Un PET più verde è possibile

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Bottiglie, vaschette, film: il PET è senza dubbio uno dei polimeri più versatili ed economici per il confezionamento di bevande e prodotti alimentari. Successo testimoniato dall’ampia diffusione nel mondo dell’imballo monouso, oggi sotto i riflettori dei legislatori e dell’opinione pubblica per gli aspetti legati alla dispersione di rifiuti nell’ambiente.

PET, un materiale riciclabile

Se è vero che il PET è intrinsecamente riciclabile per via meccanica quando raccolto in modo differenziato per frazioni omogenee di materiale e colore, tanto da renderlo il polimero più recuperato nel mondo degli imballaggi, è anche vero che non sempre si può seguire questa strada per il fine vita. Fibre poliestere in tessuti e tappeti, vaschette scure, bottiglie di diverso colore, film multistrato sono infatti difficili o anti-economici da riciclare meccanicamente. Inoltre, il PET – come altre plastiche – è accusato di essere poco sostenibile perché ottenuto da risorse fossili.

Si muovono i grandi marchi del food and beverage

Quando i consumatori chiedono un cambiamento di paradigma, in modo consapevole o meno, difficilmente i grandi marchi non li ascoltano e ciò vale anche per la svolta green nel packaging. E quando questi colossi dell’industria alimentare e beverage si muovono, innescano un effetto a catena sulla filiera che accelera l’innovazione, poiché grandi volumi giustificano ricerca e investimenti.
Nel caso del PET, le strade seguite per migliorarne la reputazione sotto l’aspetto ambientale sono essenzialmente tre: aumentare il contenuto di plastica rigenerata per via meccanica nel packaging, garantendo in ogni caso la sicurezza alimentare; produrre PET con monomeri ottenuti da riciclo chimico (depolimerizzazione) e, su un binario parallelo, produrre il polimero con materie prime rinnovabili, ridicendo così l’impronta ambientale senza per questo pregiudicarne la riciclabilità nei normali flussi della raccolta differenziata.

Sono già in commercio bottiglie e vaschette PET con il 30% di contenuto rinnovabile, grazie alla possibilità di sintetizzare MEG con etilene da bioetanolo

BioPET verso la scala industriale

Partiamo dal PET da rinnovabili o bioPET. Sono già in commercio da qualche anno bottiglie e vaschette PET con il 30% di contenuto rinnovabile, grazie alla possibilità di sintetizzare uno dei due costituenti di questo polimero, il glicole monoetilenico (MEG), con etilene ricavato da bioetanolo. Più complesso è ottenere l’altro intermedio, l’acido tereftalico purificato (PTA), partendo da aromatici biobased – nello specifico il paraxilene – con purezza e proprietà adeguate all’applicazione. Una strada, come vedremo, è ottenere il PTA dalla depolimerizzazione del PET, un processo che, pur non partendo da biomasse, consente di ridurre l’impronta al carbonio.

La tecnologia TCat-8 di Anellotech

Vicina alla sintesi di paraxilene da biomasse non destinate a consumo alimentare è la società biotech statunitense Anellotech, che ha raggiunto l’anno scorso la scala pilota, con tecnologia proprietaria TCat-8, nell’impianto in funzione da oltre 4.000 ore a Silsbee (Texas) realizzato in collaborazione con Suntory, che spera di utilizzare il bioPET ottenuto con questo intermedio per produrre imballaggi e bottiglie. Secondo le due aziende, i primi lotti di bioparaxilene a elevata purezza avrebbero soddisfatto tutte le specifiche internazionali ASTM per la conversione in PET, tanto da poter produrre tra qualche mese le prime bottiglie campione in 100% bioPET. Nel frattempo, la società statunitense sta già pensando al primo impianto su scala industriale, anche se non è ancora stata annunciata una data per la disponibilità commerciale del biopolimero.

L’impianto di Anellotech utilizza la tecnologia di catalisi termica Bio-TCat, in grado di convertire biomasse non edibili come legno, stocchi di mais e bagassa in prodotti aromatici, quali lo xilene, da cui si ottiene il paraxilene necessario alla produzione di PET; in modo analogo si ottiene anche benzene biobased per la sintesi di poliammidi, policarbonato, polistirene e ABS. Sviluppato in collaborazione con IFPEN e Axens, il processo TCat-8 utilizza un catalizzatore solido all’interno di un unico reattore a letto fluido, nel quale si ottengono direttamente benzene, toluene e xilene (BTX) senza passare per oli bio altamente ossigenati.

PTA da bioriciclo

La strada seguita dalla francese Caribos è diversa: in questo caso si punta a ottenere acido terefetalico purificato (rPTA) mediante riciclo biochimico di rifiuti PET, sfruttando un processo di depolimerizzazione enzimatica sviluppato e ottimizzato dalla società all’interno del progetto di ricerca Thanaplast. Rispetto al riciclo meccanico, quello chimico (o biochimico) può virtualmente essere replicato all’infinito, senza perdita di qualità, poiché non provoca una degradazione delle proprietà originali del PET, ma lo riporta ai suoi costituenti (PTA e MEG), che possono essere nuovamente polimerizzati.

L’anno scorso, a luglio, la società biotech francese aveva annunciato di essere riuscita a ottimizzare la resa del processo, riducendo a un terzo il tempo di idrolisi e arrivando a una conversione del PET negli elementi costitutivi (PTA e MEG) pari al 97% in sole 16 ore. Sulla base di questo risultato, lo scorso novembre, Carbios ha siglato una lettera d’intenti con Kem One per realizzare a Saint-Fons, in Francia, il primo impianto dimostrativo per validare il processo su una scala più grande, i cui lavori partiranno entro la fine di quest’anno. Nel frattempo, ha voluto dimostrare che con il PTA ottenuto dalla polimerizzazione è possibile ricavare nuovo PET idoneo alla produzione di bottiglie, producendo i primi esemplari per test e sviluppo applicativo. «L’industria delle materie plastiche deve affrontare sfide fondamentali legate alla sostenibilità» spiega Jean-Claude Lumaret, CEO di Carbios. «La nostra tecnologia, basata su un modello circolare, riutilizza le risorse anziché consumarle e questo nuovo traguardo è un altro un passo avanti per portare la nostra tecnologia sul mercato. Con la costruzione dell’impianto dimostrativo vogliamo coinvolgere l’intera industria della plastica in una transizione verso un’economia circolare e assumere un ruolo di guida come fornitore di licenze per il biociclo delle materie plastiche e delle fibre in PET».

Carbios punta a ottenere rPTA mediante riciclo biochimico di rifiuti PET mediante depolimerizzazione enzimatica

Loop e Indorama pronte nel 2020

Sembra più avanti, almeno sulla carta, Loop Industries dopo aver siglato a febbraio un accordo pluriennale di fornitura di rPET ottenuto mediante depolimerizzazione al gruppo Danone, che segue la partnership instaurata con il gruppo thailandese IndoramaVentures per costruire un impianto industriale negli Stati Uniti, che potrebbe entrare in funzione già l’anno prossimo. Accordi di fornitura erano già stati sottoscritti da Loop Industries con altri importanti produttori di bevande, tra cui Coca-Cola e PepsiCo, in modo tale da allocare le capacità produttive ancor prima di posare la prima pietra dell’impianto e minimizzare così i rischi commerciali.

Loop Industries punta sulla depolimerizzazione

La tecnologia sviluppata da Loop Industries si basa – come altre – sulla depolimerizzazione chimica dei rifiuti di PET e poliestere, trasformati nei monomeri di partenza, previa eliminazione di residui e contaminanti compresi pigmenti, additivi e altri polimeri. Il poliestere che si ottiene possiede quindi le stesse caratteristiche di quello vergine convenzionale, senza degradazione delle proprietà, è riciclabile a fine vita ed è idoneo alla produzione di imballaggi a contatto con alimenti.
Al fine di diffondere questa tecnologia a livello globale, Loop Industries ha raggiunto alla fine dell’anno scorso un accordo strategico con il gruppo tedesco Thyssenkrupp per combinare la sua tecnologia di riciclo chimico Loop con quella di policondensazione in continuo MTR (Melt-To-Resin) di Uhde Inventa-Fischer. L’accordo punta a integrare le due tecnologie, proponendole in licenza con il brand WTR (Waste-to-Resin) e potendo così fornire chiavi in mano l’intero processo “dal rifiuto alla resina” alle aziende interessate a produrre PET in modo sostenibile. I due partner hanno già avviato gli studi per l’integrazione dei due processi e stanno progettando la configurazione del “pacchetto” WTR per agevolare la realizzazione di impianti nelle vicinanze dei centri urbani, dove le materie prime (i rifiuti) sono disponibili.

Eastman ha avviato un progetto per il riciclo chimico partendo da rifiuti PET di bassa qualità, non idonei al riciclo meccanico

Si fa avanti anche Eastman

Si propone come un futuro player nella depolimerizzazione di PET anche il produttore statunitense di poliestere Eastman, che ha avviato a questo scopo un progetto per il riciclo chimico partendo da rifiuti di bassa qualità, non idonei al riciclo meccanico. La società sta lavorando a uno studio di fattibilità tecnica per un impianto di metanolisi su scala industriale e, a questo fine, ha iniziato a sondare i potenziali partner nella filiera. L’obiettivo è mettere in marcia un impianto commerciale entro 24-36 mesi dalla conclusione di questi colloqui.
«Ci rendiamo conto che i rifiuti plastici rappresentano un problema complesso che necessita di soluzioni avanzate» afferma Mark Costa, presidente e CEO di Eastman. «Nel coinvolgere potenziali partner abbiamo rilevato un grande interesse nell’ambito dell’intera catena del valore». E aggiunge: «La nostra lunga tradizione di competenze tecniche nei processi chimici, tra cui la metanolisi, e la nostra posizione di leadership nella chimica dei copoliesteri, ci consentono di fornire questa soluzione innovativa per far fronte alle crescenti sfide generate dai rifiuti plastici presenti nell’ambiente».


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