada battuta finora non si andrebbe oltre il 30%.

Lavori in corso in Italia

In attesa e prima ancora della Direttiva SUP, i produttori di bevande hanno iniziato a introdurre percentuali crescenti di PET riciclato nelle bottiglie, come strumento per migliorare l’appeal ambientale dei loro prodotti nei confronti di consumatori sempre più sensibili su questo tema.

Da qualche anno, inoltre, i big del settore hanno iniziato a investire direttamente per garantirsi gli approvvigionamenti di rPET, in previsione – almeno in Europa – di dover fronteggiare una domanda superiore all’offerta. Così, ad esempio, all’inizio di quest’anno Coca-Cola HBC Italia ha deciso di riaprire lo stabilimento di Gaglianico, in provincia di Biella, investendo 30 milioni di euro in un nuovo impianto per il riciclo di PET grado alimentare, con capacità intorno a 30.000 tonnellate annue, da riutilizzare internamente per produrre bottiglie 100% rPET. Il programma prevede due fasi: nella prima, da completarsi entro metà anno, saranno avviate linee per lo stampaggio di preforme PET vergine e rigenerato; quindi, dopo l’estate, si passerà a riciclare internamente il PET necessario, che in prospettiva diventerà l’unica resina impiegata nello stabilimento biellese.

In giro per l’Europa

Fuori dai confini nazionali, è molto attivo il gruppo austriaco Alpla, che sta velocemente aumentando le capacità di riciclo mediante investimenti e nuove acquisizioni. L’ultima in ordine di tempo riguarda la tedesca Texplast, rilevata dal gruppo Fromm insieme a una partecipazione nella joint-venture PET Recycling Team Wolfen. Così, in un colpo solo, Alpla ha aggiunto al suo portafoglio 55.000 tonnellate annue di rPET, destinate in gran parte ad applicazioni bottle-to-bottle, che si sommano alle 20.000 tonnellate annue del riciclatore tedesco BTB PET-Recycling, rilevato alla fine dell’anno scorso. Le attività rientrano nel piano di investimenti da 50 milioni di euro volto a potenziare, entro il 2025, le attività nel riciclo di materie plastiche post consumo, annunciato all’inizio dell’anno scorso. Nel complesso, Alpla può vantare oggi una capacità di riciclo intorno a 203.000 tonnellate annue di rPET e 74.000 tonnellate di rHDPE.

Si sta muovendo sul mercato europeo anche il produttore statunitense di imballaggi Plastipak, che all’inizio di quest’anno ha incrementato del 130% il riciclo di PET bottle-to-bottle presso lo stabilimento di Bascharage, in Lussemburgo. Anche in questo caso, l’rPET viene riutilizzato all’interno del gruppo per produrre bottiglie e contenitori rigidi destinati ai mercati di Germania e Benelux. In Europa, Plastipak dispone di impianti di riciclo in Francia, Regno Unito e, di recente, anche in Spagna. Il PET riciclato rappresenta, in media, il 27% del materiale trasformato nei propri stabilimenti europei, quota che arriva a oltre il 45% a Bascharage.

Dal Nord al Sud Europa. Il produttore portoghese di imballaggi rigidi in plastica Logoplaste ha rilevato la società EcoIbéria e la consociata WorldPET, con sede nel nord del paese, entrambe attive nel riciclo di PET post consumo in scaglie e granuli rPET, anche per applicazioni a contatto con alimenti. Nel complesso, i due impianti sono in grado di produrre quasi 60.000 tonnellate annue di PET rigenerato, pronto per essere incorporato negli imballaggi.

C’è anche il riciclo biologico

Fino a oggi, il PET viene riciclato quasi esclusivamente per via meccanica, ma all’orizzonte si prospettano impianti per la depolimerizzazione chimica e biologica. In quest’ultimo ambito, la francese Carbios sembra matura per passare su scala industriale e, a questo scopo, ha scelto la thailandese Indorama Ventures come partner per avviare il primo impianto dimostrativo di riciclo enzimatico. L’unità dovrebbe entrare in funzione nel 2025 a Longlaville, in Francia, presso uno stabilimento Indorama, che parteciperà al finanziamento del progetto, stimato in circa 200 milioni di euro. Nei piani dei due partner, il riciclo enzimatico potrà trattare fino a 50.000 tonnellate annue di rifiuti a base poliestere – pari a 2 miliardi di bottiglie o a 2,5 miliardi di vaschette in PET –, creando 150 posti di lavoro tra diretti e indiretti. L’operazione beneficerà anche di prestiti agevolati pubblici, a livello sia locale sia statale, nell’ambito del programma France 2030. L’impianto utilizzerà la tecnologia di depolimerizzazione C-Zyme sviluppata da Carbios, da cui si ottiene – come è stato dimostrato a livello di unità pilota – acido tereftalico e glicole monoetilenico, da reintrodurre in ciclo per produrre nuovo poliestere con una qualità pari al vergine e ulteriormente riciclabile a fine vita.


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