Il potenziale dei beni strumentali italiani: il Rapporto Ingenium 2023

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Elaborato dal Centro Studi Confindustria con il supporto di Federmacchine, il Rapporto Ingenium 2023 offre un interessante spunto di riflessione sul futuro dell’industria italiana dei beni strumentali

Un tempo l’export italiano era quello delle 3 F (Food, Fashion and Furniture), mentre oggi lo scenario è cambiato.  La spina dorsale delle vendite transnazionali è fatta dai macchinari, dai beni strumentali, dalle attrezzature tecnologiche e da una meccanica sofisticata, affidabile ed innovativa. Queste produzioni, pur rappresentando la faccia meno appariscente della medaglia, contribuiscono in maniera strategica al puzzle economico nazionale.

Ma, rispetto al passato, oggi, per essere competitive, le aziende possono personalizzare il prodotto, offrendo un alto valore aggiunto: in questo modo il Made in Italy si trova a ricoprire un ruolo importante, non solo per la propria tradizione ma, soprattutto, per gli aspetti innovativi che offre.

Di questo, e tanto altro, si è parlato durante la presentazione del Rapporto Ingenium, il 31 maggio 2023 a Milano: sono state evidenziate le prospettive future dell’industria meccanica e dei beni strumentali, delineando la geografia delle tendenze di vendita globali, e ragionando sull’importanza di sostenibilità e servitizzazione – nuovo e fondamentale aspetto del business.

Ma, soprattutto – come evidenziato dal Segretario generale di Federmacchine, Alfredo Mariotti – attraverso il Rapporto Ingenium le imprese del comparto meccanico avranno la possibilità di conoscere i mercati esteri, analizzando quelli più affini alla propria offerta e quelli con maggior potenziale, anche grazie ad alcune “indicazioni strategiche per meglio presidiare le aree di sbocco”.

Ma procediamo per gradi.

ACT: automazione, creatività e tecnologia

Nel 2022 le esportazioni italiane di beni hanno raggiunto i 620 miliardi di euro, con una crescita di quasi 20 punti rispetto al 2021. In particolare, analizzando il comparto manifatturiero – senza considerare le materie prime – le esportazioni hanno raggiunto un valore record, pari a 533 miliardi.

Ma, al di là delle ottime e generalizzate performance, la punta di diamante della produttività nazionale all’estero è stata rappresentata dai beni ACT, acronimo che sta per automazione, creatività e tecnologia. Questi rientrano tra le 202 categorie di macchinari, prodotti dalle 12 Associazioni industriali di Federmacchine (https://www.federmacchine.it/home/) – la Federazione nazionale che conta oltre 5.100 imprese e circa 200mila addetti.

I prodotti ACT hanno segnato, nel 2022, un fatturato in crescita del 9,6%: sono macchinari che mostrano un elevato grado di precisione, caratterizzati da una forte componente elettronica – talvolta in sostituzione di quella meccanica – e capaci di adottare soluzioni customizzate a seconda dell’acquirente.

L’automazione dei macchinari porta ad una maggiore velocità nella produzione, anche in termini di volumi, e all’ottimizzazione delle risorse, con l’inclusione della robotica nel processo di produzione. La creatività, invece, favorisce una costante innovazione, con soluzioni su misura capaci di soddisfare la domanda, dando luogo al processo di servitizzazione e superando tutte le sfide imposte dalle esigenze di sostenibilità e risparmio energetico.

Grazie alla tecnologia, infine, entrano nel processo nuovi rami industriali, dall’Intelligence of Thing (IoT), alla realtà aumentata, con una utilissima progettazione e assistenza da remoto.

Le esportazioni di meccanica nei Paesi avanzati

Dunque, una nuova tipologia di meccanica, sempre più innovativa e moderna, si fa spazio sullo scenario nazionale e non solo. Ma, di preciso, dove è apprezzato il prodotto ACT Made in Italy? Prima di rispondere a questa domanda, è doveroso partire dall’analisi generale delle vendite transnazionali, come rappresentata da Alessandro Fontana, Direttore Centro Studi Confindustria.

Nel 2022 – in un confronto con il valore medio del triennio 2019/2021 – l’export italiano è cresciuto, ma va fatta una distinzione: a livello globale, le esportazioni italiane hanno mostrato diverse performance, a seconda che si tratti di Paesi avanzati o emergenti, e anche funzionalmente al bene.

In tal senso, i prodotti ACT rappresentano il primo settore dell’export nazionale, volàno meno visibile ma fortemente innovativo. Le esportazioni del comparto sono state pari a quasi 28 miliardi di euro, di cui oltre 18 verso i Paesi avanzati e oltre 9 verso gli emergenti, più lenti nel recepire.

Entrando nel dettaglio – ed assunto che le vendite italiane transfrontaliere, nel comparto dei macchinari automatizzati e tecnologici, affrontano atavicamente la concorrenza di Germania e Giappone – rispetto al passato il prodotto italiano ha aumentato le proprie quote di mercato negli USA, così come nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, in Irlanda e in Svezia.

Negli altri avanzati, invece, pur detenendo una fetta importante (pensiamo al mercato francese, spagnolo o polacco), il valore della quota di mercato è risultato in contrazione.

I mercati emergenti e il caso ASEAN

È sicuramente migliore il quadro con riferimento ai mercati emergenti, dove Germania e Cina si confermano comunque i principali competitor dei prodotti ACT – con il Giappone che non è da meno. In Cina, Roma concorre con Berlino, Tokyo e Seul, mentre perde quota in Turchia – dove Istanbul è attratta dal prodotto tedesco, cinese e bielorusso. Meglio le performance ACT in India, Brasile, Arabia Saudita e EAU, con un aumento delle quote percentuali di import ACT, proveniente dall’Italia.

Il Rapporto Ingenium, poi, si focalizza sui Paesi della Comunità economica ASEAN dove nel 2022 l’export di beni Made in Italy ha raggiunto i 9,3 miliardi di euro, superando i livelli pre-pandemici e mostrando performance migliori rispetto alla media export verso il resto del Mondo. In realtà, però, con riferimento ai beni ACT, il recupero non è ancora stato completato – per una serie di caratteristiche intrinseche dei mercati asiatici di riferimento, tra cui gli elevati tassi di insolvenza delle imprese non finanziarie locali.

Tuttavia – come conferma anche SACE attraverso le parole dell’AD Alessandra Ricci, e di Alessandro Terzulli, Chief Economist – sebbene l’economia dei Paesi ASEAN non abbia ancora completato un totale recupero post 2020, l’area è destinataria del 12% degli IDE globali, con mercati molto interessanti per le vendite di meccanica italiana. Il Vietnam, ad esempio, ha varato importanti piani di investimento che fanno presagire una forte crescita settoriale, nel breve futuro, mentre Thailandia e Indonesia mostrano un elevato potenziale di acquisto dei beni ACT, assorbendo il 50% delle esportazioni italiane nella regione (dati 2022). Bisogna quindi valutare attentamente questi aspetti.

Il potenziale sfruttabile e il segreto del successo

Alla luce dei dati esposti, considerando le buone performance italiane, vien da chiedersi allora se è davvero il massimo a cui può ambire il Bel Paese. I dati dicono di no. Oltre ai (suddetti) 28 miliardi di export ACT, Confindustria stima un ulteriore potenziale sfruttabile nell’export – ovvero lo spazio di inserimento del Made in Italy e di permeabilità del mercato – pari a 16 miliardi di euro, che offrirebbe all’Italia la possibilità di ampliare la sua offerta di export meccanico.

Questo flusso (al momento incompiuto) risulta equamente distribuito tra Paesi avanzati ed emergenti, e dovrebbe incoraggiare le imprese italiane, suggerendo loro di accrescere le quote di mercato. In particolare, il potenziale sfruttabile risulta molto forte negli USA (con un export aggiuntivo stimato in circa 1,7 mld di euro), in Francia, Germania e Canada (600mln), e in Austria (500 mln).

Con riferimento invece agli emergenti, la Cina si colloca in testa, con un potenziale sfruttabile pari al 52% del totale (circa 2 miliardi di euro), probabilmente grazie alla dimensione del mercato. Molto buoni anche i risultati di Turchia (700 mln), India (600 mln), Messico e Brasile.

Ottimi dati ma, di fatto, qual è il segreto del successo e come si attiva questo potenziale? Bisogna intervenire con azioni mirate ai quattro assi della competitività: supportare la servitizzazione – ovvero la fornitura di servizi aggiuntivi post-vendita – adottare comportamenti più sostenibili, favorire i trattati internazionali e stimolare l’innovazione.

Dalla resilienza alla servitizzazione, un nuovo (e ottimistico) scenario

Partiamo dal primo asse, la servitizzazione, una delle parole maggiormente utilizzate, durante la presentazione del Rapporto Ingenium. Il neologismo di origine anglofona ha oramai preso il posto della già nota locuzione “resilienza”. Ciò significa che è cambiato lo scenario e, appurata la grande forza delle imprese italiane, ora bisogna focalizzarsi su questa nuova e preziosa expertise: la creazione di un prodotto ad hoc con tanto di servizio post vendita.

Lo scandisce a chiare lettere anche il professor Marco Taisch, nel suo intervento durante la Tavola rotonda conclusiva dell’incontro.  La crisi pandemica ha insegnato che, prima del 2020, le cose funzionavano alla perfezione, senza dare importanza al luogo di produzione, considerando che la logistica avrebbe semplificato tutto.

Ma una nave incagliata in un canale (di Suez, ndr) o un microscopico virus hanno avuto il potere di bloccare il commercio globale. Pertanto, bisogna abbandonare l’idea “prodottocentrica” e puntare sul valore delle filiere, ridisegnandone l’architettura. E, soprattutto, bisogna capire che vanno corretti i modelli di business: non funzionano più i semplici produttori di meccanica ma servono esperti a 360 gradi.

La meccanica, nel futuro prossimo, assumerà infatti il ruolo di commodity perché sta modificando la propria natura, presentando una quota sempre maggiore di digitalizzazione. La presenza dell’aspetto tecnologico da un lato offre un prodotto che tende alla perfezione ma, allo stesso tempo, rende il tutto più complesso. E gli imprenditori del comparto devono arrivare preparati, imparando a gestire questa “modernità”. Più di ogni altra cosa, quindi, le imprenditorie devono evitare che tra la produzione meccanica e l’utilizzatore finale si inseriscano nuovi attori, a gestire il tutto, confinando in un angolo l’expertise italiana. Oltre alla produzione, quindi, è necessaria la servitizzazione, in un pacchetto completo che resti nelle mani della stessa persona. Allo stesso tempo, poi, bisognerà pensare in maniera sostenibile.

La sostenibilità: obbligo, opportunità o penalizzazione?

Passiamo, allora, al secondo dei quattro assi della competitività: l’adozione di comportamenti più sostenibili. I consumatori, soprattutto quelli più giovani, non sono solo nativi digitali ma anche “nativi sostenibili”. Questo significa che la meccanica dovrà allinearsi sempre più ai principi green.

In realtà, come sottolinea la professoressa Stella Gubelli, spesso tendiamo ad associare la parola “sostenibilità” solo all’idea di ambiente, in maniera riduttiva, mentre sono coinvolti anche gli aspetti sociali, l’attenzione alla comunità e ai dipendenti, la responsabilità di prodotto e, soprattutto, la governance – questione ancora poco introdotta negli ambienti imprenditoriali italiani, dove ci sono ampi spazi di miglioramento.

La sostenibilità non è un obbligo ma un’opportunità: è un elemento di competitività e di attrazione dei clienti, ed è anche la molla che fa muovere gli interessi degli investitori, con una finanza sempre più green addicted.

Tra l’altro, con l’adozione della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive); la Direttiva sulla comunicazione societaria relativa alla sostenibilità aziendale, le imprese dovranno allinearsi al diktat di Bruxelles: saranno investite di una maggiore responsabilità, con la pubblicazione dei propri dati in materia ambientale e sociale.

In realtà, a ben riflettere, per certi aspetti il discorso della sostenibilità appare come un’arma a doppio taglio: da un lato l’azienda sostenibile è più competitiva, in Europa, e offre certezze al cliente. Dall’altro, però, rischia di esser tagliata fuori dai giochi globali, con un costo della produzione decisamente più alto rispetto a quello di un competitor cinese sul mercato target vietnamita, ad esempio. Come si fa, quindi?

La politica industriale a sostegno delle imprenditorie

Non ci sono alternative e non si può prescindere dal concetto di sostenibilità, lo dice forte e chiaro l’Unione europea. In effetti, se ragioniamo solo in un’ottica di prezzo, la considerazione di una possibile discriminazione competitiva risulta vera; se invece, come dovremmo imparare a fare, puntiamo sul valore, con un costo maggiore che però tiene conto anche della servitizzazione (quindi di un optional molto importante), il discorso cambia.

Non sarebbe la prima volta che un bene italiano – con il suo costo medio alto – viene preferito a uno più economico. Lo insegna la storia dell’export. E, in realtà, l’Italia dovrebbe tendere a questi dettagli di qualità. Ma – e qui ci colleghiamo al terzo pilastro che racchiude anche il quarto – le imprenditorie, da sole, non riescono: dall’alto bisogna favorire i trattati internazionali e stimolare l’innovazione.

È necessario quindi tessere una rete internazionale di contatti e offrire agli imprenditori gli strumenti adatti per operare, senza un eccessivo aggravio di costi. Lo ha ribadito anche il Ministro del MIMIT, Adolfo Urso, intervenuto in videocollegamento durante la presentazione del Rapporto, annunciando una riforma degli incentivi, per realizzare un quadro chiaro di una politica industriale che dia opportunità a tutto il Paese.

Ad oggi, esistono oltre 220 incentivi nazionali e oltre 1700 regionali; ciò provoca confusione e rischia di non centrare l’obiettivo di sostegno. Inoltre, sono da rivedere anche le risorse in ambito PNRR, attraverso una modifica dei capitoli di bilancio, e dovrà essere finanziato al più presto anche il Piano Transizione 4.0 con una sua possibile evoluzione in 5.0. Tutto ciò favorirà, in maniera più che diretta, il comparto meccanico.

La tutela del prodotto italiano e la (futura) Legge quadro

Il Ministro Urso ha anche toccato un argomento molto interessante per l’intera comunità imprenditoriale, presentando la futura Legge quadro sul Made in Italy, di cui si parla da mesi. Il DdL, approvato dal Consiglio dei Ministri nella serata del 31 maggio , e ora nella fase di iter presso le due Camere, si focalizza su un sostegno finanziario alle produzioni italiane e punta sulla formazione delle competenze.

L’atto normativo, poi, ha come obiettivo la lotta alla contraffazione, per la tutela del bene italiano, e la semplificazione delle procedure di approvvigionamento, andando incontro alle principali problematiche emerse da un confronto con le associazioni di categoria.

Dunque, si prospettano tempi buoni per la comunità imprenditoriale, anche alla luce dei recenti dati pubblicati dall’ISTAT: andando contro ogni previsione di recessione tecnica, il PIL italiano del primo trimestre 2023 è infatti stato rivisto al rialzo, segnando una crescita superiore a Francia e Germania.

Logicamente, un freno delle principali economie europee non è un dato positivo per le esportazioni italiane, ma al momento è una piccola vittoria di un (Bel) Paese che, attraverso le sue imprese, ha dimostrato di saper superare tutte le impasse, adattandosi alla crisi pandemica, energetica e sistemica.

Good job, Italy!

di Marianna Capasso


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