Il mercato delle bioplastiche ancora non decolla

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The search for profit when markets are volatile – The stock and bond market are expecting a earnings’ decline

Le bioplastiche stanno riscuotendo in questi ultimi anni un successo mediatico senza precedenti, elette dai media come le plastiche “buone” contrapposte a quelle convenzionali, accusate di inquinare i mari e, quindi, “cattive”. Per alcuni dovrebbero sostituire tout-court i materiali oggi utilizzati per imballaggi e articoli monouso. Successo incrinato – ma solo in parte – dagli attacchi di alcune associazioni ambientaliste più radicali, come Greenpeace, che accumuna i polimeri “bio” alla più grande famiglia delle materie plastiche per le quali l’unica soluzione, sotto il profilo ambientale, è la graduale, quanto inesorabile, estinzione. Al successo mediatico non sembra però corrispondere quello commerciale, almeno guardando i volumi prodotti e trasformati, che stentano a decollare nonostante la crescita delle potenziali applicazioni e la proliferazione di normative sempre più accomodanti.

Bioplastiche: +15% in cinque anni

I numeri del settore, come di consueto, arrivano dall’associazione europea della filiera dei biopolimeri, European Bioplastics, che a dicembre ha tenuto a Berlino la sua conferenza annuale, occasione per fare il punto su mercato e trend, nuovi materiali e tecnologie, applicazioni e gestione del fine vita. I dati forniti dall’associazione considerano le bioplastiche nell’accezione più ampia del termine: rientrano infatti in questa categoria i polimeri biodegradabili ottenuti da risorse sia rinnovabili (PHA, PLA e amidacee) sia petrolchimiche (PBAT, PBS), come pure le plastiche biobased ma non biodegradabili e le poliolefine “verdi” ricavate da bioetanolo (canna da zucchero) o il bioPET. Anche considerandole tutte, l’attuale capacità produttiva si attesta su 2,11 milioni di tonnellate annue e, secondo le stime di European Bioplastics (basate su uno studio condotto dalla società di consulenza tedesca nova-Institute), dovrebbe crescere a 2,43 milioni di tonnellate nel 2024, mettendo a segno un incremento di circa 15 punti percentuali in cinque anni.

Per fornire un quadro di riferimento e comprendere che le “bio” non possono essere ancora considerate una soluzione al problema, basta pensare che la produzione annua di materie plastiche a livello globale sfiora i 360 milioni di tonnellate (61,8 milioni dei quali in Europa, Fonte Plastics the Facts 2019) e non accenna a diminuire, come non rallenta il piano di costruzione di nuovi impianti nelle aree ad alto tasso di sviluppo come l’Asia o il Medio Oriente.

Previsioni di crescita per il PHA

Se limitiamo l’analisi alle sole plastiche biodegradabili, l’attuale capacità produttiva si aggira intorno a 1,17 milioni di tonnellate annue (pari al 55,5% del totale), che saliranno a 1,33 milioni di tonnellate nel 2024, sempre a livello globale. Appena sufficienti – e forse nemmeno – a soddisfare la domanda di sostituzione che giungerà con l’entrata in vigore di norme sempre più restrittive su articoli monouso, imballaggi e microplastiche per cosmetica. Secondo le stime di European Bioplastics, i biopolimeri che nei prossimi cinque anni registreranno i tassi di crescita più sostenuti sono PHA e polipropilene da rinnovabili, con incrementi pari rispettivamente a tre e sei volte rispetto ai volumi attuali. Non ha invece soddisfatto appieno le aspettative il bioPET, dato in passato in forte crescita e oggi sostanzialmente stabile, mentre le speranze di trovare un’alternativa sostenibile al PET vengono oggi riposte sul PEF (polietilen-furanoato), una bioplastica biobased (ma non biodegradabile) a base poliestere che dovrebbe entrare in produzione nel 2023. L’ambito applicativo di elezione delle bioplastiche si conferma l’imballaggio, con un consumo intorno a 1,14 milioni di tonnellate, pari al 53% del totale. Il resto si suddivide in un rivolo di applicazioni finali, quali fibre e tessuti (11%), prodotti di largo consumo (8%), articoli per agricoltura e orticoltura (8%), componenti e interni auto (7%).

Nessun rischio per i terreni agricoli

Tra i dati forniti dall’associazione c’è anche la superficie di terreno agricolo destinata alla produzione di bioplastiche ricavate da biomasse, che è uno dei punti su cui si addensano le critiche degli ambientalisti. In realtà, si tratterebbe di poco meno di 0,79 milioni di ettari, pari allo 0,016% della superficie agricola disponibile a livello mondiale (4,7 miliardi di ettari, di cui 1,4 arabili e 3,3 adibiti a pascolo), rendendo trascurabile la concorrenza tra materie prime per alimentazione umana o animale e la produzione di biopolimeri, quota che non è destinata a crescere in modo commensurabile nel prossimo decennio.


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