Sei certo che sia il colore giusto?

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Spesso le misure relative al colore di un prodotto sono soggette a contestazioni. Per tutelarsi da ogni possibile criticità è necessario accompagnare il manufatto da un report – o specifica – che comunichi i valori colorimetrici nel modo corretto, così da non lasciare spazio a interpretazioni soggettive e soprattutto per permettere al destinatario di ripetere la misura nelle medesime condizioni, senza introdurre errori di impostazione. I report colorimetrici incompleti sono infatti la causa principale di molti fraintendimenti e errori. Un protocollo di misura deve prevedere e definire in modo chiaro tutte le possibili variabili, cercando di limitare il più possibile un’interpretazione errata e un approccio soggettivo alla misura. Il primo importante dato da specificare, ma molto spesso ignorato e mancante, è quello relativo alla geometria di misura dello strumento utilizzato al rilievo delle coordinate colorimetriche.

La geometria di misura

Come descritto nell’articolo “Sai scegliere lo spettrofotometro giusto?”, le norme permettono di costruire strumenti con angoli di illuminazione e di ricezione della luce entro un intervallo di valori. Le geometrie presenti sul mercato sono: D/8, D/0, 45/0 e multi-angolo. Il primo simbolo (lettera o numero) della sigla indica come (angolo) la luce viene proiettata sul campione, mentre il secondo si riferisce all’angolo di raccolta della luce riflessa o trasmessa dal campione. Se misurassimo lo stesso campione con due strumenti con geometrie differenti, otterremmo risultati di L*a*b* molto diversi. Nessuno dei due strumenti sta sbagliando, entrambi stanno misurando il colore correttamente, ma esattamente come l’occhio umano anche gli strumenti sono influenzati dalla geometria di misura. È quindi importante che due o più interlocutori utilizzino uno strumento con la stessa geometria per colloquiare correttamente tra loro.

SCI o SCE

Quando si utilizza uno strumento di misura con geometria a sfera D/8 è necessario specificare se le coordinate di colore misurate sono state calcolate con la trappola di luce chiusa (SCI) o con la trappola di luce aperta (SCE). Anche in questo caso, in relazione alla lucentezza del materiale in esame, i risultati possono essere molto differenti se misurati in una delle due condizioni.

La componente UV

Alcuni materiali, come carte da stampa, tessuti oppure prodotti per la pulizia degli indumenti che contengono degli azzurranti o dei fluorescenti, se vengono eccitati dai raggi UV riemettono la loro energia generalmente nella prima parte del visibile. In pratica, se la lampada presente negli strumenti illumina il campione sotto test con raggi UV, ne ecciterà le molecole generando il fenomeno della fluorescenza, se la lampada viene filtrata per evitare di colpire il campione con i raggi UV, le molecole non verranno eccitate. Le misure di colore effettuate in queste due diverse condizioni produrranno risultati differenti.

In alcuni strumenti di misura è possibile decidere se lasciare liberi gli UV, se tagliarli o aggiustarli a una risposta di UV nota. Il report deve pertanto riportare anche le condizioni della gestione degli UV; pertanto, se scriveremo UV/0 specificheremo che i raggi UV sono tagliati, viceversa se scriveremo UV/100 saranno emessi.

Luce nera e materiale fluorescente

Variazioni di riflettanza di un tessuto bianco. Dall’alto verso il basso: capo originale, capo colorato con un materiale fluorescente, capo tornato al colore iniziale grazie alla pulizia, capo sbiancato da un detergente contenente un materiale fluorescente

Sicuramente sarà capitato di trovarsi in una stanza in cui oggetti come camicie, calzini o disegni bianchi sulle pareti sembrano eccessivamente luminosi rispetto al resto della stanza, che appare scura o illuminata con luce violetta. In queste situazioni la sorgente luminosa è definita “luce nera”. La luce nera illumina utilizzando lunghezze d’onda prevalentemente esterne alle regioni visibili dello spettro. Di fatto, la luce nera emette energia nella regione dell’ultravioletto. All’oggetto viene aggiunto un materiale fluorescente che assorbe l’energia e la emette come luce nella regione del visibile. Illuminati da una luce nera, gli oggetti appaiono luminosi.

Un oggetto appare bianco quando riflette quasi al 100 per cento tutte le lunghezze d’onda nelle regioni del visibile; tuttavia, appare giallastro nel caso in cui si verifichi una riflettanza inferiore alle lunghezze d’onda del blu. In molti casi vengono aggiunte sostanze fluorescenti (indicate a volte con l’espressione “sbiancanti ottici”). Il materiale fluorescente aumenta la riflettanza alle lunghezze d’onda del blu facendo apparire bianco l’oggetto. Di conseguenza, una camicia bianca appare tale alla luce del giorno e luminosa in presenza di luce nera. Quando i capi bianchi vengono sottoposti a lavaggi ripetuti, appaiono giallastri non perché siano macchiati di giallo ma perché il materiale fluorescente viene eliminato facendo apparire nuovamente il loro colore originale. È un’abitudine diffusa quella di lavare i capi ingialliti con un detergente contenente sostanze fluorescenti.

Osservatore e illuminante

La Commission Internationale de l’Eclairage (CIE) ha associato alla specificazione  psicofisica del colore due osservatori: l’Osservatore standard CIE 1931 per la visione foveale, cioè limitata a quella porzione della retina destinata alla visione ad acuità massima (visione a piccolo angolo; 2°), e l’Osservatore standard supplementare CIE 1964 per la visione extrafoveale, ossia per la visione di grandi superfici (visione a grande angolo;10°).

1 Differenza tra un campo visivo di 2° e uno di 10°. Il primo, osservato a una distanza di 50 cm ha l’aspetto di un cerchio di 1,7 cm di diametro, mentre il secondo, alla stessa distanza, appare come un cerchio del diametro di 8,8 cm

Come illustrato nella figura 1, se il nostro occhio osserva oggetti di dimensioni piccole (più vicino all’Osservatore Standard a 2°) oppure oggetti più grandi (più vicino all’osservatore Standard a 10°) ha due sensibilità leggermente diverse. Ciò significa che se misurassimo il colore facendo riferimento prima a un osservatore e poi all’altro otterremmo risultati diversi. Analogamente, passando da un illuminante, definito dalle norme, a un altro, per calcolare le coordinate colorimetriche, otterremmo risultati diversi. A ogni misura di colore, dobbiamo quindi specificare l’osservatore e l’illuminante selezionato.

Funzioni colorimetriche

Le funzioni colorimetriche sono i valori tristimolo dello spettro uniforme (o equienergetico) in funzione della lunghezza d’onda (figura 2). Tali funzioni dovrebbero corrispondere alla sensibilità dell’occhio umano. Sono stati definiti gruppi separati di tre funzioni colorimetriche per l’Osservatore standard a 2° e per l’Osservatore standard supplementare a 10°.

2 Funzioni colorimetriche per l’Osservatore standard a 2° e per l’Osservatore standard supplementare a 10°

Spazio colore e ΔE

In colorimetria è possibile calcolare le coordinate colorimetriche utilizzando diversi spazi. Esistono infatti il CIE L*a*b*, il CIE 1931 Yxy, i tre stimoli primari XYZ e Hunter Lab; sono tutti correlabili tra di loro, in quanto derivati dalle funzioni colorimetriche z(λ), y(λ), x(λ).
Specificare lo spazio utilizzato è scontato, ma se si utilizza il parametro ΔE per calcolare la differenza di colore fra due oggetti è necessario specificare esattamente quale ΔE si sta utilizzando, perché le normative CIE hanno definito diversi ΔE: ΔEab, CMC, ΔE94, ΔE99 e ΔE00.

L’area di misura

Ogni strumento possiede una o più aree di misura, definite come la superficie del campione che lo strumento è in grado di misurare, con un singolo rilevamento. Se il campione in esame fosse completamente uniforme, non cambierebbe nulla, almeno in teoria, misurando il colore su una superficie del diametro di 1 centimetro o di 3 centimetri, ma dato che questa condizione è solo teorica, si consiglia di eseguire almeno tre misure in punti diversi sul campione per mediare le differenze intrinseche. È buona pratica, quindi, definire il numero di misure da effettuare sui campioni e specificare esattamente i punti di rilevamento. Inoltre, è importante inerire nella specifica l’area di misura utilizzata per il rilievo delle coordinate colore.

La temperatura

La termocromia è il fenomeno che induce cambiamenti colorimetrici al variare della temperatura a cui il campione viene esposto. Generalmente tutti i materiali colorati risentono di questo fenomeno, alcuni sono molto sensibili altri necessitano di variazioni di temperatura molto più elevate per manifestarsi. Per esempio, il materiale ceramico è molto suscettibile alle variazioni di temperatura (tabella). Anche le plastiche modificano sensibilmente il colore al variare della temperatura. Una specifica corretta, quindi, deve indicare anche la temperatura del campione, soprattutto se si lavora con materiali sensibili a piccole variazioni di temperatura.

La taratura dello strumento

È importante eseguire ogni giorno la taratura degli strumenti di misura del colore utilizzando i campioni secondari in dotazione, che devono essere mantenuti in condizioni di sicurezza per prevenire, sporco, graffi, ed esposizioni alla luce prolungata. Oltre a questa prassi quotidiana, almeno una volta all’anno, è necessario inviare lo strumento e i campioni di taratura a un laboratorio accreditato per il controllo e la calibrazione, richiedendo un certificato tracciabile che attesti la qualità dei dati misurati.

Il report di misura

La soluzione più efficace per riassumere i concetti precedentemente descritti è riportare un report di colorimetria che includa tutte le informazioni necessarie (a lato). Ancora una volta, sottolineiamo che l’obiettivo è realizzare un documento chiaro e preciso, che non lasci spazio a interpretazioni soggettive e quindi a possibili contestazioni del cliente.


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