Industria: parola d’ordine, “resilienza”

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businessUn’analisi approfondita del più lungo periodo di crisi affrontato dal settore industriale italiano negli ultimi decenni. Con spazio a un moderato ottimismo, dovuto certo all’allentarsi della morsa più dura della contrazione ma, soprattutto, dalla “resilienza” sviluppata dalle aziende italiane, almeno quelle che sono riuscite a far fronte alla parte più dura della recessione. È quanto emerge dall’edizione 2014 del “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi”, pubblicato a fine 2014 da Istat e messo a disposizione per tastare il polso dell’intero comparto manifatturiero italiano.

Resilienza, dunque
Proprio quella che gli psicologi definiscono come la “capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici e di riorganizzarsi positivamente dinanzi alle difficoltà”, è uno degli aspetti sottolineati dallo studio, che forse per la prima volta in modo così completo ha messo in luce andamenti e strategie attuate in una fase recessiva che, pur con una progressiva attenuazione osservata a partire dagli ultimi mesi del 2013, non è ancora terminata.

A questo link le interviste a Paolo Arcelli, responsabile divisione Business Insight di Plastic Consult, e Mario Maggiani, direttore di Assocomaplast, sul mercato italiano delle materie plastiche
Le due fasi più dure della crisi (2008-2009 e 2011-2013) hanno messo in luce anche grandi differenze tra i principali Paesi industriali europei. Mentre la Germania, infatti, è sostanzialmente la sola ad aver completato un vero e proprio recupero rispetto ai livelli produttivi precedenti il 2008, Italia e Spagna hanno perso nel frattempo un quarto e un terzo del prodotto industriale, con Francia e Regno Unito sostanzialmente a metà strada tra questi poli opposti.

A galla con l’export
Tornando all’Italia, un altro degli aspetti maggiormente evidenti riguarda lo squilibrio tra la domanda interna, crollata, e l’export che ha permesso di tenere a galla molte aziende e altrettanti settori. A partire dal 2010, infatti, il 51% delle imprese industriali ha aumentato il fatturato totale e di queste quasi i due terzi hanno aumentato le vendite sul mercato estero, che ha rappresentato un modello vincente soprattutto per la pelletteria, l’industria alimentare e delle bevande, la fabbricazione di macchinari e attrezzature. All’opposto, le più forti contrazioni di fatturato si sono evidenziate nel settore del mobile, nell’industria del legno e in quella dell’abbigliamento. In generale, dal 2010 si registra ovunque una forte propensione all’export, misurata come la percentuale di fatturato sul totale. Chi, pur non spingendo sulle vendite oltreconfine è però riuscito comunque a crescere (o non decrescere), lo ha fatto ricorrendo sempre più spesso a strategie di ripiegamento, puntando cioè a nicchie particolari di mercato interno per compensare il calo nelle esportazioni.

Strategie, appunto
Per contrastare la crisi, le aziende manifatturiere hanno puntato soprattutto sulle proprie risorse interne a difesa della competitività, operando per ridurre i costi di produzione, migliorare la gamma dei prodotti offerti e la loro qualità, contenendo prezzi e margini di profitto. Nel proprio approccio con l’esterno, invece si è puntato al rafforzamento delle politiche di commercializzazione sia per l’Italia, sia per l’estero.
In ottica settoriale, le strategie trainanti del sistema, definite come quelle che tendono a spostare le imprese manifatturiere verso gruppi a performance più elevata, risultano essere state soprattutto gli investimenti in formazione e il raggiungimento di un elevato grado di innovazione di prodotto e di processo. Nel primo caso, si sono distinti soprattutto i comparti del polo chimico, della gomma-plastica e quello della fabbricazione di macchinari e attrezzature. Puntano invece sul secondo aspetto il settore del mobile, quello dell’abbigliamento e le industrie del legno.


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