Tessili polimerici made in Italy per le missioni su Marte

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La stazione di ricerca MDRS (Mars Desert Research Station) nel deserto dello Utah (USA)

Se il made in Italy è noto in tutto il mondo come un’eccellenza nel settore della moda, dell’alimentare o del manifatturiero, è innegabile che non svetta nella classifica mondiale degli investimenti in ricerca e sviluppo. La situazione, però, nonostante rappresenti un quadro reale in termini assoluti, non descrive le discrepanze nel panorama territoriale nazionale dove si distinguono realtà che ottengono risultati notevoli nella ricerca applicata. Tra queste c’è RadiciGroup, produttore lombardo di poliammidi in fibre e tecnopolimeri, che ha deciso di collaborare con Mars Planet (con sede a Curno in provincia di Bergamo), sezione italiana di Mars Society, allo sviluppo della tuta spaziale di simulazione analoga Bg-Suit. L’accordo, stretto nel pieno del lockdown pandemico del 2020, in poco meno di due anni ha visto la nascita di una filiera tessile tutta italiana, che ha progettato e ingegnerizzato la tuta testata dal 10 al 23 aprile 2022 nella missione di simulazione marziana SMOPS (acronimo di Space Medicine Operations), promossa e organizzata da Mars Planet con il patrocinio dell’Agenzia Spaziale Italiana, condotta nel deserto dello Utah (USA), dove sorge la stazione di ricerca MDRS (Mars Desert Research Station). Non a caso tutte le strutture, e persino gli astronauti sono chiamati “analoghi” poiché riproducono fedelmente quelle che saranno le attività marziane dei primi esploratori.

La medicina dello spazio

La missione si è focalizzata sulla medicina dello spazio, sul monitoraggio della salute dei futuri astronauti e sullo sviluppo di tecnologie di supporto alla simulazione della vita in ambiente spaziale e planetario. L’idea alla base del progetto è dettata dall’importanza di salvaguardare le condizioni fisiologiche degli equipaggi diretti su Marte dopo il lungo periodo di viaggio in condizioni di microgravità, la fase di atterraggio planetario e l’adattamento alla gravità del Pianeta Rosso.

«Prima di pensare alla colonizzazione dell’Universo è necessario che l’uomo risolva i problemi della gravità, che su Marte è circa un terzo rispetto a quella terrestre» spiega Antonio Del Mastro, presidente di Mars Planet. «Studi di medicina dello spazio hanno dimostrato che in condizioni di microgravità risultano compromesse la funzionalità dell’apparato vestibolare, deputato al controllo dell’equilibrio, la coordinazione dei movimenti oculari, la circolazione sanguigna e la distribuzione dei liquidi corporei. Inoltre, la gravità terrestre è un ostacolo alla nostra motricità, di conseguenza è una forza allenante per i muscoli: una forza di gravità inferiore porta a una diminuzione della massa muscolare, a cui è associata anche una perdita di massa ossea». Per monitorare i parametri necessari a garantire il benessere fisico, la tuta spaziale di simulazione analoga deve essere dotata di sensori in grado di misurare i valori dell’ambiente circostante e di riportare in tempo reale le condizioni di salute dell’equipaggio. Ad esempio, uno degli esperimenti condotti lo scorso aprile ha misurato il livello di stress degli astronauti nel corso della missione per meglio comprenderne le modalità con cui si sviluppa. Non solo. All’esterno della stazione base gli astronauti devono potersi muovere agevolmente, in sicurezza e autonomia, e utilizzare gli strumenti avanzati di controllo, monitoraggio e comunicazione. L’abbigliamento, pertanto, deve essere confortevole, traspirante, e assicurare la massima libertà di movimento.

Una filiera di eccellenze italiane

La partnership industriale tra Mars Planet e RadiciGroup rappresenta una novità in tema di collaborazione industriale. Il produttore di nylon, facendo squadra con importanti gruppi tessili italiani come Eurojersey, Vagotex e Defra, si è impegnato per trasformare il progetto in realtà, fornendo i materiali per la realizzazione del vestiario dei sei astronauti analoghi che hanno preso parte alla missione e coordinando lo sviluppo tecnologico che ha portato alla creazione dell’abbigliamento tecnico per utilizzo in condizioni estreme. «Partecipando a SMOPS, il team di aziende tessili si è avvicinato a un settore di frontiera come quello aerospaziale, rafforzando e ampliando il proprio know-how e sperimentando soluzioni innovative che avranno importanti ricadute sulla vita civile, perché potranno essere applicate in ambienti di lavoro confinati di natura industriale e biomedica, e ovunque siano necessari elevati standard di protezione e sicurezza» spiega Filippo Servalli di Radici InNova, società di Ricerca e Innovazione di RadiciGroup. «In questa missione abbiamo potuto mettere a frutto le competenze relative allo sviluppo di indumenti per la protezione individuale (DPI) acquisite durante la pandemia e poi applicate al settore industriale, portandole a un livello superiore».

Materiali che costituiscono la tuta flight suit

La tuta Bg-Suit

Il contributo alla missione SMOPS da parte del team guidato da RadiciGroup consiste nella realizzazione di tre capi tecnici, caratterizzati da elevati standard in termini di benessere, comfort e performance.

Il primo strato che riveste la pelle è un completo intimo composto da maglietta a maniche lunghe e pantaloncino realizzati con tessuti indemagliabili Sensitive® Fabrics di Eurojersey (nylon), in grado di garantire comfort e traspirabilità. La maglietta è provvista di circuiti elettrici e sensori che permettono di rilevare i parametri vitali e geo-spaziali degli astronauti. I sensori possono essere rimossi in modo che l’indumento sia completamente lavabile senza rischio di danneggiare i circuiti interni.

Il primo strato che riveste la pelle è un completo intimo composto da maglietta a maniche lunghe e pantaloncino realizzati con tessuti indemagliabili Sensitive® Fabrics di Eurojersey (nylon), in grado di garantire comfort e traspirabilità

Sopra l’intimo viene indossata una flight suit comoda e confortevole, adatta per essere utilizzata durante attività lavorative e di supporto in condizioni che simulano l’ambiente analogo a quello di Marte. Il capo, alleggerito da qualsiasi sovrastruttura, risponde a esigenze sia estetiche sia di performance: è realizzato, infatti, con una cucitura double face che consente di ridurre al massimo gli spessori e aumentare di oltre il 30% mobilità e leggerezza. La tuta è dotata di tasche per dispositivi di “wearable technology” pensate per ottimizzare spazi e volumi. È inoltre caratterizzata da un ottimo contatto con la pelle e garantisce la massima comodità, grazie all’elasticità e alla traspirabilità dei materiali utilizzati (in particolare il nylon); è impermeabile alla polvere, protegge dai raggi UV e ha una buona resistenza termica grazie all’aria contenuta nei tessuti, che, circolando all’interno di una struttura 3D alveolare, garantisce anche la termoregolazione corporea.

Materiali che costituiscono la tuta analoga per ambienti estremi

Analoga per ambienti molto estremi

Il team di aziende italiane ha realizzato anche la parte inferiore di una tuta spaziale analoga a quella utilizzata nelle missioni nello spazio, un indumento protettivo composto da diversi strati e progettato per un utilizzo in ambienti e situazioni anche molto estreme. Questa tuta, oltre a possedere tutti i sistemi di protezione della flight suit, comprende uno strato di aerogel per un’ulteriore protezione e degli strati di imbottitura, in lana e ovatta di nylon, per un efficace isolamento termico.

Chi ha testato Bg-Suit

Durante la missione SMOPS, in due settimane di isolamento, sei astronauti analoghi hanno riprodotto gli scenari operativi in preparazione delle future missioni umane su Marte. Il team era composto da due ingegneri aerospaziali, Paolo Guardabasso e Simone Partenostro, il ceo di D-Orbit Luca Rossettini, Nadia Maarouf, medico canadese e unica donna dell’equipaggio, il ricercatore spaziale francese Benjamin Pothier e l’architetto spaziale Vittorio Netti, con il ruolo di crew commander.

I test della missione 245

Durante la missione SMOPS, la 245esima condotta nella base statunitense, sono state testate diverse tecnologie innovative interamente sviluppate in Italia – in particolare da Mars Planet – e ha coinvolto dieci partner: Astroskin, D-Orbit, ECSEC (European Center for Space Exploration and Colonization), Xing Professional Line, OWF, Roboze, Scientarius, Solo, Vector Robotics. La sperimentazione si è focalizzata principalmente sul monitoraggio della salute dei futuri astronauti e sulle tecnologie di supporto. Particolare attenzione è stata dedicata alla misura dei livelli di stress degli astronauti nel corso della missione per meglio comprenderne le modalità con cui si sviluppa. Uno dei componenti dell’equipaggio, il francese Benjamin Pothier, esperto di human factor, ha utilizzato l’elettroencefalografia per osservare i cambiamenti a livello cerebrale durante le sessioni di meditazione quotidiane.

Nadia Maarouf – ricercatrice medica canadese con esperienza in cardiologia, farmacologia clinica e farmacogenomica – ha invece effettuato un esperimento con speciali magliette sensorizzate per monitorare il sistema vitale degli astronauti. Paolo Guardabasso e Vittorio Netti, membri del gruppo DOME, hanno eseguito voli di mappatura e ispezione con un drone VTOL (Vertical Take Off Landing). Il drone è stato protagonista anche in una missione di safety e rescue come strumento di soccorso per astronauti in difficoltà. Luca Rossettini, Ceo di D-ORBIT, infine, ha testato un dispositivo che ha la funzione di purificare l’aria all’interno degli ambienti dove vivono gli astronauti. A ciò si aggiunge un esperimento sul 3D manufacturing, condotto in collaborazione con Roboze. La tecnologia 3D, importante sia su Marte quanto sulla Luna, permette di realizzare in loco (In-Situ Resource Utilization, ISRU) prodotti e componenti indispensabili per le attività e le necessità stesse degli astronauti.

Il nuovo distretto dello spazio

«La collaborazione con RadiciGroup non è stata solo l’occasione per realizzare i primi prototipi di tuta di simulazione analoga, ma ha consentito di contaminare le nostre rispettive competenze, in campo spaziale e tessile, nel tentativo di creare un valore aggiunto particolare» sottolinea Antonio Del Mastro. «L’auspicio è che altre aziende dell’ecosistema industriale di Bergamo e Lombardia possano avvicinarsi al settore spaziale con la stessa sensibilità di RadiciGroup, al fine di costituire in tempi brevi un comparto locale del settore spazio».

«Quella con Mars Planet e il team di gruppi tessili italiani è stata una collaborazione di grande valore sia per gli aspetti innovativi del progetto, che ci hanno consentito di sperimentare soluzioni tessili adatte a condizioni estreme e che ora possiamo trasferire nella protezione delle persone negli ambienti di lavoro, sia per l’aspetto di networking che si è venuto a creare con tutte le realtà protagoniste di questa sfida: un esempio concreto della capacità di fare squadra tra eccellenze del nostro territorio» conclude Filippo Servalli.


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