Bioshopper, ecco cosa pensa Pro.mo

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L’obbligo dei sacchetti bio anche per la frutta e la verdura, dai primi di gennaio, sta scatenando l’opinione pubblica e le associazioni di categoria. C’è chi dichiara battaglia in difesa dei consumatori e chi escogita strategie per evitare questa ulteriore tassa ambientale, che tassa non è.

Nella bagarre si lancia anche Marco Omboni, il presidente di Pro.mo, Gruppo Produttori Stoviglie Monouso in Plastica. «È sempre difficile generalizzare posizioni quando si tratta di prodotti diversi, anche se simili» precisa. «Tra sacchetti e stoviglie monouso ci sono comunque delle affinità, così come nel modo con cui vengono gestiti (o malgestiti…)».

«Un punto in comune sta certamente nel fatto che la sostituzione dei prodotti in plastica con quelli in bioplastica non risolve, allo stato attuale delle conoscenze, il problema della dispersione dei rifiuti negli oceani (marine littering), cui i sacchetti molto più delle stoviglie concorrono» continua. «Lo stesso programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep) sostiene che le attuali plastiche bio non sono una soluzione al problema del marine litter. Senza le adeguate condizioni termiche, questo tipo di materiale resta in circolo nei mari, con conseguente ingestione da parte della fauna subacquea. Questo è tanto più vero quanto più crescono dimensioni e spessori dei prodotti, come nel caso di piatti, bicchieri e posate rispetto a sottili sacchetti».

Altri elementi comuni tra sacchetti e stoviglie si rintracciano nella gestione del loro fine vita. Sacchetti e stoviglie in plastica si prestano a termovalorizzazione e riciclo meccanico, sacchetti e stoviglie in bioplastica al compostaggio; l’utilizzo dei sacchetti in bioplastica per contenere la frazione umida da destinare al compostaggio – cosa che sembra avere un senso e positiva valenza ambientale – è però spesso ostacolato dal fatto che il sacchetto, per il suo spessore e la sua scarsa resistenza, si danneggia durante il trasporto della spesa, e non è più utilizzabile.

«Non voglio entrare nel merito di problemi legati a prodotti diversi da quelli che più conosco e non discuto quanto gli impianti di compostaggio possano “digerire” bene o male il film bioplastico dei sacchetti» continua Omboni. «So però per certo che quando gli spessori aumentano, come è inevitabile per le stoviglie, la gestione di questi prodotti assieme al comune rifiuto organico può dare dei problemi agli impianti di compostaggio, con il rischio che gli sforzi compiuti per utilizzare stoviglie e imballaggi rigidi in bioplastica – sforzi anche economici, visto che costano molto di più – finiscano per non portare alcun vantaggio all’ambiente, anzi!».

«Mi chiedo poi come sia possibile gestire stoviglie in bioplastica nel compostaggio domestico, come si dovrebbe fare in Francia se la discriminatoria legge che pretende la sostituzione delle stoviglie in plastica con quelle in bioplastica venisse subito applicata» continua il presidente di Pro.Mo.

E tutto ciò quando l’effettivo beneficio in termini di impatto ambientale dell’intero ciclo di vita di questi prodotti è ancora poco chiaro. Anzi, come ricorda Omboni «Un nostro studio sull’impatto ambientale dell’intero ciclo di vita di diverse tipologie di stoviglie, monouso e non, dimostra che tra le stoviglie monouso quelle in plastica tradizionale hanno un impatto ambientale mediamente inferiore a quello di stoviglie in bioplastica PLA (la più utilizzata bioplastica per questo tipo di prodotti): studio scomodo, negletto e “nascosto”, ma ad oggi non superato da alcuna nuova e diversa valutazione in materia».

«La possibilità che le stoviglie monouso in plastica subiscano limitazioni a favore di quelle in bioplastica appare quindi oggi ancor più deleteria, in termini di sostenibilità economica, funzionale e ambientale, rispetto a quanto sta avvenendo per i sacchetti» conclude.


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