Le Linee guida UE sulla Direttiva SUP mettono a rischio le bioplastiche

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Il 31 maggio 2021 la Commissione Europea ha pubblicato le Linee guida sull’applicazione della direttiva UE 2019/904 sugli articoli monouso in plastica in plastica, meglio nota come Direttiva SUP (Single Use Plastics), che entrerà in vigore il prossimo 3 luglio. Il documento, formulato con l’intento di promuovere l’applicazione armonizzata del provvedimento in tutta l’Europa, non introduce novità, ma interpretazioni – in molti casi restrittive – di norme già scritte, evidenziando criticità soprattutto per il comparto delle bioplastiche.

Doccia fredda per le bioplastiche

Le Linee guida, infatti, non fanno alcuna distinzione tra plastiche oxo-degradabili biodegradabili e non biodegradabili, entrambe vietate, e inoltre specifica che le bioplastiche – indipendentemente dal fatto che siano derivate da biomasse e/o destinate a biodegradarsi nel tempo – vanno ricomprese tra le materie plastiche, dato che allo stato attuale non sono disponibili standard tecnici ampiamente condivisi per certificare che uno specifico prodotto plastico sia biodegradabile in ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente.

Una possibile apertura è rimandata al 2027, quando è prevista una revisione del testo, anche in base al progresso scientifico e tecnico raggiunto in questo campo. Nel contesto del nuovo piano d’azione per l’economia circolare (Circular Economy Action Plan), la Commissione prevede di elaborare, già nel 2022, un quadro di riferimento sull’uso della plastica biodegradabile o compostabile, basato su una valutazione delle applicazioni in cui tale uso può essere vantaggioso per l’ambiente, e dei criteri per tali applicazioni. Inutile dire che nel 2027 non resterà molto dell’industria europea delle bioplastiche, quanto meno nel monouso.

Cos’è un polimero naturale?

Non c’è da sperare neanche sulla definizione di “polimero naturale non chimicamente modificato”, che la Direttiva concede di utilizzare per i monouso. Rientrano infatti in questa categoria solo quelli originati da un processo di polimerizzazione che ha avuto luogo in natura, indipendentemente dal processo di estrazione applicato. Sembra abbastanza chiaro che gli estensori delle linee guida abbiano intenzionalmente voluto chiudere ogni spiraglio alle bioplastiche. Tra gli esempi di polimeri naturali e non modificati troviamo infatti la cellulosa e la lignina estratte dal legno, ma anche l’amido di mais ottenuto mediante macinazione a umido (ma tal quale, quindi scarsamente utilizzabile a fini industriali), mentre vengono esclusi esplicitamente i polimeri prodotti mediante un processo di fermentazione industriale, compresi i poliidrossialcanoati (PHA) – per altro degradabili in ambiente marino – poiché la polimerizzazione non avviene in natura.

Per essere definito come polimero “non modificato chimicamente”, occorre che la struttura chimica resti inalterata, “anche se ha subito un processo o un trattamento chimico, o una trasformazione mineralogica fisica, ad esempio per rimuovere le impurità”. Così, la cellulosa rigenerata, sotto forma di viscosa, lyocell e film cellulosico passa l’esame, mentre non lo passa – ad esempio – l’acetato di cellulosa, poiché la modifica chimica della cellulosa durante il processo produttivo permane al termine del processo stesso.

Legambiente dice no

Non è d’accordo con l’interpretazione Legambiente. In una nota diffusa nei giorni scorsi, Stefano Ciafani, presidente dell’associazione ambientalista, ha infatti dichiarato: «Riteniamo fortemente sbagliata l’impostazione sulle bioplastiche compostabili delle linee guida emanate nei giorni scorsi dalla Commissione europea, che invece farebbe bene a seguire il modello italiano che ha permesso di ridurre i sacchetti per l’asporto merci di quasi il 60% dopo il bando entrato in vigore circa 10 anni fa».


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