Aumentano i consumatori che desiderano fare acquisti a basso impatto. Anche quando si tratta di articoli di moda come le scarpe sportive. E le aziende del settore si adeguano inserendo in catalogo prodotti realizzati con bioplastiche o con plastiche riciclate. È solo l’inizio di una tendenza destinata a durare a lungo
Poco meno di due anni fa ha fatto il giro del mondo la notizia che il famoso divo di Hollywood Leonardo di Caprio era stato nominato strategic investor del marchio inglese Løci, noto per le sue sneakers vegane prodotte con i rifiuti di plastica recuperati dagli oceani.
Una scelta di investimento azzardata? Mica tanto viste le prospettive di crescita dell’uso della plastica green o bio nel segmento delle sneakers e delle scarpe sportive in generale. Pratiche, comode per lo sport ma sempre più indossate anche in altre occasioni, le sneakers sono diventate, nel corso degli anni, veri e propri oggetti di culto legate a doppio nodo al mondo della moda. E i numeri confermano.
Secondo le ultime stime, infatti, ogni anno se ne producono qualcosa come 50 miliardi di paia in tutto il mondo. Un segmento di mercato in forte crescita, che potrebbe raggiungere un fatturato di 95 miliardi di dollari entro il 2025.
Peccato si tratti di prodotti poco sostenibili, visto che più della metà di quelli in circolazione sono fatti con derivati della plastica, dal poliestere al poliuretano, dal polietilene all’etilene, e quasi tutti finiscono in discarica, contribuendo così a togliere il respiro al pianeta. Ma qualcosa si sta muovendo anche grazie all’aumento della sensibilità green dei grandi marchi di settore, alimentata dai desiderata dei consumatori. Tanto che, stando a quanto ha dichiarato ai media Nicoline van Enter, esperta di design delle scarpe, oggi l’imperativo di moda per i progettisti di scarpe sportive è fatto di tre brevi parole: meno, meno, meno. Plastica vergine ovviamente.
Largo ai materiali a basso impatto
Così, accanto a imprese come la brasiliana Veja o l’Italiana Id-Eight, che hanno iniziato a utilizzare materiali bio totalmente o in parte derivati da una biomassa ottenuta da piante o vegetali, o naturali come cotone e canapa, ci sono brand che hanno iniziato a usare materiali riciclati tra cui la plastica, come la francese Cog. Svolta sostenibile anche per Adidas, che si è impegnata a usare solo plastica riciclata per tutte le sue scarpe entro la fine del 2024.
Mentre Nike, fin dal 2020, ha lanciato la collezione Space Hippie che comprende sneakers sostenibili fatte con bottiglie di plastica riciclate, magliette e scarti di filato. Lo stesso ha fatto Timberland che, in collaborazione con la start up statunitense Thread, ha coinvolto 1300 haitiani nel raccogliere bottiglie di plastica abbandonate e recuperarne il PET per realizzare una nuova fibra, trasformandola poi in scarpe, borse e t-shirt.
E anche Adidas, tempo fa, ha lanciato una collaborazione con l’associazione Parley for the Oceans che l’ha portata a produrre calzature a partire dai rifiuti plastici degli oceani. Mentre Lotto Sport Italia ha lanciato sneakers “Ohh!” realizzate in Italia con materiali riciclati. In particolare, la loro suola è fatta con palle da tennis e padel esauste, mentre la tomaia è ricavata dagli scarti della lavorazione delle mele. Per ogni paio di sneakers sono utilizzate 1,5 palle da tennis e 1,5 kg di scarti dalla lavorazione delle mele e pure lacci e soletta interna sono prodotti dal riciclo di poliestere e poliuretano. Un progetto sviluppato in partnership con ReTurn Società Benefit, start-up innovativa che opera nel campo dell’economia circolare in collaborazione con l’Università di Padova, l’ENEA e altri enti di ricerca.
Segmento in crescita
Sia chiaro, quello delle scarpe sportive green è un segmento ancora poco sviluppato, ma con ottime prospettive di crescita. «Anche perché non tutte le plastiche possono essere riciclate e questo rappresenta un ostacolo all’utilizzo della plastica green nel segmento delle calzature nel suo insieme», spiega Giuseppe Cozzetto, a capo di Gianeco, azienda piemontese che opera a livello mondiale nel settore del recupero e del commercio di materie plastiche, in particolare degli elastomeri termoplastici e delle bioplastiche. «Ad oggi, per la realizzazione delle calzature si usano diversi tipi di plastiche.
Per esempio, il poliuretano (PU), che è il più ricorrente in questo segmento, piuttosto che l’EVA (etilenvinilacetato), sono ottimi materiali ma con un ciclo di vita che, però, finisce nel momento in cui è stampata la suola, visto che non possono essere trasformati in granuli e riutilizzati per fare scarpe. Cosa che invece succede con il TPU, poliuretano termoplastico che si forma dalla policondensazione di un isocianato con un diolo. La natura chimica di questa catena influenza il comportamento meccanico e la resistenza chimica del materiale: tanto più la catena è lunga tanto più il materiale assume caratteristiche simili alla gomma naturale. Come tutti gli elastomeri termoplastici, il TPU è elastico e lavorabile allo stato fuso e può essere utilizzato su apparecchiature per estrusione, stampaggio a iniezione, o a compressione, e soffiaggio».
TPU, un materiale promettente
Si tratta di un elastomero resistente all’abrasione, all’usura e alla trazione. In più ha una buona flessibilità ed elasticità, consentendo alle calzature di adattarsi ai movimenti del piede. È leggero e può essere facilmente colorato e customizzato, consentendo una vasta gamma di scelte di design e personalizzazione delle calzature. «Qualità particolarmente apprezzata dai grandi brand del settore come Nike, Adidas, New Balance, Puma, Salomon e Timberland, che utilizzano questo tipo di plastica per suole, tomaie e componenti elastici nelle loro calzature», prosegue Giuseppe Cozzetto. «Inoltre è facilmente riciclabile, mantenendo caratteristiche simili al TPU vergine. In questo modo si favorisce l’economia circolare, visto che usare TPU riciclato per la produzione di suole, tomaie e altri componenti elastici delle calzature consente di ridurre la quantità di rifiuti plastici destinati alla discarica, o all’incenerimento».
Non è un caso che i trend di crescita del materiale siano più che positivi. «Anche perché il TPU può essere riciclato sia chimicamente che meccanicamente», aggiunge Cozzetto. «Caratteristica che contribuisce a spingerlo sul mercato, previsto in crescita almeno fino al 2032 in diversi settori, non solo in quello calzaturiero». Purché, ovviamente, sia certificato. «Le imprese che utilizzano questo materiale, così come il resto della plastica di seconda generazione, infatti, oggi vogliono avere tracciabilità del ciclo di vita del materiale; non si accontentano più delle parole».
I limiti sotto la lente
Restano però alcune problematiche da affrontare per ampliare l’utilizzo della plastica riciclata e del TPU nel settore delle scarpe sportive, dove oggi è comunemente utilizzato per la realizzazione di suole e intersuole, tomaie e componenti elastici come cinghie di chiusura, linguette regolabili e inserti elastici. «La prima difficoltà è legata alla soddisfazione delle esigenze della clientela. Oggi sono diversi, infatti, i brand importanti con linee di prodotto realizzate in plastica green, ma per soddisfare le esigenze del consumatore finale, che punta ad acquistare prodotti ecocompatibili con un buon equilibrio tra qualità ed estetica, sono costretti a ricorrere a plastiche miste», spiega Cozzetto. «Quindi, con all’interno solo una piccola parte di plastica riciclata (30-40%, resto vergine). Problematica che, con il tempo, la ricerca e le nuove tecnologie, sono certo verrà superata. Siamo sulla buona strada».
La seconda problematica riguarda la colorazione della plastica riciclata. «Oggi la maggior parte della plastica green destinata alle suole delle scarpe viene prodotta tramite riciclo meccanico, che dà un prodotto rigenerato di colore nero. E questo è un grande limite, perché un’azienda che produce scarpe bianche e che necessita di un prodotto rigenerato in grande quantità ha grande difficoltà a trovarlo sul mercato. Al momento, infatti, ogni 10 tonnellate di materiale riciclato nero, ne escono due di bianco o trasparente (il migliore per poter essere poi colorato secondo i trend di moda)», afferma Giuseppe Cozzetto, che così conclude: «Per superare il problema della colorazione bisognerebbe ricorrere al riciclo chimico, ancora poco diffuso in Europa, e decisamente più costoso, al momento, rispetto a quello meccanico».
Nadia Anzani