Il futuro della plastica viene dal mare

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Usare gli scarti dell’industria ittica per produrre materiali compositi plastici. Questo l’ambizioso obiettivo del progetto Circular Venice partito due anni fa che si inserisce perfettamente nel processo di transizione dall’economia lineare a quella circolare. E alle aziende piace.


Utilizzare materiali di scarto dell’industria della pesca per produrre materiali compositi plastici. Con questa finalità due anni fa è nato il progetto Circular Venice, guidato dal Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi dell’Università Cà Foscari di Venezia con la collaborazione del Consorzio Molluschicoltori Veneti, Consorzio Rete Po di Levante, di un’azienda che si occupa di estrusione di profili termoplastici e di uno studio di consulenza finanziaria.
Un progetto in house che si inserisce perfettamente nel processo di transizione dall’ economia lineare a quella circolare e che consente di raggiungere due ambiziosi obiettivi.
Il primo: gestire l’elevata quantità di rifiuti solidi generata dai molluschi scartati durante il processo di produzione dei bivalvi. Rifiuti solidi che rappresentano un problema da risolvere nell’area del Delta del Po, situata tra il Veneto e l’Emilia Romagna, dove la produzione di molluschi bivalvi raggiunge circa 40.000 tonnellate annue. Il secondo, ovviamente, è produrre materiali plastici con un maggiore tasso di sostenibilità.

Il carbonato di calcio che viene dalle conchiglie

Marco Scatto, uno dei promotori del progetto Circular Venice
Marco Scatto, consulente, Polymer Scientist, cultore della materia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e uno dei promotori del progetto Circular Venice

«L’idea è quella di utilizzare questi rifiuti chiamati Sea Shell Waste in sostituzione del carbonato di calcio solitamente estratto da miniere e cave che deturpano le montagne e il paesaggio, come additivo nei compound polimerici», spiega Marco Scatto, consulente, Polymer Scientist, cultore della materia presso l’Ateneo veneziano e uno dei promotori del progetto. Il carbonato di calcio (CaCO3) viene, infatti, normalmente utilizzato come additivo nella composizione di compound polimerici per ridurre i costi dei manufatti e in alcuni casi per aumentare il modulo elastico e la resistenza.
«In particolare, il CaCO3 viene utilizzato come additivo del polipropilene (PP), uno dei materiali termoplastici più usati al mondo soprattutto negli imballaggi in plastica, nelle componenti in plastica di auto e persino nelle fibre e tessuti», spiega Scatto.

Alto l’interesse delle aziende

Logo del progetto Circular Venice
Logo del progetto Circular Venice

In particolare, i ricercatori dell’Università di Venezia hanno studiato le proprietà chimico-fisiche dei rifiuti dei bivalvi per produrre biomateriali da utilizzare in diversi campi industriali, compreso quello della plastica per produrre beni di diversa natura.
L’idea è piaciuta molto anche alle aziende del settore della plastica che stanno chiedendo all’Università Cà Foscari e ai suoi ricercatori di collaborare per accelerare i tempi in modo da passare velocemente alla produzione di oggetti creati con questo materiale di scarto. «Indubbiamente è stato uno dei tra i progetti di economia circolare in cui l’industria ha dimostrato maggior interesse», prosegue Scatto. «Al momento stiamo affrontando gli aspetti normativi anche con il supporto della Regione Veneto per cercare di capire come meglio raccogliere e gestire gli scarti, come farli diventare una materia prima seconda. Ma siamo a buon punto anche perché siamo riusciti a creare una filiera e questo è molto importante per accelerare i tempi». E per essere in grado di soddisfare la domanda di mercato il gruppo di lavoro sta cercando di stimolare anche altre Regioni in Italia e all’estero a entrare a far parte del progetto. «Del resto, il nostro è un modello esportabile che si adatta in tutto il mondo e anche ad altri settori come quello della moda sostenibile», chiosa Scatto.

 

Quest’articolo è stato pubblicato nella rivista Plastix nr. 7 – Ottobre 2022


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