Bilancio a 4 ruote: l’automotive italiana sotto la lente

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La festa delle quattro ruote sembra, almeno per ora, finita: dopo anni di crescita pressoché continua, le vendite di auto in Europa nei primi due mesi di quest’anno hanno subito una flessione di quasi tre punti percentuali rispetto allo stesso bimestre del 2018, con un cumulato di 2.374.954 unità. Numeri che non suscitano un allarme immediato, ma che sono sintomatici di un cambiamento di tendenza per il settore e per l’industria manifatturiera nel suo complesso, frutto di un rallentamento dell’economia continentale in atto ormai da alcuni mesi. Le ragioni sono note: incertezza politica, aggravata dal caos Brexit, dazi e guerre commerciali reali o attese. E a livello internazionale bisogna aggiungere gli effetti di una più generale stabilizzazione dell’economia cinese rispetto agli alti tassi di crescita degli anni passati e il rallentamento degli scambi a livello planetario.

La produzione italiana di auto

Il rallentamento dell’industria automobilistica europea trova conferma nel dato sulla produzione italiana di autovetture, crollata a gennaio del 25% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, frutto anche di un deciso declino delle immatricolazioni, scese del 7% nel primo mese del nuovo anno e del 2,4% a febbraio, se rapportate con gli stessi mesi del 2018. Si è così interrotto, dopo cinque anni, il trend di ripresa iniziato nel 2014. Nell’ultimo quinquennio, la produzione media annua di auto in Italia è stata superiore al milione di autoveicoli, il 32% in più rispetto alla produzione dei cinque anni precedenti (2009-2013), dove, in piena crisi, si era fermata a 760.000 autoveicoli.

Radiografia del settore automotive

Un quadro del settore, con riferimento all’Italia, si trova nel “Bilancio a 4 ruote”, primo studio dedicato alla filiera italiana dell’automotive realizzato da Cassa depositi e prestiti, Sace Simest e Anfia, in collaborazione con AlixPartners. Lo studio conferma la rilevanza strategica del comparto, che con 93 miliardi di euro di fatturato vale da solo il 5,6% del PIL italiano, dando lavoro a 250.000 addetti, il 7% dell’occupazione dell’intero settore manifatturiero. Senza contare l’indotto, considerando che l’effetto moltiplicatore sull’economia italiana del settore automotive è pari a 3,2 volte, uno dei più alti a livello manifatturiero.

Con 93 miliardi di euro di fatturato il comparto automobilistico vale il 5,6% del PIL italiano, dando lavoro a 250.000 addetti, il 7% dell’occupazione dell’intero settore manifatturiero

Se si escludono le case automobilistiche e qualche fornitore che opera a livello multinazionale, il comparto appare molto frammentato, con 5.700 imprese, in molti casi Pmi. Dispersione che si riscontra soprattutto nella componentistica e dell’Engineering&Design – dove il 45% delle aziende impiega meno di nove addetti – e si accompagna con un’elevata concentrazione: il 75% del fatturato complessivo è infatti realizzato dall’8% delle imprese del comparto. In questo scenario, la componentistica – che più interessa il mondo delle materie plastica e gomma – è un pilastro della filiera, con un giro d’affari stimato in 46 miliardi di euro e oltre 155.000 addetti.
Il ruolo trainante del comparto automotive si evince anche dagli investimenti fissi, pari al 14% dell’intera manifattura italiana, mentre si aggira su 1,7 miliardi di euro la spesa in ricerca e sviluppo intra muros, pari all’industria manifatturiera.

La sfida tecnologica rilancia l’auto

Lo studio individua quattro grandi sfide per il settore: rivoluzione tecnologica, fusioni e acquisizioni, spostamento delle attività produttive verso Est e incognita dazi.
Il tema senz’altro più dibattuto tra gli operatori del settore – anche nell’ambito dell’industria delle materie plastiche – è il cambiamento di paradigma tecnologico in atto, che si muove lungo diverse direttrici, le principali delle quali sono: connessione, guida autonoma, car sharing ed elettrificazione. Una rivoluzione destinata a cambiare la fisionomia del settore, ma che richiederà ingenti investimenti alle imprese del comparto. Per la sola mobilità elettrica, una stima indica in 255 miliardi di euro entro il 2023 gli investimenti necessari a livello globale. Il maggior peso ricadrà su i fornitori OEM, con investimenti previsti in 184 miliardi di euro e in 25-40 miliardi quelli della loro filiera, di cui 3,5 miliardi solo in Italia.

Sono 5.700 le imprese italiane, sostanzialmente Pmi, che operano nel comparto automobilistico

La rivoluzione interesserà anche il settore gomma-plastica, chiamato a fornire soluzioni alle necessità di alleggerimento, design, proprietà elettriche e meccaniche. Tra le principali richieste dal passaggio dai motori a combustione interna all’azionamento elettrico o ibrido emergono isolamento elettrico legato all’assorbimento di umidità, CTI (comparative tracking index), resistenza agli shock termici e meccanici, precisione e stabilità dimensionale, schermatura elettromagnetica.

Secondo lo studio Anfia, la conversione delle sole produzioni interne potrebbe costare agli original equipment manufacturer (OEM) tra i 10 e i 12 miliardi di euro per nuovi investimenti, solo una parte di quelli necessari per lo sviluppo dei veicoli elettrici. Nonostante si preveda che la parte maggiore e iniziale di questi investimenti avvenga in Francia e Germania, è possibile che la localizzazione delle nuove produzioni non coincida con quella degli stabilimenti di assemblaggio dei veicoli. Per i produttori italiani – rilevano i ricercatori – questa potrebbe essere un’interessante opportunità da cogliere.

Più aggregazione con M&A

Fusioni e acquisizioni, legate al cambiamento del paradigma tecnologico, intensificheranno i processi di aggregazione, poiché le aziende ad alto contenuto tecnologico, in particolare le Pmi e le start-up, diventano più attrattive per i grandi gruppi. Trend per altro già in atto nel settore delle plastiche ingegneristiche, soprattutto nei materiali compositi. Così, l’anno scorso, le operazioni di merger & acquisition nel settore automotive hanno raggiunto a livello planetario la cifra record di 64 miliardi di euro, per un totale di 224 operazioni. Di queste, la metà ha interessato l’Europa e sette su dieci sono state acquisizioni di aziende fornitrici. Inoltre, oltre il 50% delle operazioni di acquisizione e fusione, in valore, ha avuto come obiettivo un’azienda europea, mentre il Nord America e l’Asia si sono divisi il restante 50%.

Il fatturato generato dal comparto della componentistica, quello che più interessa il mondo delle materie plastica e gomma, vale 46 miliardi di euro

Da notare che non sono aumentate solamente le manovre relative al segmento “fornitori” – nel 2018 pari al 72% del totale –, ma si è registrato anche l’ingresso di operatori più piccoli e dinamici che, puntando anche a realtà di dimensioni medie o addirittura piccole, hanno ridotto il corrispettivo medio di ogni singola transazione da circa 1,2 miliardi di euro per 32 transazioni realizzate in Europa nel periodo 2014-2016 a 528 milioni di euro per 55 operazioni chiuse nel 2017-2018. In altre parole, la febbre delle acquisizioni si sta spostando anche alle piccole aziende.

La produzione di veicoli si sposta a Est

Se il quartier generale della componentistica auto resta saldamente ancorato nelle aree storiche di Europa, Giappone e Nord America – nota lo studio –, la produzione di autoveicoli si sta invece spostando sempre più verso l’Oriente. La Cina l’anno scorso si è confermata al primo posto nella classifica dei principali produttori di autoveicoli, 25 milioni di unità prodotte, pari a tre volte quella del secondo classificato, il Giappone. D’altronde, l’Asia da sola contribuisce al 60% delle vendite di veicoli a livello globale, con oltre 40 milioni di unità ogni anno. Visto in prospettiva, il trend è ancora più marcato: negli ultimi dieci anni le vendite della Cina sono più che quadruplicate – e oggi valgono più dei mercati Efta e Nafta messi insieme –, mentre quelle del resto del mondo sono aumentate del 10%, trainate essenzialmente dai mercati emergenti. Per Europa e Nord America, l’andamento è stato addirittura negativo, con un calo rispettivamente dello 0,3% e dell’1,5%.

L’Asia da sola contribuisce al 60% delle vendite di veicoli a livello globale, con oltre 40 milioni di unità ogni anno

I ricercatori di “Bilancio a 4 ruote” individuano alcuni megatrend di lungo periodo che stanno ridisegnando il settore, già definiti in ambito anglosassone con l’acronimo CASE (Connected, Autonomous, Shared, Electric). Oltre all’elettrificazione, va segnalato lo spostamento del baricentro dall’hardware (auto in senso fisico) al software (i servizi): i veicoli saranno sempre più progettati per garantire ai passeggeri e al mezzo stesso connessioni, interazioni e servizi di localizzazione, con una crescente dotazione di meccanismi di assistenza alla guida e di guida autonoma. Un altro elemento da considerare è lo spostamento dalla proprietà all’uso, con la crescita di forme di mobilità condivisa in luogo dell’acquisto emozionale.

Come vanno i Top50 italiani dell’automotive

Nella seconda parte dello studio, l’attenzione si sposta sui bilanci delle imprese automotive, con l’analisi dei 50 Top Player italiani della filiera (Top50). Il fatturato di questi “campioni” ha superato nel 2017 i 16 miliardi di euro (+8,3%), con un margine operativo lordo (Ebitda) di 2,1 miliardi di euro e una marginalità sul fatturato pari al 13%. Osservando l’andamento 2015-2017, i Top50 presentano migliori prestazioni rispetto alla media del settore in termini di fatturato (+10,9% in media) e di redditività (Ebitda: +10,8%). La situazione si inverte invece considerando i dati relativi a patrimonializzazione e indebitamento, che sul lungo periodo possono incidere sulla capacità di affrontare le sfide tecnologiche del comparto, in primis l’elettrificazione.

Sai chi sono le tre eccellenze italiane della plastica nell’automotive?


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