La plastica gioiosa

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Uscire da una logica seriale per addomesticare la materia plastica e trasformarla in creature vive”. Così Jacopo Foggini racconta il suo lavoro e le sue opere

In un catarifrangente per auto è racchiuso il nucleo di un pianeta luminoso; in uno scarto di materiale plastico, una medusa coloratissima. Jacopo Foggini realizza da quasi vent’anni creature di metacrilato e policarbonato completamente estranee alla logica seriale della produzione industriale per forme, colori, dimensioni. Pezzi unici di ispirazione biomorfa, nei quali la materia plastica acquista la dignità di un materiale prezioso e rivela la sua origine “naturale” grazie alla passione di uno sperimentatore instancabile.

Colpo di fulmine

«Nasco da una famiglia di persone che si occupavano di materie plastiche, mia madre invece era una scultrice: sono la sintesi di questi personaggi così diversi – comincia il suo racconto Jacopo Foggini –. Quando ero molto piccolo ho assistito a un cambio stampo e ne sono stato affascinato. Negli anni ho incominciato a chiedermi se questo materiale che usciva dalla macchina a iniezione avrebbe potuto essere “addomesticato” in una maniera diversa, non costretto in uno stampo ma manipolabile per dargli una forma, comporlo in un’installazione e trasformarlo in un oggetto che potesse essere propriamente una lampada, in ogni caso un pezzo unico per arrivare poi a delle cose più libere, più vicine al mondo dell’arte. Mi muovo in quel territorio di confine tra l’arte e il design senza farmi troppi problemi e troppi pensieri, lascio che siano gli altri a dare definizioni del mio lavoro. È un grande gioco che mi sono inventato e che ho avuto la fortuna di poter inventare perché provenivo dal mondo della produzione: normalmente, per un architetto o un designer sarebbe molto più difficile riuscire a far fermare una linea produttiva per effettuare le prove che a me hanno permesso di capire cosa potevo realizzare e come».

“Aurora Boreale”, installazione c/o San Paolo Converso, Milano (2007)
“Aurora Boreale”, installazione c/o San Paolo Converso, Milano (2007)

Materia trasparente

«I materiali plastici sono in continuo mutamento, in continua crescita: non ho in nessun modo il timore che a un certo punto si esauriscano le possibilità di realizzare degli oggetti sempre diversi. Uso soprattutto il policarbonato e il metacrilato; per tanti anni ho lavorato con il metacrilato e adesso ho incominciato a lavorare con il policarbonato, un materiale più complesso e meno duttile ma con caratteristiche tecniche completamente diverse, è molto più resistente. Il metacrilato ha prestazioni più brillanti sul piano della trasparenza, ma una volta miscelato con masterbatch e pigmenti il policarbonato non mostra differenze. Anche a livello di durata è notevolmente superiore, ma questo non è importante, perché anche in un quadro, nell’arco dei decenni, i colori si alterano. Questo cambiamento non è per forza negativo, anzi, può darsi che le opere acquistino un diverso fascino, e così può essere anche con materiali plastici, che non arrivano da un pianeta lontano ma dal nostro: è soltanto l’uso scellerato dell’uomo che li ha fatti diventare materiali inquinanti.

“sYmbols”, Salone del Mobile, Oratorio della Passione della Basilica di Sant’Ambrogio, Milano (2012)
“sYmbols”, Salone del Mobile, Oratorio della Passione della Basilica di Sant’Ambrogio, Milano (2012)

Anche per questa ragione utilizzo quasi sempre polimeri rigenerati, tranne che in presenza di specifiche particolari (per esempio, la resistenza al fuoco richiesta dalla collocazione in luoghi pubblici): me li fornisce MGM, un’azienda molto speciale che si occupa soprattutto di metacrilato e policarbonato con una politica sostenibile estremamente coscienziosa. I masterbatch sono realizzati su misura per me da Master Italiana, i macchinari che utilizzo sono sostanzialmente degli estrusori industriali modificati. La lavorazione avviene a caldo, intorno a 200 °C per il metacrilato, a 240 °C per il policarbonato: i materiali, sotto forma di filo, di lingua, di nastro a seconda della punta che viene montata sull’ugello, vengono “addomesticati” con le mani, appoggiati a un oggetto per dargli una forma, modellati usando “trucchi” sempre nuovi, suggeriti dalla pratica quotidiana che fa nascere sempre nuove idee».

Personal workshop 2003
Personal workshop 2003

Metamorfosi

«L’ispirazione è stata per molto tempo legata al mondo degli abissi e poi, in generale, alle forme naturali, dalle quali sono sempre stato molto affascinato e che sono infinite. La trasparenza e il colore mi fanno venir voglia di realizzare oggetti molto grandi, anche per dimostrare che le plastiche possono essere usate per creazioni gioiose e preziose, come e meglio del vetro, che ha notevoli svantaggi in termini di peso, di complessità nella lavorazione. Le persone che fruiscono i miei oggetti restano piacevolmente sorprese quando scoprono che sono di plastica, che normalmente non viene usata per oggetti preziosi: ciò che mi sono inventato è proprio questo, cercare di dare un’anima diversa a un materiale che è stato legato solo a un ambito industriale.

Un altro aspetto affascinante dei materiali che utilizzo è il fatto che siano stati altro prima: un casco, dei giocattoli, qualcosa che viene triturato e poi mescolato a del materiale vergine o distillato in tanti modi. Il riciclo dei materiali è legato al risparmio, al riutilizzo degli scarti di lavorazione, ad argomentazioni molto più pratiche che poetiche, completamente condivisibili perché ci aiutano a inquinare un po’ meno. Questo tuttavia non intacca la forza e la magia che si sprigiona dal pensare che quello che ora è un oggetto luminoso a forma di medusa sia stato qualcosa di completamente diverso: i bambini sono i primi a coglierlo e a vedere questa metamorfosi quando gliene parlo».

“Ofigea”, installazione GreenenergyDesign by Interni, Università degli Studi di Milano (2008)
“Ofigea”, installazione GreenenergyDesign by Interni, Università degli Studi di Milano (2008)

Design, architettura e arte

«Lavoro con dei collaboratori che disegnano con me. Innanzitutto Roberto Bergonzi: è un architetto e un inventore, e si occupa della realizzazione dei progetti: durante le riunioni con il committente, mentre spiego a parole cosa ho in mente lui lo disegna. Altri collaboratori preparano dei rendering per il cliente e poi costruiamo fisicamente gli oggetti: siamo un piccolo gruppo di 4 o 5 persone che viene ampliato secondo le esigenze del progetto.

La committenza è diversificata. Ho la fortuna di lavorare con grandi architetti italiani, come Matteo Thun e Antonio Citterio, che mi chiedono di progettare qualcosa di scenografico per ambienti talora rigorosi e spazi molti ampi. L’illuminazione di questi oggetti avviene spesso dall’esterno: sono di grandi dimensioni e possono pesare tonnellate. L’installazione è sempre una sfida, che modifica il progetto iniziale in funzione della tenuta del soffitto e della variazione della luce naturale, che cerco di utilizzare il più possibile, ma che viene integrata con illuminazione artificiale».

Particolare di “(RE)fuse”, installazione InterniDesignEnergy by Interni, Università degli Studi di Milano (2009)
Particolare di “(RE)fuse”, installazione InterniDesignEnergy by Interni, Università degli Studi di Milano (2009)

«Il mondo del design, invece, è un territorio in cui mi sono trovato un po’ per caso, perché è in quest’ambito che ho fatto la mia prima mostra importante, per Interni, in occasione del Salone del Mobile di Milano, e sono stato, per così dire, “adottato”, per interpretare in maniera molto libera e gioiosa le tematiche di volta in volta proposte. É un ambito che mi piace molto, e le mostre sono le più visitate del Salone: tuttavia, in questo momento sono pronto a compiere una decisa virata in direzione dell’arte. Lavoro dal’95 e mi sono costruito una palette cromatica personale posso permettermi di fare degli esperimenti e vedere se sono capace di fare delle cose ancora più importanti sul piano delle emozioni. Tuttavia, mi sento più un inventore che un artista o un designer: la mia ispirazione sono i personaggi come Anish Kapoor, che creano oggetti che possono assomigliare a degli pezzi di design, ma in realtà hanno una forza intrinseca di cui tutti si accorgono».

La forza del “diverso”

«In un momento difficile, come quello che stiamo vivendo, una proposta-provocazione da porre alle aziende potrebbe essere di convertire delle produzioni industriali in artigianali. Per esempio, realizzando dei fili di policarbonato che poi possano essere intrecciati come il vimini per produrre oggetti: la gente ama molto questo genere di manufatti, se ne vendono moltissimi nei bookshop dei musei e, in generale, le persone subiscono il fascino dell’originalità. Può sembrare un’eresia per chi ha una mentalità industriale, tuttavia potremmo darci una chance in questo senso e capire che possiamo fare delle cose molto diverse con gli strumenti che già possediamo: siamo italiani e forse abbiamo qualche dovere nei confronti della nostra creatività che si sta spegnendo. Anche perché subiamo la concorrenza di Paesi dove tutto ancora è fuori controllo e con i quali non possiamo essere competitivi. Dobbiamo giocare altre carte» conclude Jacopo Foggini.

“Devotion”, Installazione c/o San Paolo Converso, Milano (2005)
“Devotion”, Installazione c/o San Paolo Converso, Milano (2005)

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