Martina Ballerio di Elmec 3D: “L’importanza di essere unici”

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Nel 2019 Forbes Italia l’ha inserita nella classifica 100 Top Under 30 leader del futuro. «È stata una sorpresa incredibile» racconta a Plastix Martina Ballerio, ai vertici di Elmec 3D. «Ma oggi ho capito che puntare all’unicità, con progetti capaci di migliorare davvero la vita delle imprese e delle persone è la scelta giusta».

A suo parere, su quali basi è costruito questo traguardo?
Fin da adolescente nei miei programmi c’era la ricerca scientifica. Così, dopo una laurea in Ingegneria dei materiali al Politecnico di Milano nel 2013, sono partita per il Belgio, alla volta della Katholieke Universiteit Leuven, quindi per la Francia, all’Université Joseph Fourier, dove ho conseguito un doppio master in nanoscienze e nanotecnologie. Senza dimenticare l’esperienza in Germania, alla Technische Universität Dresden, per un progetto sui dispositivi microfluidici. Curiosa da sempre, vagavo per l’Europa in cerca di nuove idee e interessi. Nel 2015 ero all’Institut Néel CNRS di Grenoble e mi occupavo di trasporto di elettroni su transistor di nanotubi di carbonio. Un giorno mi hanno comunicato di aver vinto una borsa di studio per un dottorato in elettronica molecolare. Strano a dirsi, ma la mia reazione non è stata di gioia. Dal quel momento ho cominciato a maturare la consapevolezza che il mio interesse scientifico mal si conciliasse con una prospettiva di carriera accademica, che impone di focalizzarsi su un determinato argomento per molto tempo. Ho capito di volermi mettere alla prova con i ritmi e le esigenze più tipiche di un’azienda. Ho vagliato diverse proposte, decidendo di dedicarmi a un settore per me completamente nuovo, quello della consulenza strategica di business. E così, in Accenture Strategy ho avuto modo di apprendere come funzionano le aziende, il marketing e il processo commerciale, impegnandomi in progetti di casi virtuosi come in consulenze dedicate a realtà in difficoltà. Nel 2018, mio padre mi ha proposto una nuova avventura all’interno di Elmec, avviando un progetto nel mondo dell’additive manufacturing. Ed eccomi qui…

In quegli anni il 3D printing si profilava come l’ennesima rivoluzione industriale. È stata quella prospettiva ad attrarla?
Non è stato tanto l’argomento o l’illusione di cavalcare l’argomento del momento, quanto l’opportunità di dar vita a un progetto nuovo, una sfida che mi avrebbe permesso di riprendere contatto con le tematiche dei miei studi, alle quali unire le nuove competenze nel frattempo acquisite, con la possibilità di fornire un contributo concreto all’impresa di famiglia. La mia esperienza mi ha portato inizialmente a concentrami sulla strutturazione di una solida unità tecnica, assumendo soprattutto ingegneri meccanici, nel contesto di un business plan che ci consentisse di partire con un approccio ai conti concreto. Oggi il nostro staff si compone di quindici persone giovani e motivate, che stanno contribuendo a raggiungere risultati molto positivi.

Dal boom del 3D printing a oggi si sono perse le tracce di molte start up, tanti progetti sono stati ridimensionati, così come molte soluzioni di emergenza approntate nella fase acuta della pandemia sono state presto sostituite dall’utilizzo della stampa a iniezione… Ci sono limiti oggettivi per questa tecnologia?
In questi anni abbiamo assistito a un’evoluzione importante, con una costante crescita del mercato della stampa 3D industriale. Dopo anni di “sperimentazione”, il settore della manifattura additiva sta trovando una sua identità. Si ha più accortezza nel creare aspettative non corrette e nel distinguere nettamente le attività amatoriali, o quasi, da applicazioni realmente in grado di assolvere alle necessità del mondo industriale. È un cambio di passo evidente, anche se forse più lento rispetto a quanto ci si potesse attendere qualche anno fa. Ma la curva sale, così come l’interesse delle aziende nell’approcciarsi a questa tecnologia. Lo vediamo quotidianamente, perché se un tempo l’approccio del cliente era orientato all’idea di utilizzare l’additive essenzialmente per attività di prototipazione, oggi si è spostato verso le piccole serie, sfruttando l’unicità di questa tecnologia per migliorare le performance degli oggetti. Penso al mondo dell’auto, che già sta utilizzando pezzi realizzati in 3D nelle catene di montaggio. Accanto al miglioramento tecnico, si concretizza anche un tangibile risparmio economico, perché gli investimenti sostenuti per reingegnerizzare i componenti mediante manifattura additiva si traducono ben presto in aumento della produttività e diminuzione dei costi generali.

In questo contesto, come si pone l’azienda di cui è ai vertici?
Siamo partiti come rivenditori di stampanti professionali, ma ben presto mi sono accorta che mancava l’elemento giusto per distinguerci. Nel trovarlo, la mia “anima” tecnologica è stata davvero di ispirazione, supportandomi nello sviluppo di un’organizzazione che permettesse di fornire servizi a valore aggiunto in termini di formazione, progettualità e consulenza, che oggi caratterizzano fortemente il nostro approccio al mercato. Non realizziamo prodotti, o almeno non è questo il nostro core business, ma abilitiamo le aziende a realizzarli. Ciò non esclude la possibilità, soprattutto nella fase iniziale del progetto, di operare come un service di prototipazione o di produzione, ma sempre con l’intenzione di accompagnare il cliente in un percorso che punta alla sua autonomia nell’utilizzo dell’additive manufacturing. In questo modo, chi investe in tecnologia ha tutti gli strumenti per comprendere appieno il valore e le potenzialità del suo impegno economico.

Può tracciare l’identikit del vostro cliente target?
Rispetto a Elmec, la casa madre, che lavora prevalentemente con aziende più grandi, le piccole e medie imprese rappresentano il cuore della nostra attività, probabilmente anche grazie alla maggiore flessibilità, fermezza nelle decisioni e velocità di risposta che le caratterizzano. Generalmente si rivolgono a noi per trovare soluzioni volte al miglioramento dell’efficienza produttiva.
Spesso i progetti più creativi nascono dalla collaborazione con realtà nate come start up, giovani e con un management naturalmente predisposto ad approcciare le tecnologie innovative. Nelle applicazioni uniche e altamente personalizzate, davvero capaci di apportare un miglioramento sostanziale alla vita delle persone o delle aziende, riusciamo infatti a dare il meglio. Ne è un esempio il dispositivo di allenamento realizzato per Sara Bertolasi, atleta che punta a diventare la prima italiana a partecipare a tre edizioni di Giochi olimpici nella disciplina del canottaggio. Per lei abbiamo sviluppato un carrello ergonomico che le permettesse di ridurre i dolori provocati dalle tante ore spese ad allenarsi, che ne stavano compromettendo il sogno. Dopo aver realizzato un calco dell’ergonomia di Sara, il software ha sovrapposto le immagini con quelle di una seduta standard e il file ottenuto è stato utilizzato per realizzare un primo prototipo per testare le posizioni assunte durante la voga. I feedback dell’atleta sono stati utili per riadattare il design alla forma più naturale della sua postura, differenziando nella seduta le diverse aree d’appoggio. Il carrellino è stato realizzato tramite tecnologia HP Multi Jet Fusion e ha permesso all’atleta di ridurre il dolore agli ischi da un valore di 8/10 a 3/10, permettendole di tornare ai suoi 13 allenamenti settimanali.

Anche se molte delle soluzioni industriali che avete sviluppato sono tutelate da accordi di segretezza, può raccontarci qualche progetto interessante?
Un caso da manuale è il componente di un braccio robotico ormai fuori produzione realizzato per Avi.Coop, un’azienda della filiera Amadori. Dopo un’approfondita analisi, il pezzo originale è stato riprogettato in funzione della tecnologia ottenendo il dimezzamento del peso, l’abbattimento del 97% del costo di produzione e una maggiore resistenza alla fatica del braccio di presa.
Goglio, produttore di macchine industriali per l’imballaggio, ci ha invece affidato il compito di riprogettare un componente fondamentale – in polimero lavorato da pieno – di un sistema per il trasporto e imballo di buste per il caffè con l’obiettivo di aumentare la produttività riducendone il peso. Grazie alle analisi statiche effettuate tramite i nostri software è stato possibile testare geometrie intermedie in modo definitivo, arrivando a una definizione geometrica del prodotto in tempi minori rispetto alle tradizionali tecnologie di prototipazione e produzione. Il pezzo, in poliammide 12 stampata con tecnologia MJF di HP, è ottimizzato topologicamente e, a parità di proprietà meccaniche, è il 36% più leggero. Il conseguente aumento della produttività (+15%, pari a dieci sacchetti di caffè in più al minuto) si aggiunge a una sensibile diminuzione (-20%) dei costi di realizzazione del componente.

I materiali sono considerati uno dei principali limiti della produzione additiva. È davvero così?
Le performance dei materiali non rappresentano un limite: in particolare, i nostri clienti hanno effettuato diverse prove meccaniche sui componenti da noi realizzati con tecnologia Multi Jet Fusion e il comportamento di questi materiali risulta essere pari a quello dei materiali tradizionali. I polimeri disponibili sul mercato non offrono la stessa varietà di scelta dei polimeri “tradizionali”, ma è pur vero che questi materiali, soprattutto con basi in polvere, stanno conquistando spazio e credibilità per la totale libertà geometrica che la manifattura additiva consente, offrendo molta più elasticità progettuale rispetto alle tecnologie tradizionali. Un’altra criticità è l’aspetto certificativo, che oggi rappresenta il freno maggiore allo sviluppo di nuove applicazioni, con tempi relativamente lunghi e soprattutto investimenti economici importanti. Finora, quindi, le aziende produttrici si sono concentrate su un numero relativamente limitato di materiali, puntando a certificare tutte le caratteristiche che permettano un ampio utilizzo in applicazioni e settori diversi.

Stampaggio in 3D di parti in plastica e in metallo: quali di questi due segmenti è caratterizzato dal maggiore potenziale innovativo?
Attualmente non ce ne occupiamo direttamente, ma abbiamo già acquisito competenze per approcciare anche il mondo dei metalli, che come quello della plastica sta evolvendo velocemente, trovando nuove identità. Se, infatti, le tecnologie attualmente disponibili si concentrano, a partire dal settore aerospaziale, sulla realizzazione di componenti molto grandi, la ricerca permetterà presto di estenderne l’applicazione anche a manufatti di media o piccola dimensione. In questo caso sarà evidente la differenziazione di due mercati, con il secondo più aperto all’offerta di prodotti consumer. Come e forse più che per la plastica, in questo momento esistono forti resistenze al cambiamento, ma anche un futuro potenzialmente molto interessante.

Abbandonata la scomoda etichetta di rivoluzione industriale, l’additive manufacturing sta correndo veloce verso un’identità più definita, guardando anche alla digitalizzazione…
Se l’iper ammortamento ha favorito gli investimenti in comparti più tradizionali dell’industria delle materie plastiche, nel nostro settore la discriminante è il valore aggiunto che una nuova macchina può portare a chi l’acquista. Stiamo parlando di tecnologie ancora poco diffuse nella maggior parte delle fabbriche tradizionali, difficilmente approcciabili da chi mira puramente al vantaggio fiscale. Del resto, è un comportamento che anche noi tendiamo a scoraggiare: non è gratificante sapere che un cliente, dopo aver acquistato una nostra stampante, a un anno di distanza si accorge di non aver trovato tempo e modo di usarla…

I vostri interlocutori come approcciano la digitalizzazione della fabbrica e il paradigma Industria 4.0?
Credo che se si vuole dare un contributo importante al successo della manifattura digitale sia necessario riconoscersi in pieno nell’essenza del concetto “Industria 4.0”: essere smart, ridurre gli sprechi e integrare i processi. Oggi sono poche le aziende che possono concretamente dire di aver raggiunto un livello maturo, ma come per altri passaggi tecnologici sarà una transizione graduale. Pensiamo, ad esempio, alle potenzialità dei magazzini digitali, che oggi si affacciano sul mercato e introducono un aspetto fondamentale anche in termini di risparmio e di sostenibilità ambientale. In un futuro non troppo lontano, vedo produzioni mirate, riduzione della filiera e dei trasporti intercontinentali, una capacità di razionalizzare il più possibile le produzioni. Servirà tempo, ma la strada è tracciata e la connessione di tutte le tecnologie di fabbrica è una condizione irrinunciabile.

A distanza di tre anni dalla fondazione, avete raggiunto gli obiettivi prefissi?
Non mi sono mai stati assegnati obiettivi quantitativi, ma mi è stato invece chiesto di puntare sull’aspetto qualitativo. Ciò non toglie che io imponga alla mia divisione anche precisi target di fatturato. I risultati sono finora molto incoraggianti e negli ultimi mesi abbiamo vissuto un’accelerazione importante del fatturato, senza però frenare i continui investimenti che l’approccio a una tecnologia ancora non matura ci impone. Ma è interessante notare che la nostra attività sta assumendo un ruolo di moltiplicatore di business per tutto il gruppo, rafforzandone la reputazione.
Il nostro è un mondo capace di attirare molta curiosità e interesse. Certamente i progetti realizzati finora contribuiscono a quell’effetto volàno che auspicavamo e che si traduce anche in risultati commerciali in termini di vendita di macchine.
Credo che il nostro approccio ci stia premiando: oggi molti clienti che hanno acquistato non ci contattano per chiederci ricambi, ma per lavorare insieme su nuovi e più sfidanti progetti.

C’è sempre l’additive manufacturing nel futuro di Martina?
Fin dall’inizio della mia carriera professionale sono stata abituata a non ragionare a lungo termine ma a vivere nel presente. Quello che sto facendo oggi mi appassiona perché abbina la conduzione manageriale di un’azienda ai temi tecnici sui quali mi sono formata. Sono pienamente inserita nell’azienda della mia famiglia e, sebbene del domani non vi sia certezza, mi piace pensare qui il mio futuro. Ho sempre avuto la convinzione di voler essere indipendente e costruirmi il mio percorso autonomamente e, perché no, se eventuali nuove esperienze potessero favorire la mia crescita per poi metterla a disposizione di Elmec, sono pronta a mettermi in gioco.


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