Realizzare pannelli per l’industria dell’arredamento in polistirene riciclato è stata la scelta strategica di Plastiz. Un prodotto che sorprende per le sue caratteristiche tecniche, avvicinandosi per rigidità e durezza alla pietra e al gres. Peculiarità che lo rendono idoneo a essere lavorato con i comuni macchinari utilizzati in falegnameria, o per la lavorazione dei laterizi
di Carolina Parma
Trasformare il rifiuto in un oggetto di architettura o di design. L’idea è venuta nel 2013 al designer olandese Dave Hakkens che, con il suo progetto di riciclo open-source Precious Plastic, ha acceso una scintilla collettiva in tutto il mondo, tanto che ciò che inizialmente era un lavoro per una tesi di laurea si è poi evoluto in una comunità globale, fisica e virtuale, animata da un obiettivo comune: reinventare il destino della plastica usata.

Partendo da questa visione pionieristica, Plastiz, piccola realtà torinese nata nel 2021 che oggi conta 4 soci con un’età media di 40 anni e tre dipendenti, ha deciso di industrializzare il processo di Hakkens, spingendosi oltre la creazione di piccoli oggetti domestici per esplorare le potenzialità della plastica riciclata nel campo del design e dell’architettura. La filosofia è chiara: dare una seconda vita a ciò che altrimenti sarebbe destinato a intasare le discariche.
«Ci posizioniamo a valle del processo di smaltimento acquistando materia prima seconda certificata proveniente da scarti post consumo e da eccedenze della produzione industriale, anche se in alcuni casi ci riforniamo direttamente da smaltitori che effettuano la vendita diretta», precisa Luca Pascarella, uno dei soci della start up piemontese.
Partita sperimentando diversi polimeri, l’azienda si è poi focalizzata sul polistirene di seconda generazione, con il quale realizza pannelli destinati all’industria dell’arredamento. Il polimero riciclato, una volta lavorato attraverso un processo di termocompressione, sorprende per le sue caratteristiche tecniche, avvicinandosi per rigidità e durezza alla pietra e al gres. Peculiarità che lo rendono idoneo a essere lavorato con i comuni macchinari utilizzati in falegnameria o per la lavorazione dei laterizi, aprendo un ampio ventaglio di possibilità creative.
«Il nostro materiale può essere lucidato, incollato e verniciato, offrendo grande versatilità per applicazioni nel design d’interni», aggiunge Pascarella. «Ma il vero punto di forza risiede nella sua anima green: il materiale è infatti 100% riciclato e 100% riciclabile ed essendo monocomponente e prodotto unicamente attraverso termocompressione, è privo di additivi chimici, garantendo una purezza che ne facilita il futuro riutilizzo».
Innovazione e creatività

Per dare forma a questa materia prima “rinata”, l’azienda ha intrapreso un percorso di innovazione che potremmo definire self made.
«Abbiamo infatti progettato, costruito e finanziato interamente una macchina termoformatrice su misura, un vero e proprio fiore all’occhiello della nostra produzione, nato grazie alla competenza tecnica e alla creatività del nostro team, che ci ha permesso di costruire un macchinario così specifico senza ricorrere a collaborazioni esterne. Una scelta dettata anche dalla necessità di contenere i costi iniziali», dice Luca Pascarella.
Attualmente la capacità produttiva dell’azienda si attesta sui 400 pannelli annui, con circa 200 unità vendute nel solo 2024. Prodotti realizzati utilizzando 15 tonnellate di plastica riciclata.
«Ogni nostro pannello da 20 mm pesa circa 70 chili, una caratteristica che va controcorrente rispetto all’industria plastica tradizionale, orientata alla leggerezza», spiega il manager.
«La nostra filosofia aziendale, infatti, è quella di immagazzinare quanta più plastica riciclata possibile all’interno dei pannelli, una scelta guidata sia dall’obiettivo di massimizzare il riutilizzo di materiale di seconda generazione sia da necessità tecniche legate alle applicazioni finali del nostro prodotto, destinato a diventare top per cucine o rivestimenti che richiedono una certa densità».
Personalizzazione

Un’altra caratteristica che contraddistingue i pannelli di Plastiz da altri simili presenti sul mercato è il loro processo produttivo che permette di ottenere texture personalizzabili, definite da scelte estetiche interne o su specifica richiesta del cliente. «La maggior parte delle aziende che produce oggetti in plastica lo fa per estrusione o stampaggio a iniezione», illustra Luca Pascarella. «Processi che non consentono di customizzare la superficie del materiale, visto che mischiando colori per iniezione o per estrusione si ottiene un colore terzo. Invece noi riusciamo a definire granello per granello la texturizzazione del pannello dando un’iconicità e un’estetica uniche al prodotto. Anche il processo di stesura è diverso rispetto a quello usato in altre aziende che normalmente utilizzano silos, coclea o aspiratori per far viaggiare il granulo all’interno dei loro impianti. Noi, invece, la stesura dei pannelli la facciamo a mano».
Una scelta artigianale che però pesa sui tempi di lavorazione e sul costo finale del prodotto. Per questo l’azienda sta lavorando per ottimizzare i tempi di produzione, aumentare la quantità di pannelli realizzati e, di conseguenza, abbattere i costi di produzione. Obiettivo: diventare più competitivi sul mercato.
«Per ora i nostri principali clienti sono stati studi di architettura alla ricerca di materiali innovativi e sostenibili, produttori di arredo desiderosi di integrare elementi unici nei loro design, privati attenti all’impatto ambientale delle loro scelte abitative e artigiani con la manualità e la creatività per trasformare i pannelli semilavorati in oggetti d’arredo unici», incalza Pascarella.
«La sinergia avviata con Izmade, studio di architettura torinese specializzato in mobili su misura e arredamento di interni, ha rappresentato un’importante fucina di idee e un banco di prova per comprendere al meglio le potenzialità del materiale e sviluppare tecniche di lavorazione ottimali. E, in un certo senso, i nostri primi clienti sono stati proprio i colleghi architetti, testimoniando la fiducia nel potenziale del prodotto».
Sfide e obiettivi

Le potenzialità di crescita su altri mercati e settori restano più che buone, anche se non mancano le sfide.
«La percezione del consumatore finale del materiale riciclato rappresenta ancora un ostacolo culturale da superare», afferma Luca Pascarella. «Perché fa fatica a riporre la stessa fiducia in un prodotto derivato da rifiuti rispetto a materiali più tradizionali come il gres porcellanato o il legno, sollevando dubbi sulla sua resistenza e durabilità. Questo scetticismo si traduce in una certa difficoltà nel trovare rivenditori disposti a “metterci la faccia” su un prodotto come il nostro».
Un’altra criticità è la reperibilità delle materie prime, soprattutto per quanto riguarda colori specifici come il bianco, molto richiesto nel settore del design e dei top per cucine o bagni «e nella plastica riciclata difficilmente si trova un bianco puro come ci si aspetta. In genere è un tipo di materiale che ha delle particolarità estetiche che lo caratterizzano e questo è uno scoglio importante da superare», aggiunge il manager.
Nonostante le sfide, lo sguardo del management dell’azienda torinese è proiettato al futuro. Gli obiettivi principali sono l’implementazione di strategie per snellire e automatizzare il processo produttivo e, per raggiungerle, l’azienda si dichiara aperta alla possibilità di collaborazioni con investitori esterni o business angel. Parallelamente si sta lavorando attivamente su nuove strategie di marketing, con il supporto di consulenti esterni, per far conoscere il prodotto a un pubblico più ampio e comunicarne correttamente il valore.
«Fino a oggi, le vendite sono state trainate principalmente da una clientela già sensibile ai temi della sostenibilità, ma ora abbiamo la necessità di intercettare anche chi non ha una pregressa conoscenza del materiale», chiosa Luca Pascarella. Del resto, la trasformazione dei rifiuti plastici in un’opportunità concreta per il design e l’architettura è una sfida ambiziosa, ma ricca di potenzialità da valorizzare.
(Articolo tratto dalla rivista Plastix di ottobre 2025)



