Cattura della CO2, una missione possibile con Climeworks

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Completamente alimentato con energia geotermica, Orca filtra 4.000 tonnellate di CO2 all’anno (Foto Climeworks)

Dall’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite emerge che per riuscire a raggiungere gli obiettivi climatici mondiali delineati dall’Accordo di Parigi è indispensabile non solo ridurre drasticamente le emissioni antropiche, ma anche rimuovere in modo permanente l’anidride carbonica (CO2) atmosferica in eccesso. Sviluppare impianti su scala industriale in questo campo ha il vantaggio di generare un circolo virtuoso attraverso i principi dell’economia circolare, con effetti positivi su crescita e sviluppo. La principale difficoltà che qualsiasi metodo per catturare e riutilizzare la CO2 deve però affrontare è il fatto che la molecola è la più stabile fra i composti del carbonio, per cui separarla da altri gas, scinderne i legami o legarla a qualsiasi altra sostanza ha un elevato costo energetico. Non esiste un’unica soluzione per raggiungere l’obiettivo e la ricerca è allo sviluppo di percorsi alternativi. Uno di questi è stato sviluppato dalla start up svizzera Climeworks, che lo scorso settembre ha inaugurato Orca, il più grande impianto del mondo in grado di filtrare la CO2 dall’atmosfera e di immagazzinarla in maniera definitiva nel sottosuolo.

Climeworks: dall’idea al pilota

Climeworks è stata fondata nel 2009 come spin-off del Politecnico Federale (ETH) di Zurigo da Christoph Gebald e Jan Wurzbacher, compagni di studio in ingegneria meccanica presso l’ateneo svizzero dove, nell’ambito del dottorato di ricerca, hanno acquisito conoscenze nella chimica-fisica della CO2. Nel 2011, grazie all’arrivo dei primi capitali dagli investitori, i ricercatori sono riusciti a sviluppare un prototipo di impianto caratterizzato da una struttura modulare, che un continuo re-engineering ha trasformato nel 2014 nell’innovativa tecnologia a moduli che viene proposta anche attualmente. La tecnologia messa a punto in anni di ricerca ha un’efficienza del 90%: ovvero, per ogni cento tonnellate di anidride carbonica catturata, solo dieci tonnellate vengono riemesse nell’atmosfera. Il carbonio così ottenuto può essere immagazzinato nel sottosuolo (un processo noto come cattura e stoccaggio del carbonio o CCS) o trasformato in materiali utili (cattura e utilizzo del carbonio o CCU).

I fondatori di Climeworks Christoph Gebald (a sinistra) e Jan Wurzbacher (a destra) vicino all’impianto per la cattura e conversione della CO2 in fertilizzanti installato in Svizzera (Foto Julia Dunlop)

Nel 2017 è stato avviato il primo impianto commerciale capace di catturare anidride carbonica e trasformarla in fertilizzante per colture in serra. Installato sul tetto dell’inceneritore di Hinwil (Cantone di Zurigo), è costituito da 18 moduli che possono aspirare un totale di 50 tonnellate di CO2 all’anno, il doppio rispetto a un ettaro di bosco. Nello stesso anno, presso la centrale geotermica di Hellisheidi (Islanda) è stato testato Arctic Fox, un pilota in grado di catturare 50 tonnellate all’anno di CO2 e di stoccarla in modo permanente e sicuro nelle rocce. L’impianto è stato realizzato in collaborazione con l’islandese Carbfix, una partnership accademico-industriale che ha sviluppato un nuovo approccio alla cattura della CO2 in acqua e alla sua iniezione nei basalti sotterranei.

Orca, 4.000 tonnellate di CO2 all’anno

Forte dell’esperienza acquisita con Arctic Fox, nel maggio 2020, Climeworks è passata alla scala industriale con Orca. L’impianto, completamente alimentato con energia geotermica, potrà filtrare fino a 4.000 tonnellate di CO2 all’anno, l’equivalente di quanto emettono circa 600 persone in Europa. La scelta dell’Islanda non è casuale. Non solo perché il paese è all’avanguardia nello sfruttamento dell’energia geotermica, ma anche perché l’utilizzo delle rinnovabili è un prerequisito indispensabile per gli impianti per la cattura di CO2 che – visto l’elevato consumo energetico necessario per il funzionamento – hanno senso solo se generano meno gas serra di quelli rimossi dall’atmosfera. La tecnologia costruttiva si basa su una logica modulare, che prevede l’installazione di unità di raccolta impilabili, delle dimensioni di un container, potenti, compatte e con un ingombro minimo. Accorgimento che ha reso possibile la realizzazione dell’impianto in soli 15 mesi. Rispetto alla tecnologia della generazione precedente, l’utilizzo dell’acciaio nei collettori è stato ridotto di circa la metà per unità di produzione.

Meccanismo del processo di cattura diretta della CO2 sviluppato da Climeworks (Foto Climeworks)

Come funziona l’impianto

Il processo messo a punto da Climeworks prevede due fasi. Nella prima, l’aria viene aspirata da una ventola all’interno di un collettore, dove la CO2 viene catturata e fissata da uno speciale filtro in materiale adsorbente selettivo, ossia in grado di accumulare una sostanza gassosa sulla sua superficie attraverso un processo chimico-fisico. Quando il filtro è saturo, viene riscaldato a 100 °C utilizzando il calore di scarto prodotto dal vicino impianto geotermico, provocando il rilascio delle molecole di anidride carbonica. A questo punto, l’aria depurata torna nell’atmosfera, mentre l’anidride carbonica concentrata viene portata sotto la superficie terrestre, dove i processi naturali la mineralizzano senza lasciare tracce. Il trasporto a 2.000 metri sottoterra è garantito dall’acqua della centrale elettrica di Hellisheidi che scorre attraverso l’impianto. Quando si trovano in profondità, le molecole di CO2 reagiscono naturalmente con la roccia basaltica e attivano un processo di mineralizzazione: in pratica, vengono convertite in carbonati attraverso un processo della durata di diversi anni, e quindi immagazzinate in modo permanente nel sottosuolo. L’acqua, invece, ritorna nel ciclo della centrale geotermica.

Schema del processo di cattura diretta della CO2 e della sua mineralizzazione nelle rocce (Foto Climeworks)

La mineralizzazione della CO2

La tecnologia sviluppata da Carbfix imita e accelera i processi naturali di mineralizzazione dell’anidride carbonica (CO2) nelle rocce. Il meccanismo funziona se vengono soddisfatti tre requisiti: presenza di rocce favorevoli, acqua e una fonte di CO2. La presenza dell’anidride carbonica catturata dall’atmosfera acidifica l’acqua in uscita dall’impianto che, una volta iniettata nel sottosuolo, reagisce con formazioni rocciose basaltiche provocando il rilascio di cationi come calcio, magnesio e ferro. Nel tempo, questi elementi si combinano con la CO2 disciolta e formano carbonati che si depositano negli interstizi e nei pori delle rocce. I carbonati sono stabili per migliaia di anni e quindi possono essere considerati stoccati in modo permanente. La velocità del processo è sorprendente. Nel progetto pilota CarbFix è stato determinato che almeno il 95% della CO2 iniettata si mineralizza entro due anni, molto più velocemente di quanto si pensasse.

Roccia basaltica con CO2 mineralizzata attraverso il processo Carbfix (Foto Climeworks)

Obiettivi ben precisi

Grazie al successo riscosso della tecnologia in svariati ambiti, Climeworks ha raccolto una discreta quantità di risorse finanziarie. Nel 2020 sono arrivati 100 milioni di franchi svizzeri da investitori privati – si tratta del più ingente investimento mai effettuato nel settore della cattura diretta della CO2 – a conferma del notevole interesse che ruota intorno al processo. I fondi consentiranno un ulteriore sviluppo e l’ottimizzazione della tecnologia per renderla accessibile a singoli individui, aziende e organizzazioni. La start up svizzera si è imposta una roadmap di crescita molto dettagliata e persegue un obiettivo di costo a lungo termine di 100 dollari per tonnellata di CO2. Non solo. «La nostra visione è di sensibilizzare un miliardo di persone alla rimozione dell’anidride carbonica dall’aria» dichiara Christoph Gebald, co-fondatore e co-CEO di Climeworks.


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