Energia a basso costo

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Grazie ai nanorinforzi carboniosi, i polimeri diventano conduttori e capaci di fornire energia elettrica a dispositivi portatili. Economici, riciclabili, flessibili, più vantaggiosi dei metalli e del silicio. L’energia del futuro passa dalla plastica

Materiale “passivo” con la funzione di imballaggio, contenitore, rivestimento, rinforzo. Così è sempre stata considerata la plastica nell’industria dei manufatti, ma le nuove frontiere della ricerca stanno cambiando nettamente questa prospettiva. Se infatti aggiungiamo alla plastica nanorinforzi conduttivi, le conferiamo anche delle funzionalità elettriche: diventa capace di condurre l’elettricità e possiamo pensare di estendere le applicazioni delle materie plastiche a settori in cui sono sempre stati utilizzati solo i metalli tradizionali. E con una serie di vantaggi in più, legati alle proprietà intrinseche dei polimeri, che sono flessibili, leggeri, in qualche caso anche trasparenti, facili da formare, portabili, riciclabili, economici.

Il gruppo di Scienza e tecnologia dei materiali presso il Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università di Perugia, nella sede di Terni, lavora allo sviluppo di nanocompositi polimerici conduttori. Il dottor Luca Valentini, responsabile del laboratorio di trattamenti superficiali all’interno del gruppo, studia nanocompositi polimerici funzionali che possono essere integrati in dispositivi optoelettronici. Con il suo aiuto, abbiamo esplorato questo mondo di nuove affascinanti applicazioni.

Il fotovoltaico è flessibile

«Nel nostro laboratorio realizziamo celle fotovoltaiche polimeriche totalmente flessibili, utilizzando polimeri conduttori che assorbono la luce e la trasformano in elettricità – spiega Valentini –. Si tratta di polimeri colorati a base tiofenica che sono spalmati come vernici su supporti di PET, flessibili. La deposizione dello strato polimerico colorato non avviene con i costosi processi della microelettronica al silicio, ma semplicemente da soluzione, con metodiche molto meno costose e non tanto diverse dalla stesura di una vernice: la soluzione è deposta su un opportuno substrato (nel nostro caso il PET) e poi si procede all’evaporazione del solvente. Poiché sono costituite da strati sottili e flessibili, queste celle possono essere utilizzate sui tessuti o su svariati accessori portatili per ricaricare piccoli dispositivi elettrici, in tutta una serie di applicazioni normalmente non accessibili alle tradizionali celle fotovoltaiche al silicio».

I nuovi “mattoni”: nanotubi di carbonio e grafene
I nanocompositi polimerici realizzati nel laboratorio del dottor Luca Valentini sono costruiti a partire da polimeri tradizionali in cui sono dispersi nanotubi di carbonio oppure grafene. «I nanotubi di carbonio – cilindri del diametro di qualche nanometro e di lunghezza pari a qualche centinaio di micron, costituiti da atomi di carbonio e capaci di condurre in modo eccellente l’elettricità lungo la loro parete esterna – possono essere dispersi all’interno di un polimero come il polimetilmetacrilato (PMMA), che è un materiale isolante, a basso costo, molto facile da reperire, disponibile in diversi gradi di viscosità e di lavorabilità – spiega Valentini –. Se siamo capaci di mettere in contatto tra loro i nanotubi di carbonio dispersi nella matrice polimerica, stabiliamo quella che tecnicamente è chiamata “soglia percolativa”: un ponte fisico di contatto tra i materiali, grazie al quale, applicando una differenza di potenziale ai capi dell’oggetto costruito, possiamo fare passare corrente elettrica all’interno del polimero».

Luca Valentini ci parla anche di un altro materiale su cui la comunità scientifica sta investendo molte risorse: il grafene. «Deriva dalla grafite – spiega –, perché si ricava in laboratorio dalla sua esfoliazione sino al singolo strato di atomi di carbonio. Il grafene è infatti uno strato monoatomico di atomi di carbonio tutti ibridati nella forma sp2, che si dispongono a formare esagoni con angoli di 120°. È un materiale con proprietà meccaniche ed elettriche mai osservate in nessun altro conduttore. Poiché ha uno spessore equivalente alle dimensioni di un solo atomo, è trasparente e se viene disperso all’interno di una matrice polimerica, le conferisce proprietà di rinforzo meccanico e di ottima conducibilità elettrica. Il nostro gruppo di ricerca lo ha sperimentato in diverse applicazioni».

Energia dalla pioggia

Siamo circondati da sistemi meccanici che dissipano la loro energia sotto forma di calore, riscaldando l’ambiente. Perché non utilizzare dei materiali innovativi capaci di convertire l’energia meccanica in energia elettrica, senza sprechi? «Con i nanocompositi polimerici è possibile – continua Luca Valentini –. Esistono nuovi materiali capaci di produrre energia elettrica per effetto di un impulso meccanico – per esempio dalla pressione del piede sulla suola di una scarpa o di un dito su un touchscreen – e che possono essere impiegati come risorsa energetica pulita, per alimentare dispositivi elettronici con bassa potenza (un cellulare, un lettore mp3…)».

Nel laboratorio di Luca Valentini è stato costruito un film membrana che si autosostiene, cosiddetto “freestanding”, in polimetilmetacrilato (PMMA) contenente ossido di grafene (figura 1a, [1]).

1a Ossido di grafene nella matrice di PMMA su elettrodi di oro: un dispositivo per convertire l’impulso meccanico in energia elettrica [1]
«Abbiamo osservato che se facciamo cadere sulla membrana una goccia d’acqua da un’altezza di 20 centimetri, l’energia meccanica proveniente dall’impulso che la goccia trasferisce quando urta contro la superficie può essere trasformata in energia elettrica (figure 1b e 1c, [2]). Potremmo realizzare un tessuto impermeabile costituito da questo materiale: quando piove, per effetto dell’urto delle gocce d’acqua sul tessuto, l’energia meccanica si trasforma in energia elettrica per alimentare piccoli dispositivi portatili».

1b Curve di voltaggio in circuito aperto registrate durante l’impatto di gocce d’acqua rispettivamente su film di PMMA/ossido di grafene e film di PMMA/ossido di grafene ridotto [2]
1c Quando le gocce d’acqua cadono su un tessuto polimerico conduttore nanocaricato con grafene, l’energia meccanica può essere convertita in energia elettrica per alimentare piccoli dispositivi portatili [2]
Transistor su carta

Con i polimeri si possono costruire oggetti di varie forme e dimensioni, anche partendo da una materia prima liquida come un inchiostro, sciolta in un solvente, e che può essere stampata su un foglio di carta. Elettronica “fai da te”, ecologica.

«Siamo riusciti a realizzare un transistor, stampandolo su normale carta da ufficio – sottolinea Valentini –. La tecnica dello stampaggio a getto di inchiostro può essere impiegata per realizzare dispositivi elettronici portatili. Possiamo immaginare che l’utente inserisca nella stampante la cartuccia contenente l’inchiostro polimerico, faccia partire il comando di stampa e si costruisca su misura il proprio circuito, senza doverlo acquistare, a costi molto superiori, presso l’industria elettronica».

2 Il transistor MOS costruito nel laboratorio diretto dal dottor Luca Valentini: è basato sul semiconduttore organico polimerico poli(3-esiltiofene) (P3HT) depositato su carta con un film di ossido di grafene usato come dielettrico [3]
Nella figura 2 [3] è illustrato il transistor MOS (a effetto di campo metallo-ossido-semiconduttore) costruito nel laboratorio diretto da Luca Valentini: è basato sul semiconduttore organico polimerico poli(3-esiltiofene) (P3HT) depositato su carta e con dei film di ossido di grafene usati come “porte dielettriche”.

Schede elettroniche del futuro

Uno dei più significativi vantaggi dell’uso di plastiche conduttrici è la loro riciclabilità e quindi il loro impatto ridotto sull’ambiente. «L’elettronica tradizionale si basa sul silicio, un materiale costoso che per essere riutilizzato deve essere sottoposto a fusione, con notevole dispendio di energia – commenta Valentini –. Le schede elettroniche di silicio sono integrate con metalli che a fine uso richiedono a loro volta percorsi di smaltimento adeguati. Inoltre, i componenti delle schede sono assemblati su supporti a base di resine epossidiche. La separazione di tutti questi materiali alla fine del ciclo di vita di una scheda elettronica convenzionale è un processo molto costoso. Tempo fa – continua – leggevo i dati di un’inchiesta sconcertante sullo sfruttamento di lavoro minorile in Asia per la rottamazione di vecchi computer: manodopera minorile (e questo già di per sé è deprecabile) usata per il recupero di rame, indio, stagno, mercurio dai componenti elettronici, senza alcun tipo di precauzione per la salute».

Ma il futuro potrebbe essere presto diverso. «I nuovi conduttori polimerici che stiamo sperimentando nei nostri laboratori sono ecocompatibili ed ecosostenibili: sono a base di plastiche, di carta e di grafene, tutti riciclabili senza produzione di solidi residui tossici, né di sostanze volatili dannose per la salute durante le operazioni di riciclo».

Fino a qualche anno fa, l’elettronica era concepita per una lunga durata, «Mentre oggi si dice che deve avere un uso “transitorio” e dev’essere smaltita velocemente: creata, consumata, portabile, pressabile e alla fine riutilizzabile. Ecco perché la possibilità di progettare componenti elettronici con materiali ecocompatibili su supporti polimerici è un valore aggiunto di queste applicazioni. Attualmente – conclude Valentini – stiamo realizzando nanocompositi polimerici conduttori che, a differenza dei metalli, sono pure trasparenti (una proprietà normalmente associata a caratteristiche isolanti). Le formulazioni che abbiamo sviluppato, a base di ossido di grafite disperso in poli(3,4-etilenediossitiofene) poli(stirenesulfonato), sono inchiostri liquidi, alternativi al rame, che permettono di realizzare degli elettrodi da stampare su schede elettroniche».

Dall’aeronautica alle operazioni militari
Ecco alcune applicazioni innovative ed emergenti dei polimeri conduttori:

Controllo remoto di componenti meccaniche soggette a frattura

Un componente meccanico costituito da un materiale polimerico nanocaricato e conduttore è caratterizzato da una resistenza elettrica durante il proprio esercizio. Se dopo un certo numero di cicli meccanici si creano fratture nel componente o microcricche (invisibili a occhio nudo), la connessione elettrica si interrompe e la resistenza del componente comincia a salire: è il segnale che bisogna intervenire per sostituirlo o per effettuare delle riparazioni. Questo tipo di controllo remoto dello stato di un componente meccanico abbatte notevolmente i costi, perché evita di usare sensori, tecniche a ultrasuoni, complessi sistemi di ispezione ottica, cavi, cablaggi non esenti da rischi di surriscaldamento, cortocircuito, incendio. I sensori sono “immersi nella plastica” e consentono in modo semplice ed efficace di valutare lo stato di usura di un componente. Da segnalare anche le ricadute positive sulla sicurezza, nel caso di applicazioni per aviazione civile e automotive.

Sensori di onde elettromagnetiche

È importante prevenire l’esposizione delle persone ai campi elettromagnetici radianti, che possono causare danni alla salute. In ambito professionale, gli operatori che lavorano vicino alle antenne di un ripetitore per telefonia cellulare o nei pressi di elettrodotti devono dotarsi di pesanti e voluminosi apparecchi portatili per il monitoraggio delle radiazioni elettromagnetiche, che indicano la soglia oltre la quale l’esposizione diventa pericolosa. Anche in questo settore, i nanocompositi polimerici conduttori possono costituire un valido aiuto. Si possono infatti realizzare dispositivi polimerici sottili, leggeri, facili da indossare (per esempio delle dimensioni di un badge) nanocaricati con rinforzi carboniosi, da usare come sensori per campi elettromagnetici, perché capaci di “assorbirli”. Un viraggio di colore oppure un segnale elettrico trasformato in uno acustico indicano quando si raggiunge la soglia limite di esposizione. Il campo elettromagnetico è quindi usato per “interrogare” il dispositivo.

Schermature da campi elettromagnetici

L’obiettivo in questo caso è opposto a quello sopradescritto: si vuole che eventuali campi elettromagnetici capaci di provocare interferenze non colpiscano le strumentazioni dotate di componenti elettroniche (navigatori satellitari, apparecchi per sale operatorie, sistemi di test…). I componenti da proteggere sono racchiusi in scatole plastiche conduttrici che funzionano secondo il principio della gabbia di Faraday: la radiazione emessa dall’interno può fuoriuscire, ma senza essere disturbata dai campi elettromagnetici provenienti dall’esterno. In campo militare, durante le operazioni effettuate in condizioni e ambienti atmosferici difficili, come i deserti, le apparecchiature sofisticate, insieme agli operatori che le manovrano, sono confinate all’interno di speciali unità mobili metalliche molto resistenti chiamate “shelter”. La sigillatura di porte e finestre degli shelter è fatta con reti di metallo pesanti e ingombranti, che tendono a corrodersi con il tempo e in certe condizioni climatiche, come quelle salmastre. Una valida alternativa è rappresentata dalle guarnizioni polimeriche caricate con nanorinforzi conduttori, capaci di schermare le radiazioni elettromagnetiche per preservare la funzionalità delle strumentazioni negli shelter.

Bibliografia

1 L. Valentini, S. Bittolo Bon, J. M. Kenny, “Poly(methyl methacrylate)/Graphene Oxide Layered Films as Generators for Mechanical Energy Harvesting” ACS Applied Materials & Interfaces, DOI: 10.1021/am400388f, Publication Date (Web): 15 Apr 2013L

2 L. Valentini, S. Bittolo Bon e Josè Kenny, “Liquid droplet excitation of freestanding poly(methylmethacrylate)/graphene oxide films for mechanical energy harvesting”, Journal of polymer science and polymer physics (AID POLB23300 2013 in corso di stampa)

3 L. Valentini et al., “Flexible transistors exploiting P3HT on paper substrates and graphene oxide films as gate dielectrics”: proof of concept”, Science of Advanced Materials, vol.5, pp. 1-4, 2013


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