La plastic tax raddoppia

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Mentre in Italia si attende l’applicazione della nuova tassa sui manufatti monouso in plastica (i famigerati Macsi), rinviata al 1° gennaio del prossimo anno per evitare di colpire un settore già messo in crisi dalla pandemia, una nuova imposta si aggira – come uno spettro – per l’Europa. È quella annunciata il 21 luglio scorso al termine della riunione straordinaria del Consiglio europeo. L’obiettivo è colmare almeno in parte il deficit di bilancio dell’Unione europea, buco provocato dall’uscita del Regno Unito e aggravatosi negli ultimi mesi a causa degli oneri legati all’emergenza sanitaria, recuperando risorse per circa 7 miliardi di euro, pari al 4% del totale.

Similitudini e differenze tra le due plastic tax

Sebbene la data di entrata in vigore del balzello europeo – nelle intenzioni di Bruxelles – sia la stessa della tassa sulla plastica italiana, l’ambito di applicazione e le modalità di riscossione sono molto diverse.
Introdotta alla fine dell’anno scorso nella Legge di Bilancio, l’imposta italiana graverà per 0,45 euro per ogni chilogrammo di materiale plastico utilizzato in manufatti con singolo impiego, a eccezione di quelli prodotti con bioplastiche compostabili o con materiali riciclati, oltre a dispositivi medici e packaging farmaceutici o medicali. Dovrà essere pagata, quindi, da produttori o importatori in proporzione al contenuto di plastica vergine di origine fossile. La nuova plastic tax europea, invece, è destinata a colpire i rifiuti da imballaggio in plastica non riciclati, sotto forma di un contributo nazionale (quindi sarà pagato dagli Stati membri) con aliquota di prelievo pari a 0,80 euro per chilogrammo e con un meccanismo volto a evitare “effetti eccessivamente regressivi sui contributi nazionali”.

Per determinare i contributi a carico di ogni paese si farà riferimento agli obblighi di comunicazione previsti dalla Direttiva sui Rifiuti da imballaggio, pubblicati periodicamente sul sito Internet di Eurostat. Ai singoli Governi nazionali spetterà il compito di reperire le risorse che, se non graveranno indirettamente sui consumatori, saranno senz’altro a carico dei produttori. L’effetto combinato delle due imposte su alcuni comparti potrebbe essere devastante – in alcuni casi aggravato dalla sugar tax –, anche se il Ministro dell’economia Roberto Gualtieri si è affrettato a escludere la possibilità che le due tasse possano sommarsi. «Non ci sarà una duplicazione della plastic tax» ha affermato. «Nella prossima Legge di Bilancio si lavorerà a una razionalizzazione, onde evitare oneri eccessivi a carico delle imprese».

Manca uno scopo chiaro

Non appena annunciata la tassa europea, a fine luglio, le principali associazioni comunitarie che rappresentano l’industria del packaging e dei materiali per il comparto hanno espresso dubbi e perplessità, che riguardano non solo l’onere economico a carico di imprese o consumatori, ma anche la natura e le finalità del prelievo, pur condividendo, nel merito, gli obiettivi fissati dal Green Deal europeo, in particolare quello di rendere tutti gli imballaggi riutilizzabili o riciclabili entro il 2030. La prima obiezione è che, per raggiungere gli ambiziosi obiettivi posti da Bruxelles, al settore servono risorse per nuovi investimenti, che verrebbero inevitabilmente sottratte dall’introduzione di misure fiscali nuove o aggiuntive a livello comunitario e nazionale. Soprattutto se – questo è il timore – i proventi dell’imposta non verranno destinati al miglioramento delle infrastrutture di raccolta, selezione e riciclo necessarie per incrementare la quantità di packaging effettivamente riciclato.

Le associazioni chiedono quindi che gli introiti della tassa sui rifiuti di imballaggi in plastica non riciclati vengano reinvestiti per sostenere la circolarità e le relative infrastrutture, utilizzando strumenti esistenti come il fondo Next Generation EU. Inoltre, ulteriori misure fiscali dovrebbero essere modulate considerando che, nel caso degli imballaggi, i produttori e gli utilizzatori stanno già contribuendo nell’ambito degli schemi di responsabilità estesa del produttore (EPR), i quali – oltre tutto – saranno resi più gravosi con la nuova legislazione UE sui rifiuti attraverso il meccanismo della eco-modulazione.

Il timore è che l’assenza di un’adeguata infrastruttura per la raccolta dei rifiuti – con conseguente aumento dei volumi di non riciclato – possa comportare un trasferimento dell’onere dell’imposta sui consumatori. E, considerati i tempi ridotti tra annuncio della tassa e applicazione, difficilmente i Governi potranno intervenire per colmare un eventuale gap.

La plastic tax non farà bene al riciclo

Sul tema è intervenuta anche l’associazione europea dei trasformatori di materie plastiche, EuPC, che non nasconde l’avversità verso un provvedimento che non solo non porterà a un incremento del tasso di riciclo di rifiuti plastici nel vecchio continente, ma potrebbe addirittura ostacolarne lo sviluppo.

L’associazione giudica infatti le misure fiscali uno strumento poco efficace, se non addirittura controproducente, per spingere l’innovazione e gli investimenti necessari al raggiungimento dei target posti dal Green Deal europeo. «Aumenteranno, invece, i costi di riciclo delle plastiche, incoraggiando il passaggio ad altri materiali, con maggiore impatto ambientale complessivo» sostiene Alexandre Dangis, direttore di EuPC, che suggerisce di tassare, al posto dei rifiuti da imballaggio in plastica non riciclati, il loro conferimento in discarica, con la differenza di non penalizzare il recupero energetico, come invece avverrà in base all’attuale formulazione della plastic tax europea. Senza contare che – fa notare Dangis – le entrate dell’imposta, pari a circa 6-8 miliardi di euro l’anno, verrebbero sottratte alle risorse destinate a investimenti nell’economia circolare.

Un altro timore riguarda i metodi di applicazione della tassa che – secondo le informazioni oggi disponibili – saranno lasciati all’arbitrio degli Stati membri: ciò significa che ogni paese si avvarrà degli strumenti più consoni per reintegrare i proventi, che saranno inevitabilmente eterogenei, anche in funzione degli schemi di raccolta dei rifiuti, con prelievi destinati a colpire diversi punti della filiera, con conseguenti rischi di distorsione del mercato unico.


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