Pubblichiamo qui di seguito l’opinione del direttore tecnico della rivista Plastix, Giovanni Lucchetta, al riguardo dei PFAS (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate), al centro di aspri confronti, che sono però serviti da stimolo per la ricerca di soluzioni alternative più sostenibili
Immaginate un mondo senza i moderni comfort a cui siamo abituati: nessun dispositivo medico salvavita, nessun imballaggio alimentare che garantisca freschezza e sicurezza, nessun dispositivo elettrico o elettronico. Questo sarebbe un mondo privo dei progressi offerti dalla chimica dei materiali polimerici: una scienza silenziosa ma fondamentale, che ha rivoluzionato quasi ogni aspetto della nostra vita quotidiana.
Purtroppo, però, proprio in virtù della sua enorme scala d’influenza, la chimica moderna ha dimostrato un potenziale straordinario anche nella capacità di causare gravi impatti ambientali, come illustrato ad esempio dall’inquinamento da PFAS. Queste “sostanze chimiche eterne”, utilizzate in numerosi prodotti di consumo per le loro proprietà di resistenza al calore e impenetrabilità all’acqua e ai grassi, hanno lasciato una traccia indelebile nei nostri ecosistemi. Per approfondire l’argomento, Nadia Anzani ne discute in un interessante articolo pubblicato sulla rivista Plastix di giugno 2024, esplorando le complessità associate ai PFAS e le alternative proposte nei diversi ambiti applicativi.
In queste poche righe, vorrei invece cogliere l’opportunità per riflettere su quanto accaduto e tentare di ricavarne una lezione per il futuro. La storia dei PFAS evidenzia un problema ricorrente nell’industria chimica: l’entusiasmo per le potenzialità di nuove sostanze (e per il profitto enorme che se ne può ricavare) ha spesso la meglio sulla volontà di comprendere completamente i loro effetti collaterali. La difficoltà nel degradare questi composti e la loro capacità di accumularsi negli ecosistemi e negli organismi viventi sono stati sottovalutati, cedendo alle lusinghe di un rapido e redditizio sfruttamento commerciale.
Soluzioni dalla politica, ma anche dalle imprese
Per garantire che non si ripetano problemi ambientali e di salute umana simili a quelli causati dai PFAS, non possiamo affidarci esclusivamente a leggi e regolamentazioni. In primo luogo, è essenziale che le leggi esistenti non siano solo rigorose, ma anche rigorosamente applicate. Senza un enforcement efficace, anche le regolamentazioni più stringenti rischiano di rimanere lettera morta. Questo richiede un investimento adeguato in risorse per il monitoraggio e l’esecuzione delle norme, assicurando che le violazioni siano rapidamente identificate e sanzionate.
Inoltre, le imprese devono assumersi una maggiore responsabilità nell’innovare in modo sostenibile. Invece di aspettare che le normative impongano cambiamenti, le aziende dovrebbero essere proattive, investendo in ricerca e sviluppo per scoprire e implementare alternative sicure e sostenibili. Questo impegno non solo rafforza la loro reputazione tra i consumatori e i partner, ma le posiziona anche come leader nell’adozione di tecnologie alternative. Nel momento in cui le sostanze inquinanti saranno inevitabilmente regolate e limitate, queste aziende avranno già sviluppato soluzioni avanzate, ottenendo così un vantaggio competitivo significativo nel mercato.
La cooperazione internazionale è un altro pilastro cruciale. Dato che l’inquinamento non conosce confini, i problemi ambientali sono intrinsecamente globali. È pertanto vitale che i paesi collaborino per stabilire e mantenere standard internazionali che regolino le sostanze pericolose, garantendo che le soluzioni adottate siano efficaci su scala mondiale.
Infine, un ruolo importante deve essere giocato dall’educazione e dal coinvolgimento del pubblico. Sensibilizzare le persone sui rischi associati a determinati materiali e sulle pratiche sostenibili può stimolare un cambiamento nei comportamenti di consumo. Un pubblico informato è più propenso a esercitare pressione su aziende e governi per promuovere la sostenibilità e la responsabilità ambientale.
Giovanni Lucchetta, Università di Padova