In un momento di fermento per il comparto degli imballaggi, alla luce del recente Regolamento PPWR, un Decreto MASE introduce l’iscrizione al Registro dei produttori soggetti al regime EPR.
di Marianna Capasso
Il prossimo 20 dicembre la Direttiva 94/62/CE compirà 30 anni: sono quindi quasi tre decenni che si parla, ufficialmente, di imballaggi e rifiuti d’imballaggio. Sebbene sia stato modificato nel 2018 (con la Direttiva 852, anch’essa poi sostituita dal PPWR), l’atto europeo del 1994 resta ancora un caposaldo della sostenibilità, perché è stato il primo ad armonizzare le misure nazionali relative alla gestione degli imballaggi e dei rifiuti d’imballaggio, per migliorare la qualità dell’ambiente, provando a prevenire e ridurre ogni impatto dannoso.
La Direttiva del 2018 promuoveva il riutilizzo, il riciclo e altre forme di recupero dei rifiuti di imballaggi, anziché il loro smaltimento finale, per contribuire in maniera più diretta alla transizione verso un’economia circolare. Con il recente PPWR, poi, la materia diventa sempre più dettagliata. Ma quali sono, di preciso, gli obblighi per i produttori di imballaggi in plastica, al di là degli obiettivi di riciclo? Quali sono gli oneri operativi?
Dal TUA al Decreto MASE
Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare nuovamente un passo indietro. Nel 2004, la Direttiva 2004/12/CE revisionava la 94/62 e stabiliva una serie di criteri per una corretta definizione di “imballaggio”, chiarendo (attraverso l’Allegato 1) cosa dovesse o non dovesse essere considerato con tale termine.
In Italia abbiamo recepito la Direttiva nel 2006, con il D.lgs. 152/2006 – anche noto come Testo Unico Ambiente, TUA, al momento in fase di revisione. Nel tempo si sono susseguiti diversi decreti che hanno attuato le disposizioni del TUA. Il più recente, in vigore dal 13 maggio 2024 ed emanato dal MASE, stabilisce un importante obbligo per i produttori di imballaggi, sebbene in maniera trasversale e indiretta. Il Decreto Ministeriale del 15 aprile 2024 (n. 144) definisce, infatti, le modalità di iscrizione al Registro, nella forma di onere per tutti coloro che sono soggetti a un regime di responsabilità estesa – la già nota anglofona “extended producer responsibility”, utilizzata con l’acronimo EPR. Più precisamente, statuisce ufficialmente l’iscrizione e la trasmissione delle informazioni per tutti i soggetti obbligati a rispettare le regole della responsabilità estesa del produttore. Ne consegue, quindi, un obbligo finanziario e organizzativo della gestione fine vita del bene.
In realtà, a essere precisi, non si tratta di un vero e proprio “nuovo” obbligo. È il comma 8 dell’articolo 178-ter TUA (requisiti generali minimi in materia di responsabilità estesa del produttore) a istituire il Registro dei produttori responsabili, al fine dello svolgimento della funzione di vigilanza e controllo, presso il ministero competente. Considerando che l’istituzione del Registro risale al 2006, il DM 144 dà attuazione a un obbligo che, per anni, è rimasto nell’etere normativo. Se il D.lgs. del 2006 nasceva come legge di recepimento della Direttiva, nel tempo ha avuto bisogno di decreti attuativi, tra i quali quello emanato dal MASE a metà dello scorso aprile.
Ma, alla luce di tutto ciò, a che punto siamo, oggi, con il Registro Nazionale dei Produttori?
Sebbene siano passati quasi venti anni, e nonostante il TUA facesse riferimento ai registri di filiera, oggi i produttori di imballaggi in plastica non possono ancora vantare un proprio registro. Con il recente Decreto è regolato il Registro EPR, nel quale sono ricompresi tutti i produttori, tra cui quelli degli imballaggi. Ma, di fatto, bisognerà ancora attendere per la plastica e la bioplastica.
Il Registro nazionale dei produttori, oggi, si compone dei registri di filiera: alcuni sono già esistenti (Pneumatici, RAEE, Pile e Accumulatori); altri, invece, sono in fase di definizione. Tra questi vi sono il registro Polietilene (per i beni e rifiuti di beni in polietilene), il registro Oli, quello Imballaggi, tutti sospesi in un limbo esecutivo. Nelle more, quindi, i produttori di imballaggi in plastica ottemperano agli obblighi derivanti dalla propria Responsabilità Estesa.
Gli aspetti operativi
L’obbligo di iscrizione per i produttori, in Italia, può essere ottemperato in maniera individuale o associata. Nel secondo caso, i produttori possono procedere attraverso un consorzio (o simile): sarà questo stesso a doversi registrare, comunicando l’elenco dei propri produttori aderenti.
Come stabilito dal DM MASE, per l’iscrizione si può procedere telematicamente, utilizzando il portale messo a disposizione dalle Camere di Commercio. Anche i produttori con sede legale in un altro Stato Membro UE, che immettono i propri beni sul territorio italiano, sono tenuti all’iscrizione ma in maniera “trasversale”: dovranno adempiere all’obbligo derivante dalla responsabilità estesa designando una persona fisica o giuridica stabile in Italia, che dovrà assumere la carica di rappresentante autorizzato, iscrivendosi al Registro Nazionale presso la CCIAA competente.
Sarà richiesta una documentazione specifica, con le informazioni dettagliate relativamente alle categorie di prodotti che il soggetto immetterà sul mercato. Bisognerà inoltre comunicare le modalità con le quali il produttore ottempera agli obblighi, ovvero se in maniera individuale o per il tramite di un sistema collettivo.
Ogni soggetto iscritto riceverà un numero identificativo (rectius: numero di iscrizione al Registro nazionale dei produttori), che andrà riportato sempre sui documenti commerciali. Ci sono poi i soggetti che, sempre sottoposti alla EPR, immettono sul mercato italiano i propri prodotti, attraverso la vendita a distanza: questi dovranno rispettare l’articolo 30 del Regolamento 2022/206 (tracciabilità degli operatori commerciali) e comunicare alle piattaforme online il numero di iscrizione, rendendolo pubblico e visibile sul proprio sito internet. L’articolo 5 del DM MASE stabilisce, poi, le modalità di trasmissione delle informazioni, secondo quando normato dal D.lgs. 252/2006, al comma 9 del 173-ter. Si stabilisce che i produttori trasmettano al Registro i dati relativi all’immesso sul mercato nazionale dei propri prodotti e le modalità con cui intendono adempiere ai propri obblighi di comunicazione.
La comunicazione e la vigilanza
Il comma 9 sottolinea un obbligo ben chiaro per i produttori: costoro devono comunicare i sistemi attraverso i quali adempiono ai propri obblighi, ovvero se in forma individuale o associata, allegando anche statuto e documentazione relativa al proprio progetto. Dovranno altresì comunicare, entro il 31 maggio di ogni anno, il bilancio in caso di sistemi collettivi, o il rendiconto dell’attività di gestione per il sistema individuale.
Sempre entro la medesima deadline, andrà prodotta una relazione sugli obiettivi raggiunti l’anno precedente o, nel caso in cui non fosse possibile, le ragioni per l’impedimento. Vanno quindi giustificate le motivazioni che hanno impedito i target di recupero e riciclo previsti. Un’altra informazione da trasmettere riguarda le soluzioni, le modalità di raccolta e di trattamento implementate, le voci di costo relative alle diverse operazioni di gestione, inclusa la prevenzione, i ricavi dalla commercializzazione dei materiali e dal riutilizzo, le entrate da contributo ambientale. Entro il 30 settembre di ogni anno, poi, deve esser reso noto un piano specifico di prevenzione e gestione relativo all’anno successivo.
Alla luce di tutti questi obblighi, viene spontaneo chiedersi, però, chi è che vigili sul corretto adempimento. È proprio questo, infatti, un ulteriore aspetto rilevante del DM 144. Il Decreto regola le modalità di vigilanza in capo al Ministero, per verificare il rispetto degli obblighi a cui è tenuto ogni singolo produttore, in forza del sistema EPR. Il controllo è affidato all’Organismo di vigilanza. Già il comma 6 dell’articolo 178-ter TUA stabiliva che il Ministero dovesse esercitare la funzione di vigilanza e controllo sul rispetto degli obblighi derivanti dall’EPR.
Nel lontano 2006, quindi, già si parlava di una raccolta, in formato elettronico, dei dati, da far confluire nel Registro nazionale, con la contestuale verifica di correttezza e la provenienza. Ma c’è di più. Secondo la norma, il MASE è tenuto anche ad analizzare i bilanci d’esercizio e a effettuare analisi comparative tra i diversi sistemi collettivi evidenziando eventuali anomalie, determinando così il contributo ambientale. Deve, poi, appurare che siano raggiunti gli obiettivi previsti negli accordi di programma per la prevenzione, il riciclo, il recupero dei rifiuti. Se, da un lato, il MASE analizza bilanci e documentazioni, dall’altro c’è quindi un imprenditore che è tenuto a produrre i documenti richiesti.
Le etichette ambientali, un obbligo già in fieri
Sempre a proposito di imballaggi, un altro fondamentale obbligo è quello relativo alle etichette ambientali. Ricordiamo, infatti, che il primo gennaio 2023 è entrato in vigore il Decreto Legislativo 116/2020, dopo un iter travagliato con una serie di sospensioni parziali che ne avevano bloccato l’operatività. Nel corso del 2022, grazie a un intervento congiunto del MASE e del consorzio Conai, l’impasse è stata superata e in capo ai produttori, quindi, c’è un nuovo obbligo: il divieto di immissione, sul mercato, di imballaggi privi di etichetta. Nel mentre, i “vecchi” continueranno a essere commercializzati fino a esaurimento delle scorte.
Anche in questo caso, la fonte normativa è il TUA: al comma 5 dell’articolo 219 veniva stabilito che tutti gli imballaggi dovessero essere opportunamente etichettati, secondo le modalità indicate dalle norme tecniche UNI applicabili e in conformità alle determinazioni adottate dalla Commissione UE. Questo, affinché “raccolta, riutilizzo, recupero e riciclo” degli imballaggi potessero essere facilitati. Con le modifiche del TUA, apportate dal D.lgs. 116/2020 (il cosiddetto pacchetto Economia Circolare) l’etichettatura ambientale diventa obbligatoria.
In particolare, l’articolo 3 del sopramenzionato Decreto modifica il Codice Ambientale nella parte relativa all’ambito di applicazione, al sistema di riutilizzo di specifiche tipologie di imballaggi, ai sistemi autonomi di gestione. Il comma 3, inoltre, apporta una variazione ai criteri informatori dell’attività di gestione dei rifiuti di imballaggio. In tutto ciò, il Decreto lascia un vuoto normativo, con un diretto rinvio alle norme tecniche UNI applicabili e alle disposizioni UE. Errore gravissimo, perché dà così adito a un polverone di dubbi, sollevati giustamente dalla comunità imprenditoriale.
Tutto ciò fino al 28 settembre 2022, quando il MASE pubblica un Decreto Ministeriale adottando le “Linee Guida tecniche per l’etichettatura ambientale degli imballaggi”, dopo una lunga elaborazione, ad opera dei tecnici di Conai e di quelli del Ministero. Operative dal primo gennaio 2023, le Linee Guida vengono aggiornate periodicamente, in base alle esigenze e funzionalmente al progresso tecnologico. Ma, nel mentre, i produttori sono stati “costretti” a modificare il proprio modus operandi, con l’obbligo di indicazione della natura dei materiali da imballaggio utilizzati.
Bisogna poi distinguere tra B2B e B2C: i primi saranno tenuti ad applicare solo un codice, mentre per le transazioni B2C bisognerà apporre, sull’imballaggio, anche una etichetta specifica per indirizzare il consumatore, favorendo la raccolta, il riutilizzo, il recupero e il riciclo, attraverso informazioni corrette. Tuttavia, ogni azienda potrà etichettare gli imballaggi utilizzando forma e modo che ritiene più opportuno, a condizione che risultino efficaci per il raggiungimento dell’obiettivo.