La carta sarà la nuova plastica?

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Il produttore svedese di pasta di cellulosa Stora Enso ha stretto una partnership con Pulpex per la produzione su vasta scala di paper bottle (Foto Stora Enso)

Non è necessario essere complottisti e ritenere che dietro le restrizioni ai monouso in plastica ci sia la lobby dell’industria cartaria – cosa a cui francamente è difficile credere – per rendersi però conto che la carta sta conquistando applicazioni che sembravano appannaggio incontrastato dei polimeri sintetici, o – a limite – delle bioplastiche.

Negli ultimi mesi, infatti, sono state presentate alternative cellulosiche a bottiglie, contenitori, vasetti yogurt o, addirittura, film per l’avvolgimento di pallet. In alcuni casi, come bottiglie e contenitori rigidi, generalmente recuperati e riciclati a fine vita, non è sempre chiaro capire quale vantaggio possa apportare la carta rispetto alla plastica, quanto meno sotto il profilo ambientale. In altri, la soluzione rischia di generare più problemi di quanti ne vorrebbe risolvere, come nel caso delle bottiglie in polpa di cellulosa con rivestimento interno di plastica, che costringe il consumatore a complesse operazioni di separazione dei materiali prima del conferimento nella raccolta differenziata. Qualche dubbio sorge anche in merito all’effettiva funzionalità della sostituzione, come nel caso dell’avvolgimento di pallet, immaginando l’effetto delle condizioni atmosferiche sui bancali stoccati in un piazzale.

Cautela nella sostituzione della plastica con la carta

Non è nemmeno chiaro, in mancanza di analisi LCA puntuali, se la sostituzione della plastica con la carta, considerando l’intero ciclo di vita del prodotto, sia vantaggiosa sotto l’aspetto ambientale, anche ammettendo la fattibilità tecnica. Senza contare che nelle applicazioni a contatto con alimenti i materiali oggi utilizzati sono certificati e ampiamente sperimentati con un uso quotidiano in volumi di massa. Bisogna chiedersi, in questi casi, se alternative dell’ultimo minuto siano altrettanto sicure per la salute umana, soprattutto quando l’origine è extra-UE. Recenti studi sulla presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) in alcuni articoli monouso in carta, stoviglie e imballi per asporto di alimenti, o sul rilascio di sostanze potenzialmente pericolose da piatti in materiale esotico, dovrebbero imporre qualche cautela su una sostituzione troppo affrettata della vituperata plastica. Lo studio più citato, quello dell’associazione europea dei consumatori BEUC, risale a due anni fa, ma resta emblematico. Intitolato “More Than A Paper Tiger” (più di una tigre di carta), mette in luce i potenziali rischi per la salute dovuti all’esposizione alle sostanze chimiche contenute negli inchiostri utilizzati per la stampa su carta, quali pigmenti, leganti, solventi o additivi, come ad esempio stabilizzanti agli UV o fotoiniziatori. La ricerca si basa sulle analisi condotte da quattro associazioni nazionali (in Italia da AltroConsumo) su 76 campioni di imballaggio e articoli monouso in carta stampata o cartone per alimenti, come bicchieri da caffè, cannucce di carta, tovaglioli e imballi per prodotti alimentari. In un campione su sei sono state rilevate ammine aromatiche primarie, alcune delle quali sospettate di provocare il cancro, e addirittura in nove casi le quantità erano superiori al limite stabilito dal regolamento UE sulle materie plastiche. Quasi tutti i campioni, inoltre, contenevano sostanze che agivano come filtri UV, alcune sospettate di provocare il cancro o di perturbare il sistema endocrino. Ulteriori analisi su 21 campioni hanno dimostrato che i filtri UV sono in grado di migrare negli alimenti oltre i livelli raccomandati in almeno sei prodotti, compresa una scatola di uvetta per bambini. Più recentemente, l’organizzazione ceca dei consumatori Arnika e altre sette associazioni nazionali hanno valutato la presenza di PFAS nei contenitori per i cibi da fast food e da asporto in carta, cartone e fibre vegetali distribuiti nelle principali catene in sei paesi europei. Su 42 campioni di contenitori, in 32 sono stati individuati PFAS in concentrazioni tali da lasciar pensare a un uso intenzionale e negli altri sono state comunque rilevate tracce di queste sostanze, utilizzate per impermeabilizzare le superfici.

La pelle estetica in fibra di cellulosa della Paper Bottle di Paboco nasconde un coating in plastica 100% biobased che consente il conferimento della bottiglia nella raccolta della carta

Bottiglie in fibra di cellulosa

Ormai da qualche anno sono allo studio bottiglie in cellulosa, dalla pelle che ricorda il cartoncino, ma spesso con un’anima di plastica celata all’interno. Una delle prime è stata sviluppata da Paboco (Paper Bottle Company), joint-venture costituita due anni fa tra il produttore austriaco di imballaggi Alpla e il fornitore svedese di soluzioni in carta per il packaging BillerudKorsnäs. I primi prototipi non erano altro che sottili bottiglie di plastica (che costituiva il 47% del materiale della bottiglia) rivestite da una pelle estetica in fibra di cellulosa; belle da vedere, decisamente insensate sotto il profilo ambientale, poiché non riciclabili né con la carta, né con la plastica, dato che i due materiali non erano facilmente separabili. In una versione più aggiornata, lo strato barriera interno in plastica – indispensabile per evitare la fuoriuscita del liquido – è stato rimpiazzato da un coating 100% biobased, che consentirebbe – a detta dell’azienda – il conferimento della bottiglia nella raccolta della carta; ovviamente dopo aver separato la chiusura, dove la plastica non è ancora del tutto sostituibile. Per agevolare la separazione, il tappo è fissato sull’involucro esterno grazie a una banda di carta, che può essere strappata per favorire la separazione. Paboco – che tra i potenziali clienti vanta brand come Coca-Cola, Carlsberg, The Absolut Company e L’Oréal – sta studiando diversi coating barriera, alcuni dei quali a base di biopolimeri.

Jabil ha sviluppato per Vittel una soluzione che riduce del 50% il contenuto di plastica rispetto alla bottiglia tradizionale da un litro

Separazione a strappo

Molto simile è la soluzione sviluppata dalla statunitense Jabil Packaging Solutions per Vittel, marchio francese di acque minerali del gruppo Nestlé. Lo strato interno con funzione barriera è affidato alla plastica, che rappresenta in questo caso il 20% del peso della bottiglia, contro un 80% di cellulosa. In questo modo, sostiene Jabil, è possibile ridurre del 50% il contenuto di plastica rispetto a una bottiglia tradizionale da un litro. Prima di conferire la bottiglia nella raccolta differenziata, il consumatore deve però separare i due materiali, operazione agevolata da un sistema con striscia a strappo, in attesa di brevetto. Quindi deve conferire separatamente la plastica e la carta. Per agevolare immagazzinamento e trasporto, la confezione è provvista di un sistema di linguette a incastro. Test sui consumatori di acqua Vittel sono stati avviati in estate in alcuni mercati europei, dopo la presentazione ufficiale avvenuta in occasione del Tour de France di ciclismo, tenutosi tra giugno e luglio.

Nella messa a punto di soluzioni ibride è impegnato anche BASF. Il gruppo chimico tedesco sta collaborando con la britannica Pulpex allo sviluppo di un rivestimento interno con funzione barriera e di grado alimentare, per consentire il conferimento delle bottiglie nel circuito di recupero della carta. Unilever ha annunciato a giugno l’intenzione di impiegare flaconi prodotti da Pulpex per il confezionamento di detersivi e la sperimentazione potrebbe partire all’inizio dell’anno prossimo sul mercato brasiliano. Della stessa idea anche il produttore di lubrificanti industriali Castrol, che alla fine di maggio ha finalizzato una collaborazione con Pulpex per ridurre il consumo di plastica nel proprio packaging.

Per ridurre i consumi di polistirene, Granarolo confezionerà lo yogurt Yomo in vasetti che potranno essere conferiti nella carta

Vasetti yogurt di carta e…

Granarolo ha lanciato in primavera sugli scaffali dei supermercati italiani un vasetto per lo yogurt Yomo che al termine dell’utilizzo può essere conferito nella carta, soluzione alternativa al tradizionale contenitore in polistirene. Non viene in questo caso indicata la soluzione utilizzata per lo strato barriera, che potrebbe comportare problemi in fase di riciclo. Inizialmente Granarolo produrrà 66 milioni di vasetti l’anno, che saliranno a 165 milioni nel 2023, con una progressiva sostituzione di tutti i formati e referenze. L’azienda ha calcolato che a regime sarà in grado di eliminare 738 tonnellate annue di polistirene. Perché tanto accanimento?

«Il vasetto di polistirene non ha una sua filiera di riciclo, pur essendo conferito nella plastica» spiega il gruppo bolognese. «Il passaggio della gamma Yomo Intero al vasetto di carta rappresenta la risposta di Granarolo all’obiettivo di ridurre in modo significativo la quantità di plastica utilizzata per il proprio packaging, in coerenza con il piano di sostenibilità redatto avendo come riferimento il Goal 12 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Tra gli obiettivi del programma, ci sono la riduzione del peso degli imballaggi primari e secondari, l’utilizzo di plastica riciclabile e riciclata e di materiali alternativi alla plastica, l’incremento della shelf-life dei prodotti e il recupero degli imballaggi del latte reso da mercato».

Mondi e ACMI hanno sviluppato una pellicola cellulosica alternativa ai film in plastica per l’avvolgimento dei pallet

Avvolgimento di pallet

La soluzione senz’altro più curiosa è quella sviluppata da Mondi insieme all’italiana ACMI: si tratta di Advantage StretchWrap, alternativa cellulosica ai film in plastica per l’avvolgimento dei pallet. A questo scopo, Mondi ha sviluppato una speciale qualità di carta kraft leggera e dotata di elasticità, al tempo stesso più resistente alla punturazione, che può essere impiegata con l’avvolgitore a tavola rotante Rocket E-500 di ACMI, basato su tecnologia robotica di tipo Scara. Secondo i due partner del progetto, la tenuta del sistema è stata testata con successo utilizzando specifiche prove che simulano le condizioni di trasporto, confermate da test in condizioni reali di utilizzo.

Sorma Group ha combinato plastica e carta per rendere più sostenibili le confezioni a rete per i prodotti ortofrutticoli

Diverso l’approccio scelto dall’italiana Sorma Group, che ha deciso di combinare plastica e carta e rendere più sostenibili le confezioni a rete per prodotti ortofrutticoli, soluzione adottata di recente dalla catena di supermercati Selex. Grazie alla banda in carta “spellicolabile”, la componente in plastica delle confezioni è mediamente inferiore del 30% rispetto agli imballaggi tradizionali, ma non viene inficiata la riciclabilità dei materiali che compongono la confezione, grazie alla facilità della loro separazione prima del conferimento nei rispettivi flussi della raccolta differenziata; in particolare, ai riciclatori arriva un imballo monomateriale (HDPE), privo di inchiostri e di colle. La presenza della carta, con certificazione FSC per garantire l’origine sostenibile, rende la confezione al 30% prodotta con materie prime rinnovabili e, pertanto, in linea con gli obiettivi della Direttiva 904/2019. L’imballo presenta anche un’ampia superficie dedicata alla stampa. Una volta separato lo strato di carta, sulla parte interna appare una seconda superficie, utile per raccontare la storia del marchio, inserire raccolte punti, ricette o disegni da colorare.


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