I materiali compositi sono davvero sostenibili?

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Hanno sempre goduto di cattiva fama sotto il profilo della sostenibilità ambientale in ragione della loro scarsa riciclabilità, ma è proprio vero che i materiali compositi, in modo particolare quelli a matrice termoindurente, non possano avere una seconda vita? Prova a sfatare il mito un recente documento di Assocompositi, l’associazione che in Italia tutela e rappresenta questo settore. Si tratta di una guida molto snella destinata a un vasto pubblico, non solo di esperti – come si evince dal titolo “Circolarità dei materiali compositi: una guida per neofiti –, compendio di un “position paper” più tecnico sullo stesso tema, elaborato dall’associazione all’inizio di quest’anno. Il testo è corredato da un’utile appendice contenente una sintesi delle normative nazionali ed europee sulla gestione dei rifiuti e sulla cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste). Di seguito presentiamo una sintesi del documento.

Leggero e resistente

Partiamo dalle basi: un composito è un materiale a matrice polimerica, termoplastica o termoindurente, rinforzata con fibre o tessuti, generalmente fibre di vetro o di carbonio (talvolta insieme), oppure – come sta emergendo di recente – anche fibre naturali.
Il rinforzo ha lo scopo di irrigidire il materiale, conferendogli un’elevata resistenza meccanica senza pregiudicare la leggerezza tipica delle materie plastiche. Proprio l’intima fusione di resina e rinforzo rende più complesso il riciclo meccanico a fine vita dei componenti, anche se non necessariamente le possibilità di un loro riutilizzo.

Lunga vita ai compositi

Il primo aspetto che gioca a favore della sostenibilità dei composti è intrinseco: essendo durevoli e resistenti, vengono impiegati in applicazioni strutturali o semi-strutturali, per componenti destinati a un impiego prolungato. L’esatto contrario dei materiali monouso. Ciò li rende anche suscettibili di riparazione – come accade ad esempio per le grandi pale eoliche – e, ove possibile, a un riutilizzo una volta terminata la funzione originaria, ai vertici della gerarchia nel trattamento del fine vita. Quando, però, un componente in materiale composito arriva al termine delle sue possibilità di utilizzo si deve pensare a come smaltirlo nel modo più efficiente.

Bisogna considerare che il riciclo meccanico per un riutilizzo nell’industria dei compositi è tutt’altro che semplice (ma non impossibile), come può esserlo la triturazione di una bottiglia in PET per riottenere il granulo. Vi sono però altre opzioni da valutare, che valgono sia per il componente a fine vita, sia per lo sfrido di produzione. Alcune sono già disponibili – come il co-processing, il riciclo meccanico e la pirolisi –, altre sono in fase di industrializzazione e vi sono processi più innovativi, ancora in fase di studio.

Secondo Assocompositi, per una corretta valutazione dei diversi processi bisogna considerare: il costo, la resa qualitativa, che dipende dal tipo di fibra di rinforzo (vetro o carbonio) e dalla matrice, il formato e il livello di mantenimento delle proprietà delle fibre rigenerate e, ultimo ma non per importanza, l’impatto ambientale del processo.

Calcolare l’LCA cradle to gate
L’Associazione europea dell’industria dei materiali compositi, EuCIA, mette a disposizione gratuitamente EcoCalculator, uno strumento online per l’analisi LCA dei materiali compositi all’interno del perimetro “dalla culla alla consegna” (cradle to gate). L’associazione sta anche mettendo a punto un nuovo strumento per effettuare l’analisi LCA per le fasi di smaltimento, riuso e riciclo dei materiali compositi, che sarà però disponibile solo nel 2023.

Co-processing nel cemento

La principale tecnologia oggi impiegata per il riciclo dei compositi, nota anche come co-processing, è l’utilizzo nei forni dei cementifici, ove il rifiuto entra in parte nella composizione del cemento stesso e in parte funge da combustibile contribuendo a ridurre le emissioni di anidride carbonica. Questo approccio è limitato però al solo recupero dei compositi rinforzati con fibre di vetro, mentre non è adatto nel caso delle fibre di carbonio o di fibre diverse. Il beneficio in termini ambientali è dato dalla sostituzione di una quota delle materie prime cementizie con le fibre di vetro e i riempitivi inorganici presenti nei materiali compositi, mentre la matrice diventa un combustibile primario nel processo di produzione del clinker. Ciò rende il co-processing altamente efficiente, veloce, scalabile e permette di ridurre di circa il 20% l’impronta di carbonio della produzione del cemento.

Le diverse anime del riciclo chimico

Il riciclo chimico è tra le tecnologie più promettenti per il recupero dei materiali compositi. In realtà, si dovrebbe parlare di una famiglia di tecnologie, alcune delle quali già disponibili e altre in fase di sviluppo. L’obiettivo più alto è riottenere i precursori originali, previa separazione delle fibre, senza perdita di prestazioni, così da chiudere il ciclo di vita del componente.

Le tecniche oggi in uso prevedono processi termici (pirolisi, letto fluido e depolimerizzazione) o termochimici (solvolisi). La pirolisi permette di recuperare sia le fibre, sia i prodotti idrocarburici derivati dalla decomposizione termica della matrice, di solito impiegati per ridurre il consumo energetico del processo. Bisogna però mettere in conto una perdita di valore rispetto al materiale di partenza e ciò vale soprattutto per le fibre di vetro, che perdono l’appretto superficiale necessario a promuovere l’adesione con la matrice; inoltre, l’esposizione alle temperature elevate può danneggiare le fibre, riducendone la resistenza. La pirolisi richiede anche investimenti maggiori e costi di gestione più elevati. Ad oggi, quindi, risulta economicamente sostenibile solo per le fibre di carbonio, ma non è ancora implementata su larga scala a causa di volumi relativamente bassi.

Promettente, ma ancora in fase di sviluppo, è la solvolisi, trattamento chimico in cui vengono utilizzati solventi per decomporre la matrice. Rispetto alla pirolisi, richiede temperature più basse e, di conseguenza, comporta anche un minor rischio di degradazione delle fibre. Con i processi più avanzati è anche possibile recuperare alcune sostanze chimiche in forma liquida, riutilizzabili nella formulazione delle resine per compositi. La solvolisi è facilmente scalabile, ma gli investimenti, i costi di gestione e l’impatto ambientale possono essere elevati.

Tra le opzioni di riciclo chimico c’è anche la gassificazione, processo di decomposizione termica simile alla pirolisi in grado di trattare anche materiali misti (come i laminati in composito con superfici verniciate o anime di schiuma) e strutture complesse, nonostante risultino più difficili da recuperare i feedstock riutilizzabili all’interno della matrice polimerica.

C’è poi la depolimerizzazione termochimica in atmosfera di anidride carbonica, che potenzialmente consentirebbe di recuperare sia le fibre di rinforzo sia la resina, quest’ultima impiegabile in miscela con quella vergine – sia poliestere insatura sia vinilestere o epossidica – per la produzione di nuovi compositi.

Il riciclo meccanico

I materiali compositi possono anche essere recuperati attraverso riciclo meccanico ed elettromeccanico, ovvero frammentazione con impulsi ad alta tensione.

Il riciclo mediante macinazione meccanica controllata è un processo efficace, a basso costo e ridotto fabbisogno energetico, il quale tuttavia diminuisce drasticamente il valore dei materiali riciclati. Le fibre corte e la matrice macinata, in forma di polvere, possono essere utilizzati rispettivamente come rinforzi o riempitivi. Con queste tecniche si può ottenere anche un parziale recupero delle proprietà fisico-meccaniche dei compositi di partenza, già sperimentato con successo in applicazioni che spaziano dall’arredo ai prodotti industriali.

È invece ancora in fase di sviluppo la tecnica di frammentazione con impulsi ad alta tensione, attraverso la quale si separano le fibre dalla matrice polimerica utilizzando l’elettricità al posto del calore. Un processo ad alta intensità energetica che consente però un recupero delle fibre di elevata qualità, con una maggiore lunghezza rispetto alla macinazione meccanica.

Anche le fibre si rigenerano

Indipendentemente dal processo di riciclo utilizzato, le fibre che si ottengono presentano una lunghezza relativamente ridotta e sono orientate in modo casuale, a causa della manipolazione, lavorazione e triturazione a cui vengono sottoposte. Si presentano quindi come una massa soffice, a bassa densità, con fibre spesso private della loro apprettatura, essenziale per garantire la buona adesione con la matrice. Le fibre recuperate possono essere rilavorate con alcune tecniche tradizionali di stampaggio a compressione o ad iniezione, e il risultato finale dipende in larga parte dalla capacità di controllarne l’orientazione.

Diversi tipi di veli, mat o stuoie ottenuti da fibre di carbonio rigenerate sono già disponibili sul mercato e sono allo studio tecniche di rigenerazione volte a ottenere compositi riciclati con un alto livello di allineamento delle fibre.

Poiché il potenziale di mantenimento delle caratteristiche originarie delle fibre di carbonio rigenerate è mediamente superiore rispetto a quello delle fibre di vetro – e il valore commerciale è nettamente superiore – i processi di riciclo e rigenerazione delle fibre di carbonio hanno un migliore potenziale di sostenibilità economica.

Nel caso delle fibre di vetro, invece, la strategia più diffusa è quella del co-processing nei cementifici o la macinazione meccanica, che rinuncia a recuperare le fibre per la produzione di nuovi compositi.

L’importanza dell’ecodesign

Un corretto recupero a fine vita di un qualsivoglia prodotto presuppone, a monte, una progettazione che faciliti lo smaltimento a fine vita e i manufatti in composito non fanno eccezione. Occorre quindi una rivisitazione in chiave circolare e sostenibile della progettazione e della produzione dei componenti che contempli:
• un uso sempre più ampio di materie prime e fibre con incrementata riciclabilità o riutilizzabilità, in modo da poter riutilizzare questi precursori in applicazioni il più possibile vicine a quelle originarie;
• la progettazione dei manufatti e il loro assemblaggio tenendo conto della necessità di una separazione per un trattamento differenziato a fine vita.
Riguardo al primo punto, esempi di soluzioni oggi allo studio comprendono resine separabili (cleavable) e fibre di rinforzo derivate da biomassa, o finalizzate alla rifusione a fine vita. Per raggiungere l’obiettivo indicato al secondo punto, invece, è essenziale ottimizzare forme e geometrie dei manufatti in modo da garantire un facile disassemblaggio a fine vita, ad esempio utilizzando adesivi a comportamento reversibile.

Materie prime alternative

Per quanto concerne le materie prime, alcune soluzioni che agevolano la circolarità sono già in commercio, come solventi e precursori derivati da biomassa e altre fonti rinnovabili, che presentano caratteristiche chimiche e funzionali equivalenti ai corrispondenti precursori derivati dal petrolio. In alternativa alle biomasse si può puntare sulla riciclabilità e riparabilità dei prodotti.

Alcuni esempi sono le resine termoplastiche reattive ottenute miscelando due o più precursori liquidi, i vitrimeri (riprocessabili e riparabili a una temperatura che non comporta la loro degradazione chimica), le resine epossidiche “separabili” (cleavable) o le resine ritermoformabili per un secondo ciclo di vita del composito.

Con le resine epossidiche cleavable, ad esempio, una volta terminata la funzione d’uso, l’indurente della resina può essere “aperto” mediante opportune sostanze chimiche, mentre nel caso dei vitrimeri si possono applicare processi di solvolisi avanzata che consentono di recuperare il materiale originario, senza alcuna perdita prestazionale.

Per garantire il mantenimento di specifiche prestazioni (ad esempio, la reazione al fuoco) senza interferire con la riciclabilità, spesso si adottano soluzioni multimateriale: in questo modo, il riciclo del singolo materiale può essere affidato a tecnologie note, mentre la separazione dei diversi materiali viene ottimizzata in funzione della specifica applicazione.

Un’altra strategia è utilizzare compositi a matrice termoplastica in sostituzione di quelli a matrice termoindurente, che in linea di principio potrebbe rendere più agevole il recupero delle fibre e della resina stessa. I compositi termoplastici presentano alcuni vantaggi anche di tipo tecnologico (ad esempio, termoformabilità, saldabilità ed elevata tenacità), ma possono richiedere temperature e pressioni di lavorazione più elevate.

Quest’ultimo aspetto, però, può essere attenuato utilizzando processi di infusione reattiva che fanno uso di un pre-polimero liquido a bassa viscosità anche a temperatura ambiente; le resine per questo tipo di applicazioni sono, ad esempio, la poliammide 6 o il PMMA, già presenti in commercio con diverse formulazioni.

Come aumentare la circolarità

Assocompositi avanza alcune proposte volte a stimolare il percorso di maturazione dell’approccio tecnico-economico di tipo circolare alla gestione dei compositi, secondo le seguenti linee di azione:
• innovazione, sviluppo e sperimentazione delle tecnologie più opportune e promettenti per la riparazione, il riuso e il riciclo;
• individuazione dei codici rifiuto EER più idonei per classificare i componenti in composito a fine vita (fibre di vetro e di carbonio) in modo da orientare i player industriali all’ottenimento delle specifiche autorizzazioni per il loro recupero;
• individuazione dei criteri normativi, in termini sia di regolamenti sia di eventuali provvedimenti di rango primario, atti a qualificare il processo inerente alla cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste);
• costituzione di una filiera del trattamento/ridimensionamento, riciclo e soprattutto riuso economicamente sostenibile dei materiali compositi al fine del riconoscimento di eventuali strumenti di sostegno economico per tecnologie e materia prima riciclata, in ottica di “gap filling” rispetto alle materie prime vergini.


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