Panoramica delle bioplastiche più importanti dal punto di vista commerciale, suddivise in base alla degradabilità e all’origine dei monomeri.
di Giovanni Lucchetta, Università di Padova
Oggi, quasi ogni monomero necessario per produrre plastiche “sostitutive” – cioè plastiche chimicamente equivalenti a quelle derivate dal petrolio – può essere ottenuto da biomassa come piante e scarti agricoli. Inoltre, questa biomassa può essere usata per creare nuovi tipi di plastiche che non si possono facilmente ottenere dal petrolio. In questo articolo, forniremo una panoramica delle bioplastiche più importanti dal punto di vista commerciale, suddividendole in degradabili o durevoli e in derivate da biomassa o da fonti fossili.
La maggior parte dei polimeri degradabili contengono nella loro struttura principale legami esterei alifatici facilmente idrolizzabili (vedi figura 1). Questi legami sono particolarmente vulnerabili all’azione dell’acqua e degli enzimi, il che facilita la loro decomposizione in natura. Generalmente, i composti alifatici presenti nei polimeri degradabili non hanno doppi legami coniugati. Oppure, quando sono presenti doppi legami, questi sono solitamente isolati e meno stabili. Questa struttura li rende più suscettibili all’attacco microbico e alla degradazione.

A questa regola generale fa eccezione, ad esempio, il PVA (alcol polivinilico), che non contiene legami esterei alifatici nella sua struttura principale, ma si degrada attraverso un processo che coinvolge la formazione di dichetoni. La sua degradabilità è dovuta alla presenza dei gruppi idrossilici, che lo rendono idrosolubile e suscettibile all’attacco microbico.
I polimeri durevoli hanno una struttura principale che è tipicamente più resistente all’idrolisi enzimatica e non enzimatica. Questa resistenza è dovuta alla presenza di legami come esteri aromatici, amidi e legami carbonio-carbonio, che sono molto più stabili e difficili da rompere. I composti aromatici, spesso presenti nei polimeri durevoli, contengono doppi legami di carbonio coniugati in una struttura ad anello. Questi legami sono molto stabili a causa della risonanza e della delocalizzazione degli elettroni. La stabilità rende più difficile la degradazione della struttura da parte dei microrganismi.
Poliesteri alifatici (degradabili) di origine biologica
I poliesteri alifatici di origine biologica più comuni sono il PLA (acido polilattico), il PBS (polibutilene succinato) e i PHA (poliidrossialcanoati).

Il PLA è un omopolimero alifatico ed è la bioplastica sintetica più competitiva in termini di prezzo, con una capacità produttiva superiore a 250 mila tonnellate all’anno. È tipicamente prodotto attraverso la policondensazione dell’acido lattico, ottenibile dalla fermentazione degli zuccheri, o mediante la polimerizzazione ad apertura d’anello del lattide, il dimero ciclico dell’acido lattico.
Il PLA può essere otticamente trasparente e viene utilizzato come sostituto di film in poliolefine o espansi di polistirene, anche in prodotti monouso. Recentemente, TotalEnergies Corbion ha annunciato che i bicchieri di carta rivestiti in PLA sono riciclabili attraverso il processo di ripulping, a differenza dei tradizionali bicchieri di carta rivestiti in polietilene.
Tuttavia, la relativa brevità dell’unità ripetitiva e il gruppo metilico laterale rendono il PLA fragile e lento a cristallizzare. Di conseguenza, questo polimero necessita generalmente di essere modificato e miscelato (ad esempio con altri biopolimeri o agenti nucleanti) prima di essere lavorato.
Il PBS è un copoliestere alifatico caratterizzato da unità ripetitive di idrocarburi più lunghe rispetto al PLA. Questa struttura molecolare conferisce al PBS una maggiore flessibilità. Di conseguenza, le proprietà del PBS sono più simili a quelle delle poliolefine, in particolare per quanto riguarda la bassa temperatura di transizione vetrosa e l’elevato allungamento a rottura (superiore al 500%).
Tradizionalmente, il PBS viene sintetizzato da materie prime non rinnovabili. Tuttavia, i suoi monomeri – l’acido succinico e il butandiolo – possono essere ottenuti anche da fonti rinnovabili. Attualmente, sono in fase di sviluppo metodi per produrre acido succinico attraverso la fermentazione di zuccheri lignocellulosici. Il butandiolo, invece, può essere ottenuto mediante idrocracking di amidi e zuccheri.
I PHA sono una famiglia emergente di poliesteri alifatici biodegradabili con un mercato commerciale che si prevede raggiungerà volumi annuali superiori a 100 mila tonnellate nei prossimi anni. Anziché essere sintetizzati chimicamente, i PHA possono essere prodotti da vari batteri, tra cui ceppi di Pseudomonas e Ralstonia, nonché da alghe. Questi microrganismi accumulano PHA all’interno delle loro cellule fino all’80% del volume cellulare.

Per la coltivazione di questi microrganismi si possono utilizzare varie materie prime ricche di carbonio, compresi residui alimentari a basso costo e rifiuti plastici liquefatti.
Le proprietà dei PHA possono essere modulate variando la lunghezza della catena dell’unità ripetitiva, le funzionalità della catena laterale e la composizione dei co-monomeri. Le loro buone proprietà meccaniche e di barriera all’O2 e alla CO2 indicano che i PHA potrebbero essere sostituti adatti per materiali da imballaggio come PE e PP (figura 3). La maggior parte dei PHA si degrada più velocemente del PLA, rendendoli attraenti per applicazioni in cui è desiderata la biodegradazione.
Poliesteri aromatici (durevoli) di origine biologica
Il polietilene furanoato (PEF) è una plastica ad alte prestazioni simile al PET. La sua struttura semiaromatica leggermente modificata offre una maggiore barriera alla diffusione dei gas, una resistenza alla trazione più elevata e una temperatura di transizione vetrosa superiore, caratteristiche utili per imballaggi a lunga conservazione. Tuttavia, il PEF è anche più sensibile al calore e richiede quindi una lavorazione più attenta. Si biodegrada più velocemente del PET in determinate condizioni di compostaggio industriale (entro 9 mesi), ma in altri contesti è considerato un materiale altrettanto durevole, senza una biodegradazione significativa nell’ambiente.
Il PEF può essere prodotto in modo simile al PET attraverso la policondensazione dei monomeri di origine biologica: glicole monoetilenico e acido 2,5-furandicarbossilico, come perseguito da Avantium (figura 4). In alternativa, può essere sintetizzato mediante polimerizzazione ad apertura d’anello di oligomeri ciclici di PEF, come sviluppato da Sulzer (Svizzera): un metodo che può ridurre i tempi di reazione e migliorare il controllo del peso molecolare.
Il bioPET è la variante di origine biologica del PET. Le sue proprietà identiche lo rendono adatto per l’applicazione diretta nel mercato delle bevande (un terzo) e dei tessili (due terzi). L’acido tereftalico, che viene esterificato con glicole etilenico per produrre il PET, può essere derivato sinteticamente o microbicamente dalla biomassa.
Poliuretani e poliolefine di origine biologica

I poliuretani sono ampiamente utilizzati nell’industria, con una produzione che supera i 18 milioni di tonnellate, principalmente sotto forma di espansi flessibili e rigidi. L’uso di fosgene tossico e di monomeri isocianati potenzialmente cancerogeni ha sollevato preoccupazioni per la salute nel ciclo di vita dei poliuretani tradizionali. In alternativa, è possibile produrre poliuretani biologici senza isocianati utilizzando carbonati ciclici e diammine derivati da oli vegetali. I carbonati ciclici possono essere ottenuti anche mediante cicloaddizione di epossidi con CO2.
Le poliolefine, come il polietilene (PE) e il polipropilene (PP), rappresentano oltre il 50% della produzione globale di plastica e oltre il 90% dei materiali per imballaggio. Il loro ampio utilizzo è dovuto all’eccellente stabilità chimica e alle proprietà meccaniche personalizzabili. Il PE biologico è chimicamente equivalente al PE tradizionale e, quindi, ugualmente lavorabile e riciclabile utilizzando le infrastrutture esistenti, incluse le metodologie di riciclo chimico come la termolisi.
L’etilene può essere ottenuto per disidratazione dell’etanolo dalla canna da zucchero, mediante cracking a vapore della biomassa, o attraverso processi di conversione del metanolo in olefine. Sono stati fabbricati materiali simili al PE di origine biologica con una bassa densità di legami esterei e carbonati nella catena polimerica principale, che fungono da punti di rottura. Lo sviluppo del PP biologico è meno consolidato, ma sono possibili diverse vie sintetiche, tra cui la metatesi dall’etilene biologico e dai butileni.
Polimeri biodegradabili derivati da combustibili fossili
In questo articolo, ci concentriamo principalmente sulle bioplastiche prodotte da polimeri derivati da biomassa. Il termine “bioplastica” è stato utilizzato anche per le plastiche di origine fossile che sono biodegradabili, ma il suo uso è controverso a causa della potenziale confusione con i materiali biologici provenienti da biomassa.
Di seguito, esaminiamo brevemente i polimeri di origine fossile che sono spesso associati alle bioplastiche per la loro biodegradabilità e che potrebbero essere prodotti dalla biomassa in futuro:
1. Alcol polivinilico (PVA o PVOH): è un polimero solubile in acqua ampiamente utilizzato (1,2 milioni di tonnellate all’anno). La maggior parte del PVA è prodotta utilizzando etilene, tipicamente ottenuto da combustibili fossili, ma potrebbe essere ricavato dal bioetanolo. Il PVA è l’unico polimero vinilico facilmente biodegradabile.
2. Polibutilene adipato-co-tereftalato (PBAT): copoliestere aromatico-alifatico biodegradabile. Viene utilizzato nei film per pacciamatura agricola, che possono degradarsi nel suolo in un periodo superiore a 9 mesi.
3. Policaprolattone: è un materiale biocompatibile e biodegradabile popolare, utilizzato in applicazioni come suture e dispositivi impiantabili per il rilascio di farmaci. Si idrolizza non enzimaticamente nell’uomo entro anni ed è biodegradato da funghi e batteri nell’acqua di mare entro settimane.
4. Acido poliglicolico: è l’estere alifatico più semplice. I suoi rapidi tassi di degradazione industriale e marina e la sua elevata barriera ai gas lo rendono un candidato interessante per l’imballaggio in plastica.
5. Polilattide-co-glicolide (PLGA): copolimero dell’acido poliglicolico e dell’acido polilattico, comunemente utilizzato in applicazioni biomediche grazie alla sua biocompatibilità e alla biodegradazione più rapida rispetto al policaprolattone.
6. Polianidride: si tratta di una classe di polimeri il cui legame anidride altamente labile idroliticamente può essere sfruttato in materiali per il rilascio di farmaci e proteine. La degradabilità può essere regolata variando i monomeri tra i legami anidridici nella catena principale.
Altre bioplastiche non sintetiche
L’estrazione diretta di polimeri dalla biomassa è un metodo semplice e spesso economico. Gli amidi, che costituiscono una parte considerevole dei rifiuti alimentari, sono il materiale principale utilizzato per le bioplastiche a base di amido non sintetiche, prodotte attraverso la lavorazione diretta dell’amido in pellicole.
La lignina, separata dai rifiuti biologici nelle bioraffinerie di seconda generazione, viene principalmente (98%) incenerita per la produzione di energia. Tuttavia, la sua complessa struttura fenolica ha suscitato interesse per il suo utilizzo come additivo per polimeri, innesti polimerici o monomeri per plastiche speciali.
La cellulosa, il polimero naturale più abbondante, può essere estratta dalla biomassa vegetale o da specifici batteri produttori di cellulosa. Può essere lavorata in materiali per imballaggi alimentari o utilizzata come additivo nano-riempitivo con altre bioplastiche, per migliorare le proprietà di barriera e la resistenza alla trazione degli imballaggi alimentari. La cellulosa è biodegradabile, tuttavia la cellulosa rigenerata, popolare come fibra tessile “viscosa” o “rayon”, costituisce il 60% delle microplastiche presenti sui fondali marini.
Un materiale correlato, l’acetato di cellulosa, è utilizzato per produrre filtri per sigarette, che rappresentano un notevole problema di inquinamento. L’acetato di cellulosa si degrada estremamente lentamente a causa della sua acetilazione, che rende il materiale idrofobo.
Infine, le miscele composite di diversi polimeri con altri additivi naturali, come amido, lignina o silice, possono fornire materiali con una vasta gamma di proprietà.
(Articolo tratto dalla rivista Plastix di maggio 2025)