Di Gregorio di Unindustria RE: “Non si cresce senza formazione”

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«La sensibilità delle aziende manifatturiere verso la digitalizzazione è aumentata, ma la strada è ancora lunga. E le associazioni come quella che rappresento hanno il dovere di accompagnarle verso un percorso sostenibile non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico e sociale» afferma Filippo Di Gregorio, direttore generale di Unindustria Reggio Emilia.

Crede che le vostre aziende di riferimento abbiano percepito fino in fondo le potenzialità offerte dalla digitalizzazione?
La situazione è decisamente eterogenea e Unindustria Reggio Emilia ha deciso di impegnarsi per promuovere il cambiamento, anche attraverso personale dedicato. Abbiamo assunto un digital transformation manager che, oltre a essere impegnato nella formazione del personale interno, lavora a fianco delle imprese. In collaborazione con Confindustria e il Politecnico di Milano è stato sviluppato un assessment per misurare la maturità digitale delle aziende, in modo da calare sulle singole realtà piani personalizzati di miglioramento. Il progetto è partito nel 2019 e ha già interessato oltre quaranta aziende: l’obiettivo per il 2022 è assisterne oltre cinquanta.

La formazione è considerata un nervo scoperto. Come si muove la vostra associazione?
Attraverso un progetto molto concreto, il Distretto Digitale, abbiamo messo in campo diverse azioni specifiche che vanno da attività di orientamento e formazione sullo sviluppo di competenze digitali, anche in ambito universitario, fino a progetti di innovazione con imprese e start up. In uno spazio dedicato, lo Human & Tecnology Training Center – di recente inaugurazione – i ragazzi affiancheranno alla formazione teorica l’approccio pratico, potendo fare training sugli stessi macchinari e tecnologie che troveranno nelle aziende. Il centro si propone di sviluppare competenze abilitanti in tutti i settori ed è aperto non solo a studenti, ma anche a chi desidera riqualificare la propria preparazione, magari dopo avere perso il lavoro, così come alle imprese. Siamo partiti con un primo percorso IFTS che offre a venticinque ragazzi la possibilità di formarsi come manutentori per l’Industria 4.0, e l’attività proseguirà con un programma dedicato agli alunni di tre ITS e con attività formative specifiche dedicate direttamente alle imprese. L’obiettivo è quello di fare transitare nel centro oltre cinquecento persone nel 2022.

A suo parere perché i Governi europei considerano sostenibilità e digitalizzazione i driver strategici per far ripartire le aziende nell’era post covid?
È il momento giusto, perché la pandemia ci ha mostrato quanto la digitalizzazione possa aiutare tutti noi ad avere un approccio più sostenibile. Per mettere a sistema le migliori esperienze abbiamo pensato a progetti concreti, come “Rigenera”, che riesce a far comunicare le filiere grazie a piattaforme digitali. La tecnologia in questo caso aiuta la circolarità: gli scarti di produzione, gli olii, i fanghi da risulta e in generale tutto ciò che un’impresa è costretta a smaltire possono diventare preziosi se trattati e poi conferiti ad altre realtà per essere riutilizzati in altri processi. Attualmente, sono oltre cento le imprese interessate a sviluppare questo tipo di progettualità, che si traduce in azioni con impatti concreti sulla sostenibilità economica e sociale.

Ritiene che gli obiettivi fissati dall’Unione Europea per il 2030 siano raggiungibili?
Non credo. Accelerare eccessivamente per raggiungere il traguardo potrebbe compromettere la sostenibilità economica delle imprese con un impatto sulla sostenibilità sociale. La transizione ecologica e la digitalizzazione sono percorsi complessi, che interessano il mondo: non è pensabile che l’Europa da sola fissi obiettivi che possano mettere in difficoltà la tenuta del suo sistema industriale, a vantaggio di chi si ritiene libero da impegni.


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