Cristian Fracassi racconta la storia di Easy-Covid19

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Quella di Easy-Covid19 è una storia da raccontare. Perché è la storia di un’idea nata nei giorni dell’epidemia di coronavirus e sviluppata al volo usando telefono, mail e un gruppo su Whatsapp. Parla di collaborazione. Di professionisti che, senza pensare al profitto economico, si sono adoperati per mettere a disposizione dei medici uno strumento che con tutta probabilità ha salvato e sta salvando tante, tantissime vite. Easy-Covid19 è il progetto che ha trasformato una maschera da snorkeling – Easybreath di Decathlon – che siamo abituati a vedere sulle spiagge di tutto il mondo in una maschera respiratoria d’emergenza. Grazie alla modifica di un componente, diventa adatta a sostituirsi alle maschere C-PAP per la terapia sub-intensiva, le quali, soprattutto nei momenti di massima diffusione dell’epidemia e conseguente pressione senza precedenti sui reparti ospedalieri, si sono dimostrate insufficienti per assistere l’alto numero di ricoverati.

L’intuizione di un medico

Come spesso accade, un risultato così importante (e forse impensabile), nasce da un’intuizione del momento. Cristian Fracassi è un ingegnere edile e architetto, fondatore e CEO di Isinnova, azienda bresciana formata da un team di giovani professionisti abituati a sviluppare le idee dei clienti concretizzandole in oggetti. All’inizio di marzo Fracassi e i suoi collaboratori vengono contattati dall’Ospedale di Chiari, in crisi per aver terminato le valvole Venturi, essenziali per i respiratori della terapia intensiva, ma impossibili da trovare attraverso i soliti canali di fornitura. «Era un pezzo semplice, replicabile con l’utilizzo di una stampante 3D» racconta Fracassi. «In poco tempo l’abbiamo ridisegnato e realizzato per poterlo testare in ospedale. Le valvole funzionavano, così i medici me ne hanno chieste altre. Tante. Impossibile farcela con la nostra stampante desktop e così ho contattato il Gruppo Lonati che, nonostante si apprestasse a fermare la produzione, ci ha messo a disposizione la sua stampante 3D professionale e due addetti che, in poche ore, ne hanno realizzate cento». La notizia circola veloce nei social e qualche giorno dopo lo contatta Renato Favero, ex primario dell’Ospedale di Gardone Valtrompia. «Aveva avuto un’idea, ma non sapeva se sarebbe stato possibile metterla in pratica. Ci siamo incontrati, ha fatto una lezione di anatomia al nostro team, al termine della quale ci ha mostrato la maschera della Decathlon, chiedendoci se sarebbe stato possibile modificarla per trasformarla in una maschera C-PAP, in grado di erogare ossigeno a pressione continua».

Valvole Venturi stampate in 3D con nylon 12 in polvere da Lonati su disegno del team di Isinnova

Il raccordo che non c’è

Fracassi inventa ciò che non esisteva. Un raccordo che consente di allacciare alla maschera il tubo di adduzione che proviene dal compressore dell’ossigeno, o dal muro dei reparti ospedalieri, e permette il flusso dalla maschera verso l’esterno, dove è presente all’estremità un’altra valvola, detta Peep. Quest’ultima crea delle perdite di carico che consentono all’alveolo polmonare di non collassare durante la ventilazione artificiale, non perdendo la sua naturale funzione. «L’adattamento è semplice» spiega Fracassi. «Basta rimuovere il boccaglio, posizionare il raccordo e collegare il tubo per l’ingresso dell’ossigeno e quello che porta alla valvola Peep. Altro piccolo accorgimento, abbiamo ruotato di 180 gradi la valvola di espulsione dell’acqua del mare, rendendola così una valvola antisoffocamento».

Ossigeno per i reparti

Il raccordo, realizzato con la stampante 3D, viene battezzato “Charlotte valve” e testato in ospedale. «Dopo il primo collaudo abbiamo capito che quella maschera poteva essere una soluzione praticabile» continua. Il primo grande vantaggio è poterla utilizzare per i malati che non necessitano di essere intubati: un particolare non da poco, dato che i posti di terapia intensiva diventano rari quanto preziosissimi per i casi più gravi. Il secondo è che la maschera può essere facilmente utilizzata nei reparti ordinari dell’ospedale, trasformando così ogni letto in una postazione di terapia subintensiva. La ragione si nasconde dietro a un tecnicismo: i reparti di terapia intensiva sono attrezzati per supportare flussi di ossigeno molto alti, dai 60 ai 100 litri al minuto, mentre nelle altre stanze gli agganci al muro a servizio di ogni letto erogano il gas a 15 litri al minuto. Questo spiega le difficoltà riscontrate nel ricavare nuovi posti di terapia intensiva, che richiedono invece la costruzione di nuovi padiglioni provvisti di impianti adeguati.

Disegni di Cristian Fracassi della Charlotte valve e del kit per trasformare la maschera Easybreath di Decathlon in un respiratore per terapia subintensiva

Una soluzione geniale

In una situazione come quella dell’ospedale di Brescia, con tempi di attesa per entrare in reparto che in marzo superano i tre giorni, il dispositivo contribuisce in modo decisivo a diminuire la pressione sul personale sanitario. «In quei momenti ho visto medici e infermieri inventarsi qualunque soluzione di fortuna pur di salvare vite» racconta Fracassi. «In mancanza di dispositivi il personale ospedaliero si arrangiava con qualunque mezzo, tagliando pezzi di plastica con il bisturi e fissandoli con lo scotch». Oltre a salvargli la vita, la maschera ha altri vantaggi per il paziente. Dopo giorni passati con il casco per la respirazione che abbiamo imparato tutti a conoscere guardando i telegiornali, i pazienti sono a pezzi. «Il rumore continuo, l’effetto claustrofobico, la scomodità e l’impossibilità di sentire altro suono se non quello dell’aria pompata all’interno sono davvero sfiancanti» spiega Fracassi. «La maschera, avendo gli attacchi posti sopra la testa, permette al malato di girarsi e di appoggiarsi al cuscino, mantiene libera la bocca e quindi agevola la comunicazione con il medico che è in grado di leggere il labiale. Si riesce anche a usare il telefono: un particolare non da poco, dato che uno degli effetti collaterali più tragici di questo virus è l’isolamento e la solitudine del paziente».

All’inizio dell’avventura ne abbiamo sottostimato la portata: le richieste arrivavano e non solo dall’Italia. Erano tante, troppe. Per questo abbiamo deciso di condividere i file della Charlotte valveCristian Fracassi

La risposta dei maker

La notizia di questa invenzione diventa improvvisamente virale e la maschera modificata l’oggetto del desiderio degli ospedali. Iniziano ad arrivare richieste, sempre più numerose. «Decathlon, da subito, ha dato disponibilità a collaborare, fornendoci il disegno CAD della maschera, per consentirci di studiare le modifiche, e una fornitura gratuita di cento maschere» continua Fracassi. «Ma le richieste erano tante, troppe, e non solo dall’Italia. Per questo abbiamo deciso di condividere i file (.stl, .dwg e .step) e le istruzioni per la realizzazione del raccordo mediante stampa 3D. A differenza della valvola Venturi riprodotta per l’ospedale di Chiari, la relativa facilità di realizzazione avrebbe permesso a ogni maker di contribuire al progetto».
L’intento di lavorare pro bono è messo in chiaro fin da subito. Fracassi decide di brevettare in urgenza la Charlotte valve per impedire speculazioni sul prezzo del componente, mantenendo l’uso libero del progetto per favorirne la massima diffusione possibile. I numeri crescono rapidamente: all’inizio di aprile in Italia sono già operative nei reparti oltre 2.000 maschere. «Decathlon ha dichiarato di volerne regalare 10.000 alla sanità italiana e solo la regione Lazio ce ne ha chieste 8.000» sottolinea. Si scatena una corsa fatta di buona volontà e voglia di mettersi a disposizione. E se qualcuno, anche qualche grande azienda, pensa di entrare in questo giro virtuoso stampando qualche decina di pezzi per giustificare un comunicato stampa, poco male. L’obiettivo è raggiunto.

Isinnova, attraverso la rete dei maker, ha raccolto centinaia di Charlotte valve stampate in 3D

La scelta del materiale plastico

Una delle criticità affrontate nello sviluppo della Charlotte valve è la scelta del materiale. «Sulla pagina web del progetto abbiamo suggerito il PLA in filamento perché semplice da reperire e lavorare per qualunque maker, garantisce una corretta rigidità al pezzo ed è idoneo al contatto» spiega Cristian Fracassi di Isinnova. «Per questa applicazione, il PLA non crea problemi di ritiro, ma in fase di progettazione si è dovuto tener conto della difficoltà a gestire le tolleranze durante la stampa 3D: pertanto, ho ridisegnando il raccordo fino a trovare il giusto compromesso per poterlo condividere con i maker». La superficie dei pezzi stampati in 3D non è perfettamente liscia, ma non crea particolari problemi. «Le prove hanno evidenziato che la rugosità del materiale comportava una perdita di efficienza durante il passaggio dell’ossigeno, quantificata nell’8%. Un limite assolutamente accettabile viste le esigenze di utilizzo» continua. «Anche il pericolo igienico è minimo, perché alle estremità del raccordo vengono montati dei filtri». Oltre ai pezzi in PLA, la rete di Fracassi ha raccolto raccordi stampati con poliammide 12 in polvere, lo stesso polimero delle prime valvole Venturi realizzate da Lonati per l’Ospedale di Chiari.

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Arriva lo stampo a iniezione

Dopo le prime settimane di lavoro sostenuto dalla rete dei maker, si verifica un vero e proprio salto di qualità, con il passaggio alla produzione di massa mediante stampaggio a iniezione, soluzione possibile grazie all’entrata in gioco del Gruppo Oldrati. Ripercorrendo la storia degli ultimi mesi, Manuel Oldrati, CEO dell’omonima Holding, racconta: «Il problema della salute, già in dicembre, aveva interessato l’area bergamasca, dove si erano registrati diversi focolai da meningococco. L’infezione ha colpito un nostro collaboratore, scatenando una grande preoccupazione per l’incolumità degli 800 dipendenti italiani del gruppo. In urgenza, abbiamo quindi approntato e avviato una procedura di sicurezza». Le prime segnalazioni della diffusione del Covid-19 in Cina mettono subito in allarme Oldrati che – già sensibilizzato dall’importanza di garantire la salute dei lavoratori – anticipa di una settimana la chiusura dei propri stabilimenti rispetto al lockdown imposto dalle Autorità. «La situazione continuava ad aggravarsi e, viste le enormi difficoltà a reperire mascherine protettive, abbiamo cercato di trovare delle soluzioni utili, ad esempio abbiamo valutato la possibilità di riconvertire alcune linee della sede slovacca, dove realizziamo filtri in tessuto non tessuto, verso la produzione di dispositivi di protezione individuale (DIP)». L’ipotesi, però, si rivela inattuabile per l’impossibilità di adeguamento delle macchine. «Perché non provare ad adattare la maschera da snorkeling full face che già produciamo? Ha proposto uno dei miei collaboratori» ricorda Oldrati. «Il progetto di adattamento era già iniziato all’interno del nostro Gruppo, ma il perfezionamento di tale soluzione avrebbe richiesto diverso tempo e – nemmeno a dirlo – proprio negli stessi giorni, la Charlotte valve veniva lanciata da Isinnova e diventava un caso nazionale».

Manuel Oldrati (a destra) e il suo team sono riusciti a realizzare lo stampo della Charlotte valve in sei giorni lavorando 24 ore su 24

Manuel Oldrati conosce bene la maschera da sub, in qualità di produttore per l’Europa, e attraverso conoscenze comuni, entra in contatto con Cristian Fracassi. Scatta subito l’intesa umana che porta all’immediato scambio di informazioni e know-how per affinare il progetto, rendendo prima di tutto il dispositivo più sicuro e poi disponibile a un maggior numero di strutture sanitarie, visto l’aumento della domanda su scala nazionale. È in questo frangente che Oldrati offre a Fracassi la sua disponibilità per sopperire alle criticità dei pezzi stampati in 3D, realizzando uno stampo industriale e quindi avviando la produzione in serie della Charlotte valve.

Aumenta la sicurezza

Con il supporto di Oldrati, in puro spirito di co-engineering, Fracassi apporta alcune modifiche al disegno originale del raccordo, che viene riprogettato in vista della produzione mediante stampaggio a iniezione. Oldrati convoca progettisti e operatori dell’attrezzeria che desiderino partecipare all’iniziativa: le aziende del gruppo, infatti, sono ferme, bloccate dal Decreto del 22 marzo secondo il quale la lavorazione della gomma non rientra tra le filiere ritenute necessarie. «Data l’urgenza, il mio team si è impegnato al massimo lavorando 24 ore su 24, riuscendo così a ultimare lo stampo in sei giorni» continua Oldrati. «È un attrezzo in acciaio, pensato per la produzione di grandi numeri di pezzi seppure costruito introducendo delle semplificazioni legate al movimento dei carrelli e per evitare il trattamento di tempra, dal momento che i nostri fornitori abituali non erano operativi. Nonostante queste modifiche allunghino il tempo ciclo, riusciamo a stampare ogni giorno 1.500 pezzi». Anche il materiale viene sostituito e dal PLA in filamento utilizzato dai maker si passa al polipropilene, già a magazzino da Oldrati che lo impiega nella produzione di svariati componenti. Ma l’impegno del gruppo bergamasco si spinge oltre. Vengono realizzati stampi per la produzione di valvole, raccordi e guarnizioni in silicone trasparente – formulato appositamente dai chimici interni – e la Charlotte valve diventa parte di un kit, chiamato Easy-Covid19, che permette la trasformazione della maschera da snorkeling in un respiratore d’emergenza. I primi esemplari realizzati con processo industriale vengono testati da diversi medici, confermando l’evidenza oggettiva e clinica del funzionamento.

Le Charlotte valve e le valvole Venturi stampate in 3D, così come il kit Easy-Covid19 stampato a iniezione sono stati testati in ospedale su persone sane dimostrando la piena funzionalità

«La rete dei maker ha fatto un gran lavoro, ma purtroppo la disomogeneità dei pezzi – di diversa provenienza, fattura e materiale – potrebbe compromettere la sicurezza del dispositivo, pertanto insieme a Fracassi abbiamo deciso di sostituire tutti i raccordi stampati in 3D consegnati alle strutture sanitarie. I pezzi stampati a iniezione assicurano, infatti, una maggiore precisione dimensionale e ripetibilità qualitativa, alle quali si aggiunge il vantaggio di un materiale idoneo all’impiego» spiega. Per far fronte all’emergenza, Oldrati decide di donare 10.000 Charlotte valve e 2.000 kit Easy-Covid19, che oggi sono stati consegnati a oltre 40 strutture sanitarie in Italia e all’estero.

Stiamo lavorando per ottenere la certificazione del kit Easy-Covid19 e sviluppare una procedura di sanificazione che permetta il riutilizzo delle maschereManuel Oldrati

Un altro passo avanti

Fracassi e Oldrati sembrano davvero instancabili. Nel momento in cui scriviamo stanno lavorando per ottenere la certificazione del kit Easy-Covid19 e sviluppare una procedura di sanificazione standardizzata che permetta il riutilizzo delle maschere. «Nelle strutture sanitarie vengono impiegati diversi sistemi di sterilizzazione, alcuni dei quali potrebbero danneggiare le parti in gomma e in silicone. È quindi necessario fornire ai medici maggiori informazioni a riguardo» precisa Oldrati. «La sperimentazione è ancora in corso e, in attesa dei risultati, ci stiamo attivando per la sostituzione delle parti più vulnerabili come le cinghie in gomma» conclude.

Le Charlotte valve e gli Easy-Covid19 stampati a iniezione da Oldrati sono stati consegnati a oltre 40 strutture sanitarie in Italia e all’estero

Aprire nuove strade

Il lavoro sta procedendo senza sosta. Ognuno fa la sua parte, senza chiedere niente in cambio. Ma il piccolo torrente nato in terra bresciana si è ingrossato fino a diventare un fiume in piena: altre aziende offrono il loro contributo. Gli stampi, con minime differenze rispetto all’originale, diventano almeno cinque, uno dei quali realizzato addirittura da Ferrari. I maker continuano a lavorare per risolvere specifiche esigenze locali e la Charlotte valve arriva ben presto a undici differenti versioni. Nella prima settimana di aprile si contano oltre due milioni di download del file da tutto il mondo. «Non so nemmeno se esistano tante maschere per soddisfare una simile richiesta» sottolinea Fracassi. E il percorso non finirà nemmeno dopo che l’epidemia avrà allentato la sua morsa sull’Italia. «Stiamo pensando a soluzioni ancora più economiche, adatte ai paesi più poveri, dove potrebbe essere necessario usare le maschere modificate collegandole con materiali di fortuna o di recupero. Certamente all’inizio di questa avventura avevamo sottostimato quella che sarebbe stata la sua portata» conclude.
A pandemia ancora in corso, non pare priorità di nessuno intestarsi particolari meriti. Quando tutto sarà finito, forse qualcuno riuscirà a stimare quante vite questo progetto avrà contribuito a salvare. E si parlerà della Charlotte valve, che porta il nome della moglie del suo inventore. L’unico vezzo in questa storia in cui per una volta le regole del profitto si sono piegate a quelle della solidarietà.

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